I.
Roma,
20 aprile '97
Caro signor
Sorel,
da un pezzo vo
pensando d'intrattenermi con voi in una specie di conversazione per iscritto.
Sarà questo il
modo migliore, e il più acconcio, onde io v'attesti la mia gratitudine per la Prefazione,
della quale mi avete onorato. Va da sé, che, così dicendo, io non mi fermo
con la mente a ricordare soltanto le parole cortesi, delle quali mi siete stato
prodigo con tanta profusione. A quelle parole io non potevo non risponder
subito, e sdebitarmene nella forma della lettera privata. Né ora sarebbe più il
caso, che io mi andassi diffondendo con voi in complimenti; proprio in lettere,
le quali, o a voi, o a me, potrà parere più in là opportuno di pubblicare. Che
varrebbe, del resto, che io venissi ora a far proteste di modestia,
schermendomi dalle vostre lodi? Voi mi avete oramai costretto a rinunciare a
tali sforzi. Che i miei due saggi, appena rudimentali, di materialismo
storico corrano in Francia nella forma di un quasi libro, ciò è tutto
merito vostro; per averli voi rnessi e prcsentati al pubblico in tale assisa.
Non fu mai nelle inclinazioni mie di faire le livre, secondo
il senso che voi francesi, ammiratori e seguaci sempre della
classicità letteraria, date a cotesta espressione. Sono io, anzi, di
quelli i quali vedono in cotesto continuarsi del culto per la forma classica
una specie d'impaccio - come sarebbe di un abito che mal s'attagli alla persona
- alla espressione propria, adeguata e conveniente dei resultati del pensiero
rigorosamente scientifico.
Passando,
dunque, sopra a tutti i complimenti, intendo di rifarmi su le cose che voi dite
in quella Prefazione; e di tornarci su per discuterne liberamente, senza
star proprio ad aver lì innanzi alla mente il disegno o il prospetto di una
meditata monografia. Scelgo la forma delle lettere, perché solo in queste un
procedere interrotto, spezzato e a volte saltuario, che ritragga quasi quasi la
conversazione, non par cosa impropria ed incongrua. Non me la sentirei, in
verità, di scrivere tante dissertazioni, memorie od articoli, quanti ne
occorrerebbe per rispondere alle molte domande che voi movete, alle molte
questioni che voi ponete a voi stesso, in così breve giro di pagine, come chi
dubitando e dubbiosamente pensi.
Scrivendo,
direi quasi, come vien viene, non intendo però di sottrarmi alle responsabilità
di ciò che mi verrà di dire, e andrò dicendo; ma voglio come prosciogliermi dai
doveri di prosa serrata e legata, che son proprii del discorrere e del
dissertare a tesi. Oramai non c'è dottorucolo al mondo, il quale,
per minuscolo che ei si sia, non creda di monumentarsi innanzi ai presenti e innanzi
ai posteri, ove riesca a consacrare in pesante opuscolo, o in dotta ed involuta
disquisizione, uno di quei tanti pensieri o di quelle tante osservazioni, che
nella viva conversazione, o nell'insegnamento che sia retto da indubbia
virtuosità didattica, tornan sempre di più intuitiva efficacia, per la naturale
dialettica, che è propria di chi sia in atto di cercare da sé, o
d'insinuare per la prima volta negli altri, la verità.
Ma già, si sa:
- in questa fin di secolo, tutta business, tutta faccende, tutta affari
e tutta merci, il pensiero non si presta a circolar per il mondo, se non
fissato e fermato anch'esso nella riverita forma di merce, cui faccia compagnia
la fattura del libraio, e giri attorno, da agile messaggera di sincerissime
lodi, la onesta réclame editoriale. Forse nella società
dell'avvenire, in quella nella quale noi c'infuturiamo con le nostre
speranze, e assai più con certe illusioni, che non sempre son frutto di una ben
plasmata fantasia, cresceranno a dismisura, da parer legione, gli uomini atti a
discorrere con la divina gioia della ricerca e con l'eroico coraggio della
verità, che ora ammiriamo in Platone, in Bruno, in Galilei, e si
moltiplicheranno in infiniti esemplari i Diderot capaci di scrivere le profonde
capestrerie di Jacques le fataliste, che per ora abbiamo la debolezza di
credere insuperate. Nella società dell'avvenire, nella quale l'ozio,
ragionevolmente cresciuto per tutti, darà a tutti, con le condizioni della
libertà, i mezzi per civilizzarsi, le droit à la paresse - la
felicissima trovata del nostro Lafargue - farà spuntare ad ogni angolo di
strada dei perditempo di genio, che, come il nostro maestro Socrate, saranno
operosissimi di operosità non messa a mercede. Ma ora... in questo mondo, nel
quale solo i matti da manicomio hanno le traveggole del prossimo millennio,
molti sfaccendati sfruttano, come per proprio diritto e professione, la
pubblica stima coi loro ozii letterarii... e lo stesso socialismo non può a
meno di accogliere nel suo seno una discreta frotta, non che di sfaccendati, di
faccendoni e di faccendieri.
E così, quasi
celiando, mi avvicino all'argomento.
Voi lamentate
la poca diffusione che ha avuto fino ad ora in Francia la dottrina del
materialismo storico. Anzi lamentate, che a tale diffusione mettano ostacolo e
oppongano resistenza i pregiudizii derivanti dalla boria nazionale, le pretese
letterarie di alcuni, l'albagia filosofica di altri, la maledetta voglia del
parere senza essere, e da ultimo, poi, lo scarso avviamento intellettuale, e i
molti difetti che si riscontrano anche in certi socialisti. Ma tutte coteste
cose non sono da considerare come dei meri accidenti! Vanità, orgoglio,
desiderio di parere senz'essere, iomania, megalomania, voglia e smania di
prevalere, tutte queste ed altre passioni e virtù dell’uomo civile non
son certo le bagattelle della vita, anzi assai più spesso possono parere come
la sostanza e il nerbo di questa. Si sa che la chiesa non è riuscita, il più
delle volte, a suggestionare gli animi cristiani ad umiltà, se non facendo di
questa nuovo titolo a novello e rincalzato orgoglio. E via... cotesto
materialismo storico esige, da chi voglia consapevolmente e schiettamente
professarlo, una certa curiosa maniera di umiltà: che, cioè dire, nell'atto che
ci sentiamo legati al corso delle cose umane, e di questo studiamo le
complicate linee e le tortuose pieghe, ci tocchi pur di essere insiememente e
medesimamente, non già rassegnati ed acquiescenti, ma anzi operosi di conscia e
ragionevole opera. Ma... venire al punto da confessare a noi stessi, che il
nostro proprio io individuo, al quale ci sentiamo così strettamente legati da
un ovvia e casalinga consuetudine, senza esser proprio una mera evanescenza, un
nonnulla, come parve agl'invasati teosofi, per grande che esso si sia, o ci paia,
è assai piccola cosa nel complicato ingranaggio dei meccanismi sociali: - ma
doversi adattare alla persuasione, che i propositi o i conati subiettivi di
ciascun di noi dànno quasi sempre di cozzo nelle resistenze dell'intricato
intreccio della vita, cosicché, o non lascian traccia di sé, o ne lasciano una
affatto difforme dal primitivo intento, perché alterata e trasformata dalle
condizioni concomitanti: - ma dover convenire di questo enunciato, che noi
siamo come vissuti dalla storia, e che il nostro contributo personale a questa,
per quanto indispensabile, è sempre un dato minuscolo nell'incrocio
delle forze, che si combinano, completano ed elidono a vicenda: - ma tutte
queste vedute sono una vera e propria seccatura, per tutti quelli che han
bisogno di confinare l'universo intero nei termini della loro individua
visuale! Dunque si serbi alla storia il privilegio degli eroi, perché ai nani
non sia tolta la fiducia di potersi mettere a cavallo delle proprie spalle per
farsi vedere; anche quando essi, secondo il detto di Jean Paul, non sian degni
di arrivare all'altezza delle proprie ginocchia!
E, di
fatti, non si va a scuola da secoli, per sentirsi a dire, che Giulio
Cesare fondò l'impero, e Carlo Magno lo rifece; che Socrate quasi quasi inventò
la logica; e Dante, cosi a un di presso, creò la letteratura italiana? Gli è da
assai poco tempo, che alla immaginazione mitologica degli autori della
storia s'è andata sostituendo, e fino ad ora in modi non sempre precisi, la
nozione prosaica del processo storico-sociale. La Rivoluzione Francese non
l'han voluta e fatta, secondo le varie versioni della inventiva
letteraria, i varii santi della leggenda liberalesca; e santi di destra, e
santi di sinistra, santi girondini e santi giacobini? Tanto è, che il signor Taine
- del quale non ho mai capito come, con la poca rassegnazione che mostra alla
cruda necessità dei fatti, si dica che ei fosse un positivista - ha
potuto spendere una parte non piccola del suo poderoso ingegno a dimostrate,
come chi scrivesse l'errata-corrige della storia, che tutta quella bagarre
potea anche non accadere. Per buona fortuna loro, la più parte di cotesti
vostri santi paesani si onorarono e si coronarono a vicenda, e a tempo debito,
del dovuto martirio; ond'è che le regole della classicità tragica rimasero per
essi gloriosamente intatte: - se no, chi sa quanti imitatori di Saint-Just
(uomo sommo per davvero) non sarebbero finiti fra i manutengoli del turpe
Fouché, e quanti complici di Danton (un grande uomo di stato mancato) non
avrebbero contesa al Cambacérès la cancelleresca livrea, quando altri molti non
si fossero contentati di disputare all'avventuroso Drouet, e a quel bieco
commediante del Tallien, i modesti galloni del sottoprefetto.
Insomma, affannarsi
ad occupare i primi posti è cosa di rito e di prammatica per tutti quelli, che,
avendo imparato la storia di vecchio stile, s'accordano ancora con quel retore
di Cicerone nel proclamarla maestra della vita. E a ciò fare bisogna moraliser
le socialisme. La morale non ha forse insegnato per secoli, che bisogna
rendere a ciascuno secondo il merito suo? Un tantino di paradiso non volete
serbarcelo? - mi pare di sentire a dire; - e se anche s'ha da rinunciare al
paradiso dei credenti e dei teologi, non ci si ha da serbare un po' di pagana
apoteosi in questo mondo? Non barattiamo, dunque, tutta la morale degli onesti
compensi: - almeno una buona poltrona, od un palco di prima fila, nel teatro
delle vanità!
Ed ecco perché
le rivoluzioni, per tante altre ragioni necessarie ed inevitabili, anche per
questo rispetto sono utili e desiderabili: perché, a guisa di grossa scopa,
spazzano dal terreno i primi occupanti, o per lo meno rendono l'aere più
respirabile, come accade dei temporali per cresciuto ozono.
Non dite voi
forse, e assai giustamente, che tutta la questione pratica del socialismo (e
per pratica intendete, senza alcun dubbio, quella che piglia lume dai dati
intellettuali di una coscienza rischiarata dal sapere teoretico) si riduce e
compendia in questi tre punti: a) il proletariato ha esso di già raggiunta la
coscienza chiara della sua esistenza come classe indivisibile? b) ha
esso tanta forza da poter entrare in lotta con le altre classi? c) è
esso in grado di rovesciare, insieme con la organizzazione capitalistica, tutto
il sistema della ideologia tradizionale?
E sta
benissimo!
Ora il
proletariato che arrivi a conoscere perspicuamente ciò che esso può, ossia
che s'avvii a saper volere ciò che può: - quel proletariato,
insomma, che si metta in carreggiata per riuscire a risolvere (qui uso il gergo
un po' sciatto dei pubblicisti) la così detta questione sociale, quel
proletariato dovrà proporsi di eliminare, fra le altre forme di sfruttamento
del prossimo, eziandio questa della vanagloria e della presunzione, e della
singolare concorrenza che c'è tra coloro, che s'inscrivono da sé sul libro
d'oro dei benemeriti della umanità. Anche quel libro va messo in falò, con
tanti altri che han titolo di libri del debito pubblico.
Ma per ora
sarebbe opera vana il provarsi a fare intendere, a tanti e tanti di costoro,
questo principio schietto di etica comunistica: che, cioè, la gratitudine e
l'ammirazione conviene aspettarsele come doni spontanei dal prossimo nostro; -
né molti di costoro si tratterrebbero dal mettere le mani avanti, per sentirsi
a ripetere, in nome di Baruch Spinoza, che la virtù è premio a se stessa. En
attendant, dunque, che in una società migliore della nostra non rimangano
altri oggetti all'ammirazione degli uomini, se non quelli degnissimi - che so
dire? -, per es., le linee del Partenone, i quadri di Raffaello, i versi di
Dante e di Goethe, e quanto di utile, di certo, di definitivamente acquisito
presenti la scienza, non ci è dato per ora d'impedire a quanti abbiano fiato da
spendere, e carta stampata da mettere in circolazione, di pavoneggiarsi in nome
di tante e tante belle cose - umanità, giustizia sociale e simili - e anche in
nome del socialismo, come accade specie a quelli che s'inscrivono da
concorrenti a l'ordre pour le mérite e alla legion d’onore, della
futura, ma non molto prossima, rivoluzione proletaria. Figurarsi se costoro non
dovessero subodorare nel materialismo storico la satira di tutte le loro vuote
arroganze e futili ambizioni, e non avessero da avere in uggia questa nuova specie
di panteismo, dal quale, con licenza parlando, è sparito - appunto perché esso
è ultraprosaico - perfino il riverito nome di dio.
Una grave
circostanza è qui da aggiungere. In tutte le parti dell'Europa civile gl'ingegni
- veri o falsi che si siano - han molti e molti modi di occuparsi nei
servizii dello stato, e in tutto ciò che di proficuo e di onorifico può loro
offrire la borghesia; la quale, per dir vero, non è tanto prossima a tirar le
cuoia, come si dànno ad intendere alcuni allegri facitori di strampalate
profezie. Non è dunque da meravigliare che Engels (pag. IV della prefazione al
III vol. del Capitale - notate bene - in data del 4 ottobre 1894)
scrivesse così: “Come nel secolo XVI, così nel nostro tempo tanto agitato, non vi
ha nel campo degl'interessi pubblici dei puri teorici se non dal lato della
reazione”. Queste parole, per quanto chiare altrettanto gravi, basterebbero da
sole a turar la bocca a quelli che vanno sbraitando, esser già tutta l'intelligenza
passata dalla parte nostra, e che la borghesia abbassi oramai le armi. Il vero
è precisamente il contrario: nelle nostre file c'è da per tutto scarsezza di
forze intellettuali, per quanto gli operai genuini, per ispiegabile sospetto,
spesso strepitino qua e là contro i parleurs e lettrés del
partito. Non c'è dunque da inarcar le ciglia, se il materialismo storico sia
così poco progredito dalle prime e generali enunciazioni. E volendo pur passar
sopra a quelli che ne han fatto argomento di semplici ripetizioni o di travestimenti,
che qualche volta rasentano il burlesco, ci tocca di confessare, che nella
somma di tutto ciò che se n'è scritto di serio, di congruo e di corretto, non
c’è ancora l'insieme di una dottrina uscita già dallo stadio della prima
formazione. Non è chi oserebbe fra noi di far confronti col darwinismo, che in
poco men di quarant'anni ha avuto tale e tanto sviluppo intensivo ed estensivo,
che oramai, per la copia dei materiali, per la molteplicità dei riattacchi ad
altri studii, per le varie correzioni metodiche e per la interminabile critica
sortavi dentro e dattorno, quella dottrina ha giù una storia gigantesca.
Tutti quelli
che son fuori del socialismo ebbero ed hanno interesse a combattere, a svisare
o per lo meno ad ignorare questa nuova dottrina; e ai socialisti, e per le
ragioni dette e per altre molte, non è stato dato di spenderci attorno il
tempo, le cure e gli studii che occorrono, perché un indirizzo mentale acquisti
ampiezza di sviluppi e maturità di scuola, come accade delle discipline, che protette,
o per lo meno non combattute dal mondo ufficiale, crescono e prosperano per la
cooperazione assidua di molti collaboratori.
La diagnosi del
male non è una mezza consolazione? Non usano forse così ora con gli ammalati i
medici, dacché divennero, come sono difatti al presente, più ispirati nella
pratica terapeutica al sentimento scientifico dei problemi della vita?
Al postutto,
dei varii effetti che il materialismo storico può produrre, alcuni soltanto si
prestano a raggiungere un grado notevole di popolarità. Di certo, con l'aiuto
di tale nuova orientazione dottrinale, si riuscirà a scrivere dei libri
di storia meno inconcludenti di quelli che di solito scrivono i letterati
addestrati a cotesta arte coi soli mezzi della filologia e della erudizione. E,
passando sopra alla consapevolezza che i socialisti d'azione possono ritrarre
dall'analisi accurata del terreno su cui lavorano, non c'è dubbio che il
materialismo storico, o per diretto o per indiretto, ha già esercitato su molte
menti un grande influsso, e ne eserciterà col tempo uno ancor maggiore, per
quanto si attiene agli studii veri e proprii di storia economica, e a quelli di
interpretazione prammatica dei moventi e delle ragioni intime, e per ciò più
remote, di una determinata politica. Ma tutta la dottrina nel suo intimo, o nel
suo insieme, tutta la dottrina, intendo dire, insomma, come filosofia - e
adopero questa parola con molta apprensione di poter esser frainteso, ma non ne
saprei trovare di altra, e, se scrivessi in tedesco, direi più volentieri Lebens-und
Weltanschauung, ossia concezione generale della vita e del mondo - non mi
pare che possa entrare tra gli articoli della coltura popolare. Oltre che ad
apprendere cotesta filosofia occorre un discreto sforzo di menti già addestrate
alle difficoltà e alla combinatoria del pensiero; il maneggiarla, poi, può
esporre gl'ingegni troppo facili e troppo correnti alle comode conclusioni a
spropositare di santa ragione; e noi non vorremmo renderci, né promotori, né
complici di tal nuova ciarlataneria letteraria.
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