III.
Roma, 10 maggio '97
Se i due autori
del socialismo scientifico (- adopero cotesta espressione non senza tema, che
il mal uso che se ne va facendo possa averla resa in certo qual modo presso che
risibile specie quando è usata a significare un certo che di scienza universale
-) fossero stati, non dirò santi di vecchia leggenda, ma per lo meno facitori
di progetti e di sistemi, che per la forma classica dai precisi contorni si
prestassero alla facile ammirazione! Nossignore: essi furono critici e
polemisti, non solo nello scrivere, ma perfino nell'atto d'operare, e non
esibirono mai le proprie persone loro e le proprie idee ad esemplare od
a modello: dichiararon sì le cose stesse, ossia i procedimenti storico-sociali,
in senso rivoluzionario, ma con animo di chi non misuri i grandi rivolgimenti
storici alla stregua della personale e fantastica impulsività. Inde le irae
di molti! Fossero stati per lo meno di quei professori umanissimi, che
scendono di tanto in tanto dal piedistallo, per onorare di loro consigli il
misero e meschino popolo, atteggiati, or d'un modo or d'un altro, a protettori
e mecenati della question sociale! Tutt'all'incontrario: - identificando
se stessi con la causa del proletariato, essi furono tutt'una cosa sola con la
coscienza e con la scienza della rivoluzione proletaria. Rivoluzionarii per
ogni rispetto compiuti (ma non passionati e passionali), pur nondimeno non
suggerirono mai, né piani combinatorii, né artificii politici, mentre del resto
spiegavano teoreticamente e aiutavano praticamente la nuova politica, che il
nuovo movimento operaio indica e precisa come una necessità attuale della
storia. In altre parole, e può sembrare quasi incredibile, furon qualcosa di
diverso e di più che dei semplici socialisti: e di fatti, molti non più
che semplici socialisti, o rivoluzionarii ancor più semplici, li ebbero spesso,
non dirò in sospetto, ma di certo in uggia e in avversione.
Non ci sarebbe
da finirla a volerle enumerar tutte le cagioni, che per lunghi anni ritardarono
la discussione obiettiva del marxismo. Voi sapete bene che in Francia il
materialismo storico è tutt'ora trattato da parecchi scrittori, che pur sono
nell'ala sinistra dei partiti rivoluzionarii, non come usa di un portato dello
spirito scientifico, sul quale la critica che attinga alla scienza abbia, come
ha di fatto, l'indubitabile diritto di esercitarsi, ma come tesi personale di
due scrittori, che, per notevoli o grandi che si fossero, rimangon sempre due
fra gli altri capiscuola del socialismo, per es., due fra i tanti X…6 dell'universo! Per spiegarmi meglio, dirò,
che contro di questa dottrina non si levarono soltanto tutte quelle buone o
cattive ragioni, le quali di solito tornan di ostacolo e d'indugio alle
innovazioni del pensiero, proprio fra i dotti di mestiere; perché assai spesso,
anzi, le obiezioni nacquero da uno speciosissimo motivo, che cioè le teorie di
Marx e di Engels fossero considerate come opinioni di compagni, e
misurate quindi al sentimento di simpatia o di antipatia pratica che quei
compagni destavano. Ecco le bizzarre conseguenze della democrazia prematura,
che non ci sia dato di sottrarre proprio nulla al controllo degl'incompetenti,
nemmeno la logica!
Ma c'è
dell'altro. All'apparizione del primo volume del Capitale nel 1867, i
professori e gli accademici, specie quei di Germania, n’ebbero come un grave
colpo sul capo. Era quello un tempo di languore per la scienza economica. La
scuola storica non avea ancora prodotto in Germania i ponderosi e spesso utili
lavori venuti in luce più tardi. In Francia, in Italia, nella Germania stessa,
menavano vita rachitica i derivati volgarissimi di quella economia vulgaris,
che fra il '40 e il '6o avea già obliterata la coscienza critica dei grandi
economisti classici. L'Inghilterra s'era acquetata in Stuart Mill; il quale,
sebbene fosse un loico di professione, come accade d'un noto tipo della nostra
commedia, fra il sì e il no rimase sempre, nei punti decisivi, del parer
contrario. Nessuno avrebbe pensato a quel tempo a questa neo-economica
degli edonisti, sorta ora assai di recente. In Germania, dove, per
ragioni evidenti, prima che altrove Marx dovea esser letto, e dove Rodbertus
rimaneva quasi ignorato, spadroneggiavano i genii della mediocrità, e sopra
tutti gli altri quel famoso emarginatore di note erudite e minute, via via
apposte a paragrafi pieni zeppi di definizioni nominali e spesso insensate, che
fu il signor Roscher. Il primo volume del Capitale parea proprio fatto a posta
per preparare ai cervelli dei professori e degli accademici una triste
delusione: essi, i dotti en titre, proprio nel privilegiato paese dei
pensatori, dovean tornare a scuola! O smarriti nei minuti particolari della
erudizione, o vogliosi di convertire l'economia in una scuola di apologetica, o
imbarazzati a trovare le plausibili applicazioni di una scienza venuta d'oltre
mare alla vita assai difforme del proprio paese, tutti cotesti professori della
terra dei dotti per eccellenza aveano dimenticata l'arte dell'analisi e della
critica. Il Capitale li costringeva a studiar daccapo; cioè a rifarsi su
gli elementi primi. Perché quel libro, quantunque uscito dalla penna di un
comunista estremo e risoluto, non recava tracce in sé di proteste o di progetti
subiettivi, ma era l'analisi spietatamente rigorosa e crudelmente obiettiva del
processo della produzione capitalistica. Nel giornalista rivoluzionario del
1848, nell'espatriato del 1849 c'era, dunque, qualcosa di assai più terribile
che non la continuazione o il complemento di quel socialismo, che la
letteratura borghese di tutto il mondo avea definito sogno da trapassati, e
vicenda politica esaurita del tutto, dopo la caduta del Cartismo, e
dacché trionfava in Francia il sinistro uomo del Colpo di stato.
Bisognava, dunque, ristudiare l'economia: cioè, questa rientrava in un periodo
critico. A onor del vero, i professori di Germania, più tardi, e cioè dal '70
in poi, e con crescendo dall'80 in qua, alla revisione critica
dell'economia ci hanno atteso con la diligenza, con la persistenza, con la
buona volontà, con la laboriosità, che i dotti di quel paese rivelan sempre in
ogni ramo di studii. Sebbene quello che scrivono non possa esser quasi mai
accettato senz'altro da noi, gli è nondimeno indubitato, che per opera loro fu
rimosso nuovamente il terreno dell'economia, fra quelli che la coltivano da
professori e da accademici, e che questa disciplina non può esser più ora
mandata a mente come una ovvia pigrorum doctrina. Da ultimo, il nome di
Marx è diventato tanto fashionable, da risuonare nelle aule accademiche
qual tema prediletto di critica, di polemica e di rimando, e non più di
semplice rimpianto e di volgare invettiva. Del ricordo di Marx è tutta
inficiata al presente la letteratura sociale della Germania.
Ma ciò non
potea accadere nel 1867. Il Capitale venne alla luce proprio in quel tempo, nel
quale la Internazionale cominciava a far parlar di sé, e a breve andare
apparve terribile, non solo per quello che intrinsecamente essa fu, e per ciò
che sarebbe di fatti diventata, senza il grave colpo che le venne dalla guerra
franco-prussiana e dal tragico incidente della Comune, ma anche per le
focose amplificazioni di alcuni dei suoi componenti, e per le mene stupidamente
rivoluzionarie di parecchi che v'entrarono da intrusi. Non era forse notorio
che l’Indirizzo inaugurale dell’Associazione dei Lavoratori (del quale Indirizzo
non è socialista che non abbia tuttora qualcosa da imparare) era uscito
dalla penna di Marx; e non s’avea forse ragione di attribuire a lui gli atti e
le deliberazioni più praticamente e politicamente risolute della Internazionale
stessa? Ora, mentre un rivoluzionario di indubitata lealtà e di singolare
acume, quale fu Mazzini, potea permettersi di confondere la Internazionale, cui
Marx rivolgeva l'opera sua, con l'Alleanza Bakuniniana, che
maraviglia c’è, se i professori tedeschi s'indugiassero tanto ad entrare nelle
vie di una critica dottrinale con l'autore del Capitale? Com'era
possibile di venire così presto a patti di discussione, a tu per tu, con un
uomo, che, mentre era, per così dire, impiccato in effigie in tutte le leggi
d'eccezione a uso Favre e consorti, ed era tenuto qual complice morale di tutti
gli atti dei rivoluzionarii, compresi gli errori e le stravaganze di costoro,
proprio nel medesimo tempo dava alla luce un libro magistrale, qual novello
Ricardo, che studii impassibile i procedimenti economici, more geometrico?
Di qui un curioso metodo di polemica, cioè una specie di processo alle
intenzioni dell'autore; cioè il tentativo di dare a credere, che quella scienza
fosse stata, come a dire, escogitata per colorire delle tendenze: insomma, per
molti anni, la polemica tendenziosa sostituita all'analisi obiettiva7.
Ma il peggio
gli è, che gli effetti di cotesta critica grossolanamente errata si fecero
sentire proprio nelle menti dei socialisti, e specie in quelle della gioventù
intellettuale, che fra il '70 e l'80 si volse alla causa del
proletariato. Molti dei focosi rinnovatori del mondo di quel tempo lì,
- e in Germania
la cosa è più chiara, perché ha lasciato tracce di sé nelle polemiche del
partito, e nella minuta letteratura - si misero su la via di proclamarsi
seguaci delle teorie marxiste, pigliando proprio per moneta contante il
marxismo più o meno inventato dagli avversarii. Il caso più paradossale di
tutta la equivocazione sta in questo: che i correnti alle facili illazioni,
come capita anche ora ai novellini, mescolando allora cose vecchie a cose
nuove, credessero, che la teoria del valore e del sopravvalore, come
si presenta di solito semplicizzata in facili esposizioni, contenga hic et
nunc il canone pratico, la forza impulsiva, anzi la morale e la giuridica
legittimità di tutte le rivendicazioni proletarie. Non è forse una grande
ingiustizia, che milioni e milioni di uomini sian privati del frutto del loro
lavoro? L'enunciato è tanto semplice e tanto pietoso, che tutte le nuove
bastiglie dovranno cadere d'un tratto innanzi alle nuove trombe di Gerico,
scientificamente intonate! Concorrevano in cotesta così spiccia semplificazione
molti degli errori teorici di Lassalle; così quelli che gli furon proprii per
relativa inscienza (- la legge ferrea del salario! ossia una
mezza verità relativa che diventa un totale errore, per manco di circostanziata
specificazione -), come quelli che possono dirsi, nel caso suo, espedienti da
agitatore (- le famose cooperative sussidiate dallo stato -). Del resto, per
chi si metta su la via di confinare tutta la profession di fede del socialismo
nella semplicissima illazione, dallo sfruttamento riconosciuto, alla
rivendicazione, sicura solo perché legittima, degli sfruttati, non ha che a
fare un passo sul terreno assai liscio della logichetta, per ridurre tutta la
storia del genere umano ad un caro di coscienza, e lo svolgersi
successivo di tante forme di vita sociale come a tante variazioni di un
continuato errore di contabilità.
Fra il '70 e
l'80, e poco dopo, insomma, si andò formando intorno al vago concetto di un certo
che, ossia del socialismo scientifico, una specie di neoutopismo, che,
come i frutti fuor di stagione, fu veramente insipido. E che altro è l'utopismo,
cui manchi il genio di Fourier e l'eloquenza di Considérant, se non cosa da
ridere? Di questo neoutopismo, che rifiorisce di tanto in tanto anche al
presente, se ne sa non poco in Francia: se non altro per le lotte sostenute con
altre sette e scuole da quei valorosi dei nostri amici, che nel programma del partito
operaio rivoluzionario intesero e seppero pei primi condurre il
socialismo su la linea della cosciente lotta di classe, e della progressiva
conquista del potere politico da parte del proletariato. Solo nell'esperienza
di tale giostra pratica, solo nello studio cotidiano della lotta di classe,
solo nella prova e riprova delle forze proletarie raccolte già in fascio e
concentrate, ci è dato di verificare, les chances del socialismo: se no,
si è e si rimane utopisti, anche nel riverito nome di Marx.
Contro di
cotesti neoutopisti, non altrimenti che contro i sopravvissuti
delle vecchie scuole, e contro le varie deviazioni del socialismo
contemporaneo, i due nostri autori aguzzaron sempre e di continuo gli strali
della critica. Come nella loro lunga carriera fecero della loro scienza la
guida della loro pratica, e dalla loro pratica trassero materia e indicazione
ad una più approfondita scienza, come non trattaron mai la storia qual cavallo da
inforcare e da mettere al trotto, né si dettero alla ricerca di formule atte a
destare le momentanee illusioni; così furono, per la necessità delle cose,
portati a misurarsi in critica aspra, violenta, risoluta, con tutti quelli, che
agli occhi loro apparivano capaci di nuocere al movimento proletario. Chi non
ricorda? - i proudhonisti per esempio, di qua, con la pretesa di distruggere lo
stato astraendone ad arte, come chi chiuda gli occhi e finga di non vedere; -
di là quei blanquisti d'un tempo, che lo stato voleano togliersi in mano per
forza, per poi fare la rivoluzione; - e Bakunin che si caccia
surrettiziamente nell'Internazionale, e costringe gli altri a
scacciarnelo; - e poi di qua e di là la pretesa delle tante scuole del
socialismo, e la concorrenza di tanti capitani!
Da che Marx
stritolò in una verbale polemica l'ingenuo Weitling8, fino alla sua terribile critica del programma di
Gotha (1875), apparsa poi invero assai tardivamente (1890), la sua vita fu una
continua lotta, non solamente con la borghesia e con la politica che questa
rappresenta, ma ancora con le varie correnti, o rivoluzionarie o reazionarie,
che a torto o per rovescio sono andate pigliando il nome di socialismo. Queste
lotte si acuirono nella Internazionale, e dico di quella di gloriosa
memoria, che lascia fino ad oggi traccia così grande di sé in tutta l'azione
odierna del proletariato, e non della caricatura che se ne fece dappoi. Lo
strascico maggiore di polemiche contro il marxismo, ridotto, nella fantasia di
certi critici, ad una semplice varietà di scuola politica, è dovuto alla
tradizione di quei rivoluzionarii, che, specie nei paesi latini, riconobbero in
Bakunin il loro duce e maestro. Gli anarchisti di oggi, che altro ripetono se
non le querimonie e gli errori di quei tempi andati?
Forse venti
anni addietro, fatta eccezione di quei dotti, che rimasticano a casa le cose
lette nei libri, dei due fondatori del socialismo scientifico la generalità del
pubblico italiano non risapea, se non quel tanto che s'era serbato, per
memoria, delle invettive di Mazzini e delle malignazioni di Bakunin.
Ed ecco come il
comunismo critico, che cosi tardi è stato ammesso agli onori della discussione
nella cerchia della scienza ufficiale, ha avuto contro di sé, nel campo del
socialismo stesso, la più grave delle avversità: la inimicizia degli amici.
Tutte coteste
difficoltà, o furono già superate, o sono in buona parte prossime a sparire.
Non per la
virtù intrinseca delle idee, che non ebbero mai né piedi per andare, né mani
per afferrare, ma per il solo fatto, che, da per tutto dove son nati dei
partiti socialistici, i programmi di questi partiti sono andati assumendo un
comune indirizzo, è da ultimo accaduto, che i socialisti di tutti i paesi sian
venuti a collocarsi, per la imperiosa suggestione delle cose, nell'angolo
visuale del Manifesto dei Comunisti. Non vi pare che io sia giunto in
tempo opportuno a scrivere la commemorazione di questo? Le classi degli
sfruttatori van facendo alla massa degli sfruttati in ogni parte del mondo
condizioni quasi da per ogni dove identiche: ond'è, che da per tutto i
rappresentanti attivi di questi sfruttati entrano nelle medesime vie di
agitazione, e seguono gli stessi criterii di propaganda e di organizzazione.
Ciò molti chiamano marxismo pratico e sia! Che giova di litigar su le
parole? Quando anche il marxismo per molti si riduca alla semplice parola, anzi
alla riverenza per il ritratto di Marx, per il suo busto in gesso, o per la sua
effigie sul ciondolo (- su cotesti innocenti simboli la polizia italiana
esercita così spesso il suo buon umore -), il fatto è che cotesta unità
simbolica sta a significare, che l'unirà reale è per lo meno avviata, e che il
proletariato di tutto il mondo è in atto di avvicinarsi, poco per volta, ad una
certa similarità di tendenze; ossia che in esso la internazionalità si
elabora di lunga mano per ragioni obiettive. Coloro che usano il linguaggio dei
decadenti della borghesia, scambiando, com'è loro uso, la cosa col simbolo,
vanno ora dicendo, che questo è il trionfo del signor Marx; tal quale come se
altri dicesse, che il cristianesimo è il trionfo (e perché non dire a dirittura
il successo?) del signor Gesù di Nazaret; di un signor Gesù, che, deposto e
destituito dalla qualità di figlio di dio fattosi uomo, divenga, come nello
stile tra il molle e lo sdilinquito del vostro Renan un uomo così
fanciullescamente divino da parere un iddio.
Innanzi a
questo esperimento intuitivo della politica del socialismo, il che è quanto
dire della politica del proletariato, son cadute le vecchie divergenze delle
scuole, alcune delle quali erano in fatto divarii e screziature di vanità
letteraria, per cedere il posto alle utili divergenze, che nascono spontanee
dal vario modo di trattare i problemi pratici. Nel fatto, in concreto, ossia nello
svolgimento positivo e prosaico del socialismo, poco importa se tutti i suoi
capi, condottieri, oratori e rappresentanti si conformino o non si conformino
ad una dottrina, e ne facciano o non ne facciano professione palese. Il
socialismo non è una chiesa, né una setta, cui occorra il dogma o la formula
fissa. Se oggi da molti si parla del trionfo del marxismo, cotesta enfatica
espressione, quando sia ridotta ad una forma crudamente prosaica, viene a dire
che nessuno può essere d'ora innanzi socialista, se non a patto di domandarsi
ogni istante: in questa data situazione, che cosa conviene di pensare, di dire
o di fare nell'interesse del proletariato? Non saran più possibili i
dialettici, che siano in verità dei sofisti, come fu Proudhon, né gl’inventori di
sistemi sociali subiettivi, né i facitori di rivoluzioni private9. La indicazione pratica del
fattibile è data dalla condizione del proletariato, e questa è apprezzabile e
misurabile appunto perché c'è la stregua del marxismo (intendo qui la cosa
effettuale e non il simbolo) come dottrina progressiva. Le due cose, ossia il
misurabile e la misura, fanno uno dal punto di vista generale del processo
storico, specie quando siano considerate a conveniente distanza.
E vedete di
fatti, che, mentre i contorni del socialismo come azione pratica si vanno
precisando, tutte le antiche poesie e ideologie si disperdono, lasciando dietro
di sé la semplice traccia fraseologica. Al tempo stesso è cresciuto nel campo
della scienza accademica, per tutti i versi e in tutti i sensi, il criticismo
della dottrina economica. L'esule Marx è tornato, dopo morto, nell'ambito della
scienza ufficiale; per lo meno come avversario col quale non sia lecito di
scherzare. E come per tante vie i socialisti sono arrivati alla coscienza
prosaica di una rivoluzione, che non può esser macchinata, ma che si fa
perché diventa, così s'è andato lentamente preparando il pubblico, per il
quale il materialismo storico risponde a un vero e proprio bisogno
intellettuale. Negli ultimissimi anni, come vedete, furon molti quelli che in
questa dottrina han messo bocca; sia pur male, od a sproposito. Dunque, se
guardate bene, non si arriva in ritardo. Da giovane io sentii più volte
ripetere questa storiella, che, cioè, Hegel dicesse: un solo dei miei scolari
mi ha capito. La storiella non si presta a verifiche, perché quel tale scolaro
verissimo non fu fino ad ora identificato. Questa storiella può ripetersi
all'infinito, da sistema a sistema, e da scuola a scuola. Come in fatto di
attività intellettuale non c'è luogo alla suggestione, e come il pensiero non
si trasfonde meccanicamente da cervello a cervello, così i grandi sistemi non
si diffondono, se non per la similarità delle condizioni sociali, che vi
dispongano e v'inclinino molte menti in uno e medesimo tempo. Il materialismo
storico si allargherà, si diffonderà, si specificherà, avrà esso stesso una
storia. Forse da paese a paese avrà modalità e colorito diverso. E ciò non sarà
gran male; purché rimanga in fondo il nocciolo, che n'è, come a dire, tutta la filosofia.
Per es., dei postulati come questi: - nel processo della praxis è la
natura, ossia l'evoluzione storica dell'uomo: - e dicendo praxis, sotto
questo aspetto di totalità, s'intende di eliminare la volgare opposizione tra
pratica e teoria: - perché, in altri termini, la storia è la storia del lavoro,
e come, da una parte, nel lavoro così integralmente inteso è implicito lo
sviluppo rispettivamente proporzionato e proporzionale delle attitudini mentali
e delle attitudini operative, così, da un'altra parte, nel concetto della
storia del lavoro è implicita la forma sempre sociale del lavoro stesso, e il
variare di tale forma: - l'uomo storico è sempre l'uomo sociale, e il presunto
uomo presociale, o supersociale, è un parto della fantasia: - e così via.
E... qui faccio
punto, principalmente per non ripetermi, e per non ripetere a voi buona parte
delle cose che ho messo nei due saggi: - del che voi non sentite, mi pare, il
bisogno, e io, veramente, nemmeno.
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