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Antonio Labriola
Discorrendo di socialismo e di filosofia

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  • II.
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II.

 

Roma, 24 aprile ‘97

 

Ed ora permettetemi di passare alla considerazione di certe cose prosaicamente piccole, ma che, come assai spesso accade delle cose piccole nelle faccende grosse del mondo, hanno assai peso nel fatto nostro.

Gli scritti di Marx e di Engels - tanto per tornare a loro, che sono principalmente in causa - furon essi mai letti per intero da nessuno, il quale si trovasse fuori della schiera dei prossimi amici ed adepti, e quindi, dei seguaci e degl'interpreti diretti degli autori stessi? Furono mai quegli scritti fatti tutti oggetto di commento e di illustrazione, da gente che si trovasse fuori del campo, che s'è formato intorno alla tradizione della deutsche Socialdemokratie; nella quale impresa di lavoro applicativo ed esplicativo ha per anni primeggiato soprattutto la “Neue Zeit”, magazzino indispensabile delle dottrine del partito? Intorno a quegli scritti, in brevi parole, non si è formato, fuori che in Germania, ed anche ivi assai parzialmente, e qualche volta con modi non pienamente critici, ciò che i neologisti chiamano ambiente letterario.

E poi la rarità di molti di quegli scritti, e anzi la irreperibilità di alcuni di essi! C'è molta gente al mondo, che abbia la pazienza di mettersi per degli anni, come toccò a me, alla ricerca di un esemplare della Misère de la philosophie, che fu solo assai di recente ristampata a Parigi, o di quel singolare libro che è la Heilige Familie; e che sia disposta a durar più fatica per avere a disposizione un esemplare della “Neue Rheinische Zeitung”, di quella non tocchi, in condizioni ordinarie, a qualunque filologo o storico presentemente per leggere e studiare tutti i documenti dell'antico Egitto? A me che pure ho una certa pratica alquanto notevole dei libri e del modo di ricercarli, non è toccata mai briga più fastidiosa di cotesta. Il leggere tutti gli scritti dei fondatori del socialismo scientifico è parso fino ad ora come un privilegio da iniziati! 1.

Che maraviglia, dunque, se fuori della Germania, e quindi anche in Francia, e anzi in Francia segnatamente, molti e molti scrittori, e specie fra i pubblicisti, abbiano avuto la tentazione di ritrarre, o da critiche di avversarii, o da citazioni incidentali, o da frettolose illazioni ricavate da brani speciali, o da vaghi ricordi, gli elementi per foggiarsi un marxismo di loro invenzione e maniera? Tanto più, poi, che, col sorgere in Francia ed in Italia di partiti socialistici, che dal più al meno sono in voce di rappresentare una esplicazione del marxismo, il che pare a me invero designazione inesatta, ai letterati d'ogni maniera si offerse la comoda opportunità di credere o di far credere, che in ogni discorso di propagandista o di deputato, in ogni enunciato di programma, in ogni articolo di giornale, in ogni atto di partito, ci fosse come l'autentica e ortodossa rivelazione della nuova dottrina, esplicantesi nella nuova chiesa. Alla Camera Francese non si fu due anni fa quasi quasi sul punto di discutere della dottrina del valore di Marx... come se fossimo a Bisanzio? E che dirvi di tanti professori italiani, che han citato e discusso per anni libri ed opuscoli, che notoriamente non eran mai giunti in questi nostri paraggi; e specie dappoi che il signor Giorgio Adler2 scrisse quei suoi due libri alquanto superficiali quanto inconcludenti, nei quali però egli offerse ai ricercatori di comoda erudizione e ai facitori di plagio i facili tesori della bibliografia e delle copiose citazioni: perché, a dir vero, quel signor Adler ha molto letto come ha molto peccato.

Il materialismo storico, che poi in un certo senso è tutto il marxismo, prima che entrasse nell'ambiente critico letterario degli atti a svolgerlo e continuarlo, è passato qui, fra noi popoli di lingue neolatine, attraverso ad una infinità di equivoci, di malintesi, di alterazioni grottesche, di strani travestimenti e di gratuite invenzioni: tutte cose coteste, che nessuno vorrà mettere a carico della storia del socialismo, ma che, in tutti i modi non poteano non tornare d'impaccio ai volenterosi di farsi una coltura socialistica, specie se son persone che escano dalle file degli studiosi di professione.

Voi sapete la fantastica storiella del biondo Marx inauguratore della Internazionale a Napoli nel 1867, che fu raccontata dal Croce nel “Devenir Social”. Io di quelle storielle potrei narrarvene parecchie. Che dirvi dello studente corso anni fa a casa mia a vedere, una volta almeno de visu, la famigerata Misère de la philosophie! Rimase sbalordito: “dunque - diceva - è un libro serio di economia politica?” – “E oltre che serio - soggiunsi io - di dicitura difficile, e in molti punti oscuro”. Non si poteva capacitare. “Vi aspettavate - gli dissi - un poema su gli eroi della soffitta, o un romanzo come quello del giovane povero? Per fino quel bisbetico titolo di Heilige Familie (Sacra Famiglia) ha dato ad alcuni occasione di stranamente almanaccare. Singolare ventura di quella coterie di posthegeliani - tra i quali, del resto, era un uomo notevole e di valore, Bruno Bauer - che le sia toccato di passare ai posteri nel curioso persiflage che ne fecero i due giovani scrittori! E dire che quel libro - che alla più parte dei lettori francesi apparirebbe duro, intricato ed incondito - non è veramente notevole, se non perché ci mostra come Marx ed Engels, liberi già dallo scolasticismo hegeliano, si andassero districando dall'umanitarismo del Feuerbach, e, mentre s'avviavano a quella che fu poi la dottrina loro, fossero ancora in certo tal quale modo intinti di quel socialismo vero, che più tardi essi stessi volsero in satira nel Manifesto.

Ma a canto a queste storielle, tutte da ridere, qui in Italia se n'è svolta una, che veramente non fa ridere: e intendo dire del caso Loria. Proprio in questi ultimi anni, nei quali, tra difficoltà  grandissime, s'è andato formando da noi un partito socialistico, che nei programmi e negl'intenti, e, per quanto la condizione del paese lo consente, alla men trista anche nelle opere, risponde alle tendenze del socialismo internazionale, proprio in questi ultimi anni venne in capo a parecchi, o studenti, o quasi ex-studenti, di fare del signor Loria, ora l'autentico autore delle dottrine del socialismo scientifico, ora l'inventore della interpretazione economica della storia, ora tante e tante altre cose diverse, contrarie e contraddittorie: di modo che il Loria, a sua insaputa e senza merito o colpa sua, è passato a un tempo stesso ora per Marx, ora per anti-Marx, ora per vice-, per sopra-, o per sotto-Marx. Anche cotesto equivoco è oramai trapassato: e sia pace alla memoria sua. Da che i Problemi Sociali del signor Loria furono tradotti in francese, parrà strano a molti dei vostri compaesani, che quello scrittore sia potuto passare, non che per socialista in genere, la quale opinione può parere in fin delle fini atto o segno d'ingenuità, ma anzi per un continuatore e correttore di Marx; il che è veramente sproposito da far rizzare i capelli.

Dunque, per tali aneddoti d'intuitiva esemplarità, consolatevi per ciò che riguarda la Francia; perché, non solo è vero, che intra Iliacos muros peccatur et extra, ma perché, in fin delle fini, nessuno che non appartenga alla categoria di quei folli, che sono i genii incompresi, può non convenire di questo principio: che non si arriva mai tardi al mondo per fare il dover suo. E anzi qui, in questo caso, si arriva tanto poco tardi, che, come Engels mi scriveva poche settimane prima di morire: noi siamo al primo cominciamento ancora!

 

E tanto, perché in questo primo cominciamento sia dato agli studiosi di occuparsi della dottrina in questione con piena cognizion di causa, col minimo d'incomodo e col preciso possesso delle prime fonti, pare a me, che sarebbe dovere del partito tedesco di procurare una edizione completa e critica di tutti gli scritti di Marx e di Engels; una edizione, voglio dire, che sia corredata, caso per caso, di prefazioni dichiarative, di indici di riferimento, di note e di rimandi. Sarebbe già un'opera meritoria il togliere agli antiquarii di libri il modo di esercitare una indecente speculazione - ne so io qualcosa - su le rarissime copie degli scritti più antichi. Agli scritti già apparsi in forma di libri o di opuscoli converrebbe aggiungere gli articoli di giornali, i manifesti, le circolari, i programmi, e tutte quelle lettere, che, per essere di pubblico e di generale interesse, per quanto dirette a privati, hanno importanza politica o scientifica3.

A tale impresa non possono mettersi se non i socialisti di lingua tedesca. Non già che Marx ed Engels appartengano alla Germania soltanto, nel senso patriottico e sciovinistico, che ha per molti la parola di nazionalità. La forma dei loro cervelli, l'andamento delle loro produzioni, l'assetto logico dei loro modi di vedere, il loro senso scientifico e la loro filosofia, furono il portato ed il resultato della coltura tedesca: ma la sostanza di ciò che essi han pensato ed esposto è tutta nelle condizioni sociali, che s'eran svolte fino agli anni più che maturi di loro vita per la massima parte fuori della Germania e segnatamente in quelle della grande rivoluzione economico-politica, che dalla seconda metà del secolo XVIII ebbe base e svolgimento soprattutto in Inghilterra ed in Francia. Essi furono, per ogni rispetto, spiriti internazionali. Ma, nulladimeno, solo fra i socialisti di lingua tedesca si trova, a cominciare dalla Lega dei Comunisti fino al programma di Erfurt e fino agli ultimi articoli del cauto, e ponderato Kautsky, quella continuità e persistenza di tradizione, e quel sussidio di costante esperienza che occorrono, perché l'edizione critica trovi nelle cose stesse e nella memoria degli uomini i dati occorrenti a farla piena e viva. Né si tratta di scegliere. Tutta la operosità scientifica e politica, tutta la produzione letteraria, sia pur essa occasionale, dei due fondatori del socialismo critico, deve esser messa alla portata dei lettori. Non si tratta già di compilare un Corpus juris, né di redigere un Testamentum juxta canonem receptum; ma di mettere insieme una elaborata raccolta di scritti, perché essi parlino direttamente a chiunque abbia voglia di leggerli. Solo così gli studiosi di altri paesi potranno avere a loro disposizione tutte le fonti, che altrimenti apprese, per via di incerte riproduzioni o di vaghi ricordi, han dato luogo a questo strano fenomeno, che non c'era fino a poco tempo fa quasi scritto alcun di lingua non tedesca sul marxismo, che procedesse da una critica documentata; specie se tali scritti uscivano dalla penna degli scrittori di altri partiti rivoluzionarii, o di altre scuole socialistiche. Il caso tipico è quello degli scrittori anarchisti, pei quali, specie in Francia ed in Italia, l'autore del marxismo pare il più delle volte non sia esistito se non per essere lo staffilatore di Proudhon e l'avversario di Bakunin, quando non divenga il semplice caposcuola di quella che agli occhi loro è la massima delle reità, ossia il rappresentante tipico del socialismo politico, e quindi - o infamia! - anche parlamentare.

Tutti cotesti scritti hanno un fondo comune; e questo è il materialismo storico, inteso nel triplice aspetto, di tendenza filosofica nella veduta generale della vita e del mondo, di critica dell'economia, che ha modi di procedimento riducibili in leggi solo perché rappresenta una determinata fase storica, e di interpretazione della politica, e soprattutto di quella che occorre e giova alla direzione del momento operaio verso il socialismo. Questi tre aspetti, che qui enumero astrattamente, come accade sempre per comodo di analisi, faceano uno nella mente degli autori stessi. Perciò quegli scritti, che, tranne il caso dell'Antidühring di Engels e del primo volume del Capitale, non parranno mai ai letterati di tradizione classica come condotti secondo i canoni dell'arte di faire le livre, sono in verità delle monografie, e nella più parte dei casi dei lavori d'occasione. Ossia, sono i frammenti di una scienza e di una politica che è in continuo divenire; e che altri - e non dico che ciò sia l'affare del primo venuto - deve e può continuare. Per intenderli, dunque, a pieno, bisogna ricollegarli biograficamente; e in tale biografia è come la traccia e l'orma, e a volte l'indice e il riflesso della genesi del socialismo moderno. Chi cotesta genesi non è in grado di seguire, cercherà in quei frammenti ciò che non c'è, e non ci ha da essere: per es., delle risposte a tutti i quesiti che la scienza storica e la scienza sociale possano mai offrire nella loro vastità e varietà empirica, o una soluzione sommaria dei problemi pratici d'ogni tempo e d'ogni luogo. A proposito ora, per es., della questione d'Oriente, nel discutere la quale alcuni socialisti offrono lo spettacolo singolare di una lotta fra l'idiotismo e l'avventataggine, si sente d'ogni parte fare appello al marxismo! 4. Difatti i dottrinarii e i presuntuosi d'ogni genere, che han bisogno degl'idoli della mente, i facitori di sistemi classici buoni per l'eternità, i compilatori di manuali e di enciclopedie, cercheranno per torto e per rovescio nel marxismo ciò che esso non ha mai inteso di offrire a nessuno. Costoro intendono il pensato ed il saputo come cose che esistano materiatamente; ma non intendono il pensare ed il sapere come operosità che siano in fieri. Costoro son metafisici, secondo il senso che Engels attribuisce a cotesta parola, e che, veramente, non è il solo che quella parola abbia o possa avere: secondo il senso, in somma, che Engels le attribuisce per via d'una insistente amplificazione della caratteristica che Hegel applicava agli ontologisti come Wolf e simiglianti.

Ma che forse Marx, nello scrivere da pubblicista insuperato, nel periodo di tempo dal 1848-60, i suoi saggi di storia contemporanea e i suoi memorabili articoli di giornale, ebbe mai la pretesa di atteggiarsi a compiuto istoriografo; la qual cosa non gli sarebbe forse riuscito d'esser mai, non essendo questa la vocazione e l'attitudine sua? O che forse Engels, nello scrivere l'Antidüring, che fino all'ora presente è il più compiuto libro di socialismo critico, il quale reca a un di presso tutta quella filosofia che occorre alla intelligenza del socialismo stesso, s'è mai sognato di descriver fondo, nel giro di così breve e squisitissimo lavoro, all'universo scibile, e di segnare in perpetuo i termini della metafisica, della psicologia, dell'etica, della logica e come altro si chiamino, o per ragioni intrinseche di obiettiva partizione, o per ripiego e comodo e vanità dei professanti l'insegnamento, le sezioni dell'enciclopedia? O che è forse il Capitale una di quelle tante enciclopedie di tutto lo scibile economico, delle quali ora precisamente i professori, specie se tedeschi, van riempiendo il mercato?

Quell'opera, per quanto vasta di tre volumi in quattro non piccoli tomi, può parere, a confronto di tali enciclopediche compilazioni, come rassomigliante ad una colossale monografia. Il suo soggetto principalissimo è la origine ed il processo del sopravvalore (nell'orbita, s'intende, della produzione capitalistica), poi, dopo combinata la produzione con la circolazione del capitale, la spartizione del sopravvalore stesso. Sta come presupposto del tutto la teoria del valore, portata a compimento su la elaborazione che ne avea fatta la scienza economica per un secolo e mezzo: teoria che non rappresenta mai un factum empirico tratto dalla volgare induzione, né esprime una semplice posizione logica, come qualcuno ha almanaccato, ma è la premessa tipica, senza della quale tutto il resto non è pensabile. Le premesse di fatto, ossia il capitale preindustriale e la genesi sociale del salariato, sono i capisaldi della spiegazione storica dell'iniziarsi del capitalismo attuale: - il meccanismo della circolazione, con le sue leggi secondarie e laterali, e da ultimo i fenomeni della distribuzione, guardati nei loro aspetti antitetici e di relativa indipendenza, formano il tramite e le illazioni, attraverso il quale e per le quali, si arriva ai fatti di configurazione concreta, come ce li porge il movimento apparente della vita di tutti i giorni. Il modo di rappresentazione dei fatti e dei processi è generalmente tipico, perché si suppongon sempre come già tutte esistenti in atto le condizioni della produzione capitalistica: ond'è, che le altre forme di produzione vengono illustrate, o solo in quanto furono superate di già, e per il modo come furono superate, o in quanto, come residuo, tornan di limite e d'impedimento alla forma capitalistica. Di qui il frequente passare attraverso alle illustrazioni di mera storia descrittiva per poi tornare, dalla dichiarazione delle premesse di fatto, alla esplicazione genetica del modo come quelle premesse, data la loro concorrenza e concomitanza, debbano funzionare tipicamente, formando esse la struttura morfologica della società capitalistica. Da ciò dipende, che quel libro, che non è mai dommatico, appunto perché critico, ed è critico, non nel senso subiettivo della parola, ma perché ritrae la critica dal moto antitetico e quindi contraddittorio delle cose stesse, anche nei punti nei quali arriva alla descrittiva storica non si perde nello storicismo volgare, il cui segreto è questo: rinunziare alla ricerca delle leggi del variare, e alle varietà semplicemente enumerate e descritte appiccicare l'etichetta di processo storico, di sviluppo o di evoluzione. Il filo conduttore di questa genesi è il procedimento dialettico; ed è questo il punto scabroso, che mette in tristissima condizione tutti i lettori del Capitale, che nel leggerlo vi portino dentro gli abiti intellettuali degli empiristi, dei metafisici, e dei padri definitori di entità concepite in aeternum. La fastidiosa questione che si è fatta da molti sulle contraddizioni, che, secondo loro5, correrebbero fra il III e il I volume del Capitale (qui intendo di parlare dello spirito della disputa e non delle particolari osservazioni perché, di fatti, il III volume è tutt'altro che un lavoro compiuto, e può offrire materia di critica anche a chi professi in genere gli stessi principii), si vede come alla più parte di questi critici manchi la nozione esatta del procedimento dialettico. Le contraddizioni che essi notano non sono le contraddizioni del libro col libro stesso, non sono le infedeltà dell'autore alle sue premesse e promesse: ma sono le stesse condizioni antitetiche della produzione capitalistica, che, enunciate in formule, si presentano allo spirito pensante come contraddizioni. Rata media di profitto in ragione della quantità assoluta del capitale impiegato, e, cioè, indipendentemente dalla varia composizione sua, ossia dalla proporzione fra capitale costante e capitale variabile; - prezzi che si costituiscono sul mercato per via di medie, che oscillano con assai difforme oscillazione intorno al valore, e da questo si dilungano; - interesse puro e semplice del danaro posseduto come tale, e abbandonato a prestito all'industria degli altri; - rendita della terra, cioè di ciò che non fu mai prodotto di alcun lavoro; - queste ed altre smentite alla così detta legge del valore (- gli è proprio quel termine di legge che imbroglia i cervelli di molti! -) son le antitesi stesse del sistema capitalistico. Queste antitesi, ossia l'irrazionale, che, malgrado che paia irrazionale, esiste - a cominciare dal primissimo irrazionale, che cioè il lavoro del lavoratore salariato renda a chi lo piglia a mercede un prodotto superiore al costo (salario) - questo vasto sistema delle contraddizioni economiche (per tale espressione sia reso onore a Proudhon!) è ciò che ai socialisti sentimentali, ai socialisti semplicemente ragionatori, e poi via via ai declamatori radicali, apparisce come l'insieme delle ingiustizie sociali: - di quelle ingiustizie, che la onesta gente fra i riformatori vorrebbe eliminare con degli onesti ragionamenti di legge! Chi confronti ora, alla distanza di cinquanta anni, la trattazione di coteste antinomie concrete nel III volume del Capitale con la Misère de la philosophie, è bene in grado di riconoscere in che consista il filo dialettico della trattazione. Le antinomie, che Proudhon volea astrattamente risolvere (e per tale errore egli ha un posto nella storia) come ciò che la ragion ragionante condanna in nome della giustizia, sono in fatti le condizioni della struttura stessa, in guisa che la contraddizione è nella stessa ragion d'essere del processo. L'irrazionale considerato come un momento del processo stesso, mentre ci libera dal semplicismo della ragione astratta, ci mostra, al tempo medesimo, la presenza della negatività rivoluzionaria nello stesso grembo della forma storica relativamente necessaria.

 

Comunque sia di cotesta assai grave ed intricatissima questione di concezione processuale, che io non oserei di trattare a fondo come l'incidente di una lettera, sta il fatto, che non è dato ad alcuno di distrarre le premesse, gli andamenti metodici, le illazioni e le conclusioni di quell'opera, dalla materia in cui si svolge e dalle condizioni di fatto cui si riferisce, per ridurne la dottrina in una specie di volgata o di precettistica per la interpretazione della storia di qualunque tempo e luogo. Né si può dar frase più scipita e ridicola di quella che proclama il Capitale la Bibbia del socialismo. Già, la Bibbia, che è un insieme di libri religiosi e di trattazioni teologiche, l'hanno fatta i secoli! E ci fosse pure la Bibbia, col solo socialismo i socialisti non diverrebbero onniscienti!

Il marxismo - giacché questo nome è oramai adottabile come simbolo e compendio di un molteplice indirizzo e di una complessa dottrina - non è e non rimarrà tutto rinchiuso negli scritti di Marx e di Engels. Ci vorrà, anzi, molto, prima che esso divenga la dottrina piena e completa di tutte le fasi storiche già ridotte alle rispettive forme della produzione economica, e regola al tempo istesso della politica. A ciò fare occorre, o studio accuratamente nuovo di fonti, per chi voglia ingegnarsi a studiare il passato secondo l'angolo visuale della nuova veduta storico-genetica, o speciali attitudini di orientazione politica in chi voglia praticamente operare al presente. Come quella dottrina è in sé la critica, così non può essere continuata, applicata e corretta, se non criticamente. Come si tratta di appurare e di approfondire determinati processi, così non c'è catechismi che tenga, non c'è generalizzazioni schematiche che valgano. Ne ho fatto la prova io quest'anno. Mi proposi di trattare all'Università della condizione economica dell'Italia superiore e media in su la fine del XIII, e in sul cominciamento del XIV secolo, col principale intento di spiegare l'origine del proletariato di campagna e di città, per trovar poscia una qualche prammatica spiegazione al sorgere di certe agitazioni comunistiche, e per dichiarare da ultimo le vicende assai oscure della eroica vita di Fra Dolcino. Fu certo intento mio d'essere e rimanere marxista; ma non posso non prendere sotto la mia responsabilità personale le cose che dissi a mio rischio e pericolo, perché le fonti su le quali mi toccava di lavorare son quelle che maneggiano tutti gli altri storici, d'ogni altra scuola o indirizzo, e a Marx non aveva niente da chiedere, poiché lui non aveva niente da offrirmi nella fattispecie.

 

Mi par quasi di aver risposto sufficientemente - sebbene per altri rispetti mi tocchi di continuare - alla domanda principale che ricorre non solo nella vostra Prefazione, alla quale io specialmente mi riferisco, ma in parecchi dei vostri scritti inseriti nel “Devenir Social”. La vostra domanda s'aggira sempre su questo punto: per quali ragioni il materialismo storico ebbe fino ad ora così poca diffusione e così scarso sviluppo?

Con riserva delle cose che dirò in seguito - guardate che bella minaccia di ulteriore seccatura io vi faccio - voi non dovreste trovar fatica a rispondere ad un'altra domanda, che vi siete fatta, specie nello scrivere ceste recensioni, e che suona a un di presso così - almeno in tali termini la tradurrei io -: come va che in tale imperfetta cognizione ed elaborazione del marxismo, tanti si sono affannati a completarlo, ora con Spencer, ora col positivismo in genere, ora con Darwin, ora con ogni altro ben di dio, dando segno di volere, chi sa mai, o italianizzare, o infranciosare, o russificare il materialismo storico; mostrando, vale a dire, di dimenticare due cose, che questa dottrina reca in se stessa le condizioni e i modi della sua propria filosofia, ed è, cosi nella origine come nella sostanza, intimamente internazionale?

Ma anche per questo riguardo mi tocca di continuare.

 





1 È assai di recente che Franz Mehring ha intrapresa la riproduzione di tutti gli scritti men noti di Marx e di Engels del periodo fra il ’40 e il ’50, e fra questi è riapparsa anche la Heilige Familie.



2 Alludo qui ai due libri intitolati: Geschichte der ersten socialpolitischen Arbeiterbewegung in Deutschland; e : Die Grundlagen der Karl Marxschen Kritik, etc., che furono saccheggiati anche in Italia dai critici a buon mercato.



3 La ristampa del libro di Marx: Zur Kritik der politischen Oekonomie, curata dal Kautsky (ed. Dietz, Stuttgart), è apparsa in agosto, ossia tre mesi in qua dalla data di questa lettera.



4 Mentre rimetto in ordine queste lettere per la stampa – e siamo in fin di settembre – mi giunge il volume The Eastern Question by Karl Marx (London, ed. Sonnenschein), di pagine XVI-656 in-8° gr., con indice copiosissimo e carte geografiche. È la riproduzione diligentemente curata ora di recente dalla figlia Eleonora e da Ed Aveling degli articoli che Carlo Marx scrisse nel 1853-56 su la Questione d’Oriente, principalmente nella “New York Tribune”. O miracolo di laboriosità! Noto qui di passaggio, che quando Marx scriveva di politica, non si perdeva dottrinariamente in enucleazione di principii, ma procurava d’intendere e di spiegare!



5 Alludo più specialmente agli scritti polemici di Böhm-Bawerk e di Komorzynski. Quanto allo scritto del primo (Zum Abschluss des Marxschen System), che ha levato tanto rumore, non posso a meno di manifestare la mia meraviglia per la maniera indulgente come ne ha fatto giudizio Conrad Schmidt nella Beilage al “Vorwärts” del 16 aprile 1897, n. 85.





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