Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Antonio Labriola
Discorrendo di socialismo e di filosofia

IntraText CT - Lettura del testo

  • VI.
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

VI.

Roma, 28 maggio '97

 

Nella biografia scientifica dei due nostri grandi autori c’è una lacuna. Nel 1847 una loro opera viaggiava per la stamperia; ma rimase poi inedita per ragioni accidentali20.

In quel libro, che è rimasto un semplice manoscritto, e che, per quanto io sappia, non fu visto dappoi da nessun altro dagli autori in fuori21, essi, come se facessero un esame di coscienza, fissarono la loro veduta nel campo filosofico, a raffronto delle altre correnti contemporanee. Che cotesto esame fosse fatto in relazione principalmente ai derivati dell'hegelismo, e al contraccolpo materialistico di esso nella dottrina di Feuerbach, non v'è dubbio alcuno. Oltre alle ragioni generali del movimento filosofico del tempo, stanno in favore di questa opinione i brani di articoli di giornali e di riviste, che, come reliquie del Marx polemista d'allora, furon di recente pubblicati dallo Struve nella “Nene Zeit”. Ma quale era la complessiva posizione mentale dei due scrittori? quale era il loro orizzonte bibliografico? quale atteggiamento assumevano verso gli altri fermenti della scienza, che son poi fioriti in tante rivoluzioni, così nel campo della filosofia naturale, come in quello della filosofia storica, e quale notizia vi aveano essi? A tutte coteste domande non è dato di rispondere adeguatamente. Si capisce, del resto, che, se a nessuno può rincrescere d'aver pubblicato da giovane degli scritti, che da vecchio non scriverebbe a quel modo, il non averli pubblicati a suo tempo è grave impedimento agli autori stessi per tornarci su; cosicché Engels diceva, che quell'opera avesse in fondo prodotto tutto l'effetto suo: fissare, cioè, l'orientazione di quelli che la scrissero.

E poi dopo di quel tempo, presa che ebbero la loro via, i due autori non scrissero più di filosofia nel senso differenziato della parola22. Non solo le loro occupazioni di agitatori pratici, di pubblicisti, e d'intesi a seguire il movimento proletario, influendo sopra di esso, ma la stessa vocazione mentale loro li distoglieva dal mestiere di filosofi en titre. Sarebbe per ciò cosa vana l'andar passo passo ricercando che opinione si facessero essi, nei loro studii e letture, dei nuovi portati della scienza, in quanto questi venivano o non venivano a recar sussidio al nuovo indirizzo di filosofia storica da loro escogitato. Certo che nella psicologia, come s'è da ultimo svolta, nell'acuito criticismo nel campo della filosofia professionale, nella scuola dell'economia storica, nel darwinismo, così nel senso specifico come nel senso lato, nella cresciuta tendenza alla storicità nel considerare i fenomeni naturali, nelle scoverte della preistoria delle istituzioni, e nella inclinazione sempre più forte verso la filosofia della scienza, ci è dato di riconoscere come dei sussidii e come dei casi analogici al prodursi del materialismo storico. Ma sarebbe cosa ridicola il voler misurare alla stregua di ciò che è debito d'un redattore d'una “Rivista critica", che è la bibliografia all'opera, o del professore che sciorina agli scolari le impressioni successive delle sue lettere, il lavoro di assimilazione della scienza contemporanea, che potean fare, o effettivamente fecero, quei due pensatori, i quali disponevano d'un così specifico e specificato angolo visuale, e aveano nel materialismo storico un individuato istrumento di ricerca e di riduzione. E in ciò consiste, del resto, ciò che chiamiamo la originalità; e fuori di tali confini questa parola significherebbe l'assurdo. Non scrivendo più di filosofia, nel senso professionalmente differenziato e differenziale, finiron per essere i più perfetti esemplari di quella filosofia scientifica, che per molti è un semplice pio desiderio, per altri è un mezzo di spiattellare in nuova dicitura fraseologica le ovvie cognizioni della scienza empirica, alcune volte è una forma generica di razionalismo, e al postutto non è possibile, se non a chi entri nei particolari della realtà con la penetrazione che è propria di un metodo genetico inerente alle cose. Engels da ultimo scriveva: “Dal momento che per ogni scienza diventa una necessità il venire in chiaro su la sua propria posizione nell'insieme delle cose e della conoscenza delle cose, la scienza speciale dell'insieme diventa superflua. Ciò che della filosofia, svoltasi fino ad ora, rimane tuttora come per sé stante, gli è la dottrina del pensiero e delle sue leggi - la logica formale e la dialettica. Tutto il resto si risolve nella scienza positiva della natura e della storia23.

Agli eruditi, ai ricercatori di tèmi per dissertazione, ai dottori novellini, tutto è possibile. Come han messo assieme l'etica di Erodoto, la psicologia di Pindaro, la geologia di Dante, l'entomologia di Shakespeare e la pedagogica di Schopenhauer, così a fortiori, e a più giusto titolo, potrebbero scrivere della logica del Capitale, anzi costruire un insieme della filosofia di Marx, tutta specificata e spartita secondo le sacramentali rubriche della scienza professionale. Question di gusti! - io che, per esempio, preferisco l'ingenuità di Erodoto e la poderosità di Pindaro alla erudizione che ne stemperi gli unitarii prodotti in amminicoli di postuma analisi, lascio volentieri al Capitale la integralità sua, a produrre la quale concorrono organicamente tutte le nozioni e conoscenze, che allo stato differenziato han nome di logica, di psicologia, di sociologia, di diritto e di storia nel senso ovvio; - e ci concorre anche quella singolare flessibilità e flessuosità del pensiero, che è la estetica della dialettica.

Rimane per ciò quel libro, e rimarrà sempre, analizzabile sì nei particolari, ma inafferrabile nell'insieme, per gli empiristi puri, per gli scolasticisti dalle definizioni nette e non convertibili nel flusso del pensiero, per gli utopisti d'ogni maniera, e soprattutto per gli utopisti del liberismo e pei libertarii, che sono, dal più al meno, anarchisti senza saperlo. Immergersi nel concreto delle correlatività sociali e storiche gli è cosa per molti intelletti di una difficoltà quasi insuperabile. Invece di pigliare l’insieme sociale, come un dato in cui geneticamente si svolgono delle leggi, le quali sono relazioni di movimento, molti han bisogno di rappresentarsi delle cose fisse, per es., l'egoismo di qua, l'altruismo di , e così via. Il caso caratteristico è quello dei moderni edonisti. Non si arrestano alla compagine sociale, come al dato specifico della dottrina economica, ma risalgono ai giudizi di valutazione, come alla premessa (logico-psicologica) della Economica. In questi giudizii trovano una scala, e studiano (per la più parte in forma tipica ed ipotetica) i gradi di essa; come chi studiasse nell'estetica formale i soli gradi del compiacimento. Di fronte a tali valutazioni (o gradi dell'apprezzamento del bisogno) stanno le cose, che sono i beni; e queste cose vengono esaminate nella loro relazione con gli apprezzamenti, tenuto conto della loro quantità disponibile ed acquisibile, il che determina per esse la qualità di valori, il limite dei valori ed il valore-limite. Costituita così la posizione astratta e generica della economicità, indifferentemente, così per le cose di cui la natura ci è prodiga, come per quelle che costano agli uomini il sudore della fronte (e l'ingrato lavoro della storia), la povera economia ovvia e comune, ossia la economia della convivenza che ci è familiare, e su la quale si sono travagliati i teoretici di scuola classica, e i critici del socialismo, diventa come un caso particolare di un'algebra universalissima. Il lavoro, che per noi è il nerbo stesso del vivere umano, ossia l'uomo stesso che si svolge, diventa in cotesta veduta, o lo sforzo per evitare una pena, o la minor pena. In cotesta astratta atomistica delle conazioni, degli apprezzamenti e delle quantità di beni, non si sa più che cosa sia la storia, e il progresso si risolve in una mera parvenza.

 

 

Se mai occorresse di formulare, non sarebbe fuori di luogo il dire, che la filosofia implicita al materialismo storico è la tendenza al monismo; - e uso la parola tendenza, accentuandola. Dico tendenza, e aggiungo tendenza critico-formale. Non si tratta già, insomma, di tornare alla intuizione teosofica o metafisica della totalità del mondo, come se noi, per atto di cognizione trascendente, giungessimo issofatto alla visione della sostanza a tutti i fenomeni e processi sottostante. La parola tendenza esprime precisamente l'adagiarsi della mente nella persuasione, che tutto è pensabile come genesi, che il pensabile, anzi, non è che genesi, e che la genesi ha i caratteri approssimativi della continuità. Ciò che differenzia cotesto senso della genesi dalle vaghe intuizioni trascendentali (per es., Schelling) è il discernimento critico, e quindi il bisogno di specificare la ricerca: ossia il riavvicinamento all'empirismo per ciò che concerne il contenuto del processo, e la rinuncia alla pretesa di recarsi in mano lo schema universale di tutte le cose. I volgari evoluzionisti fanno così: afferrata la nozione astratta del divenire (evoluzione), ci caccian dentro ogni cosa, dal concretarsi della nebulosa alla fatuità loro. Così facevano i ripetitori di Hegel, col ritmo soprastante e perpetuo, della tesi, antitesi e sintesi. Ragione precipua dell'accorgimento critico, col quale il materialismo storico corregge il monismo, è questa: che esso parte dalla praxis, cioè dallo sviluppo della operosità, e come è la teoria dell'uomo che lavora, così considera la scienza stessa come un lavoro. Porta infine a compimento il senso implicito alle scienze empiriche; che noi, cioè, con l'esperimento ci riavviciniamo al fare delle cose, e raggiungiamo la persuasione, che le cose stesse sono un fare, ossia un prodursi.

Il brano dell'Engels citato più innanzi potrebbe, però, dar luogo a delle curiose illazioni; come chi si pigliasse tutta la mano, quando altri gli ha offerto il dito. Dato ed ammesso, che la logica e la dialettica continuino a sussistere come per sé stanti, non può esser questa, si direbbe, occasione propizia a rimettere a novo tutta la enciclopedia filosofica? Rifacendo, a parte a parte, e per ogni singolo ramo di scienza, il lavoro di astrazione degli elementi formali che vi sono impliciti, si riesce a scrivere dei vasti e comprensivi sistemi di logica, come son quelli esemplari del Sigwart e del Wundt; le quali, in verità, son delle vere enciclopedie della dottrina dei principii del sapere. Ora se è questo il desiderio dei filosofi professionali, stiano pur tranquilli, che le loro cattedre non saranno abolite. La division del lavoro nel campo intellettuale si presta praticamente a molte combinazioni. Se c'è chi voglia compendiare in forma schematica i principii, coi quali noi ci rendiamo conto di un determinato gruppo di fatti, per es., di un determinato ordinamento giuridico, nulla osta che egli cotesta disciplina24 chiami scienza generale del diritto o anche, se gli piace, filosofia del diritto, purché si rammenti che riduce a sistema (empirico) un ordine di fatti storici; ossia che coglie una categoria storica come il divenuto del divenire.

Tendenza (formale e critica) al monismo, da una parte, virtuosità a tenersi equilibratamente in un campo di specializzata ricerca, dall'altra parte: - ecco il resultato. Per poco che s'esca da questa linea, o si ricade nel semplice empirismo (la nonfilosofia), o si trascende alla iperfilosofia, ossia alla pretesa di rappresentarsi in atto l'Universo, come chi ne possedesse la intuizione intellettuale.

Leggete, di grazia, se non l'avete già letta, la conferenza di Haeckel sul monismo, che fu volgarizzata in Francia da un appassionato darwinista della sociologia25. In quell'insigne scienziato si confondono tre attitudini diverse: una maravigliosa capacità alla ricerca e dichiarazione dei particolari, una profonda elaborazione sistematica dei particolari appurati, e una poetica intuizione dell'Universo, che pur essendo della immaginazione, alcune volte pare della filosofia. Ma mettere voi, illustre Haeckel, tutto l'Universo, dalle vibrazioni dell'etere alla formazione del cervello; ma che dico del cervello, anzi giù giù, dopo questo, dalle origini dei popoli e degli stati e dell'etica fino ai tempi nostri, compresi i principotti protettori della vostra Università di Iena, ai quali fate le riverenze, in sole 47 pagine in-8°, è cosa superiore per fino all'eccellenza dell'ingegno vostro! Non vi sovviene forse di quei tanti buchi, che l'Universo presenta anche alla provetta scienza nostra: o avete a casa un grande armadio pieno di quei berretti da notte, che Heine dicea usassero gli hegeliani a covrire quei buchi? O non vi ricordate di cosa che dovrebbe più direttamente scottarvi: quel tale batibio, che prese nome da voi in una scoverta dell'Huxley, che era poi, viceversa, un solenne qui- pro-quo?

 

 

Dunque, tendenza al monismo, ma al tempo stesso coscienza precisa della specialità della ricerca. Tendenza a fondere scienza e filosofia, ma, medesimamente, continuata riflessione su la portata e sul valore di quelle forme del pensiero, che usiamo in concreto, e che pur possiamo distaccar dal concreto, come accade nella logica stricto jure, e nella teoria generale della conoscenza (che voi chiamate metafisica). Pensare in concreto, e pur poter riflettete in astratto su i dati e su le condizioni della pensabilità. La filosofia c'è e non c'è26. Per chi non c’è ancora arrivato, essa è come il di dalla scienza. E per chi c’è arrivato, essa è la scienza condotta a perfezione.

Oggi, come in passato, noi possiamo scrivere, su i dati astratti da una determinata esperienza, dei trattati per es., di etica o di politica, e possiamo dare alla trattazione tutta la perspicuità del sistema: purché ci ricordiamo di questo, che le premesse cioè si ricollegano geneticamente ad altro; purché non cadiamo nella illusione (metafisica) di considerare i principii come degli schemi ab aeterno, ossia come le sopraccose delle cose dell'esperienza.

A questo punto nulla c'impedisce di enunciare una formula come la seguente: tutto il conoscibile può essere conosciuto; e tutto il conoscibile sarà, all'infinito, realmente conosciuto; e di dal conoscibile, a noi, nel campo della conoscenza, non importa nulla di null'altro. Questo generico enunciato, nel suo aspetto pratico, si riduce a dire: che la conoscenza tanto importa per quanto ci è dato di realmente conoscere, e che è una mera fantasticheria l'ammettere, che la mente riconosca, come esistente in atto un'assoluta differenza tra il limitato conoscibile e ciò che è per sé inconoscibile: - un inconoscibile, che io dichiaro di conoscere come inconoscibile! Come fate voi, von Hartmann, a bazzicare da tanti anni con l'Inconsapevole, che voi così consaputamente vedete operare; e voi, signor Spencer, a manovrate di continuo col riconoscimento dell'Inconoscibile, che in fondo voi in qualche modo sapete, se ne

fate il limite del conoscibile? In fondo a cotesta fraseologia dello Spencer si cela il dio del catechismo; - c’è, insomma, il residuo di una iperfilosofia, che rassomiglia, come la religione, al culto di quell'ignoto, che, in uno e medesimo tempo si dichiara ignoto, e pur si afferma di conoscere in certa guisa facendone oggetto di riverenza. In tale stato d'animo la filosofia è ridotta allo studio dei fenomeni (parvenze), e il concetto di evoluzione non implica punto che la realtà stessa divenga.

Per il materialismo storico il divenire, ossia l'evoluzione, e invece reale, anzi è la realtà stessa; come è reale il lavoro, che è il prodursi dell'uomo, che ascende dalla immediatezza del vivere (animale) alla libertà perfetta (che è il comunismo). In questa inversione pratica del problema della conoscibilità, noi ci rechiamo interamente in mano la scienza, in quanto essa è il fatto nostro. Una nuova vittoria sul feticcio! Il sapere è per noi un bisogno, che empiricamente si produce, si raffina, si perfeziona, si corrobora di mezzi e di tecnica, come ogni altro bisogno. Noi via via conosciamo ciò che ci occorre di conoscere. L'esperimentare è un crescere; e ciò che chiamiamo il progresso dello spirito, non è se non un accumularsi di energie di lavoro. In cotesto prosaico assunto si risolve quell'assolutezza della conoscenza, che era per gli idealisti un postulato di ragione, o una argomentazione ontologica27. Quella tal cosa (così detta in sé), che non si conosce, né oggi, né domani, che non si conoscerà mai, e che pur si sa di non poter conoscere, non può appartenere al campo della conoscenza, perché non si conoscenza dell’inconoscibile. Se un simile assunto entra nella cerchia della filosofia, gli è perché la coscienza del filosofo non è tutta fatta di scienza, ma consta ancora di tanti altri elementi sentimentali ed affettivi, da cui, sotto l’impulso della paura, e per tramite della fantasia e del mito, si generano combinazioni psichiche, le quali, come in passato impedirono lo sviluppo della cognizione razionale, così ora adombrano il campo del sapere meditato e prosaico. Pensiamo alla morte. Essa è teoricamente insita alla vita. La morte, che pare così tragica negli individui complessi, che alla comune intuizione appariscono come i veri e proprii organismi, è immanente agli elementi primissimi della sostanza organica, per la estrema labilità e per la circoscritta plasticità del protoplasma. Ma tutt'altro è la paura della morte - ossia l'egoismo del vivere! E così è di tutte le altre affettività e tendenze passionali, che, nelle loro derivazioni mitiche, poetiche e religiose, gettarono, gettano e getteranno in varia proporzione le ombre loro sul campo della coscienza. La filosofia dell'uomo puramente teoretico che tutte le cose contempli sotto l'aspetto del proprio esser loro, gli è come il tentativo di far passare il pensiero astratto su tutto il campo della coscienza, senza che v'incontri, né deviazioni, né attriti. Ecco Baruch Spinoza, il vero eroe del pensiero, che se stesso contempla in quanto gli affetti e le passioni, a guisa di forze della interiore meccanica, gli si trasmutano in obietti di considerazione geometrica!

En attendant che in una futura umanità di uomini quasi trasumanati, l'eroismo di Baruch Spinoza divenga la virtù minuscola di tutti i giorni, e che i miti, la poesia, la metafisica e la religione non ingombrino più il campo della coscienza, contentiamoci che fino ad ora, e per ora, la filosofia, così nel senso differenziato, come nell'altro, sia servita quale istrumento critico e serva, per rispetto alla scienza, a mantenere la chiaroveggenza dei metodi formali e dei procedimenti logici, e per rispetto alla vita a diminuire gl'impedimenti che all'esercizio del libero pensiero frappongono le fantastiche proiezioni degli affetti, delle passioni, dei timori e delle speranze; ossia giovi e serva, come direbbe precisamente Spinoza, a vincere l'imaginatio e l'ignorantia.

 





20 Cfr. Marx, Zur Kritik der politischen Oekonomie, Berlin, p.6, - ed. Engels, Ludwig Feuerbach, ed., 1888, pp. III-IV.



21 Chiesi una volta all’Engels se volesse dar visione di quel manoscritto non a me, ma all’anarchista Mackay, che tanto si interessa dello Stirner, e mi rispose trovarsi pur troppo quelle carte già mezzo rose dai topi.



22 Fatta eccezione s’intende, dei primi capitoli dell’Antidühring, che son, del resto, di carattere polemico, e dello scritto di Engels su Feuerbach, che nella sostanza non è se non una estesa recensione di un libro, con alcune osservazioni retrospettive e personali.



23 Antidühring, ed., 1894, p. 11.



24 La qual parola (disciplina) indica precisamente il prevalere delle ragioni didattiche in certi aggruppamenti di conoscenze.



25 Le monisme lien entre la religion et la science, traduction de G. Vacher de Lapouge, Paris 1897.



26 Ho qui sott’occhi un curioso libro (di pp. XXIII e 539, in grande!) del professore R. Wahle della Università di Czernowitzdestinato a dimostrare (non ne riproduco il titolo, che è assai diffuso e quasi ragionativo, ed. Braumüller, Vienna 1896), che la filosofia è giunta alla sua fine. Peccato che il libro sia tutto di filosofia da un capo all’altro. Vuol dire che essa, la filosofia, per negar se stessa, deve affermarsi!



27 Il postulato dell’assolutezza era perfino implicito nelle prove dell’esistenza di dio, e specie nell’argomento ontologico. In me ente finito, ed imperfetto, con la conoscenza limitata, esiste la capacità di pensare l’essere infinito e perfettissimo, che tutto conosce. Dunque io stesso sono…perfetto! Ed ecco che capita a Cartesio di fare (in un luogo quasi inavvertito dai critici) questo singolare trapasso dialettico, che per lui rimane però un semplice dubbio: ”Mais peut-être aussi que je suis quelque chose de plus que je ne m’imagine, et que toutes les perfections que jattribue à la nature d’un Dieu sont en quelque façon en moi en puissance, quoi-quelles ne se produisent pas encore et ne se fassent point paroître par leurs actions. En effet, jexperimente déjà que ma connaissance s’augmente et se perfectionne peu à peu; et je ne vois rien qui puisse empêcher quelle ne s’augmente ainsi de plus en plus jusques à l’infini, ni aussi pourquoi, étant ainsi accrue et perfectionnée, je ne pourrois pas acquérir par son moyen toutes les autres perfections de la nature divine, ni enfin pourquoi la puissance que j’ai pour l’acquisition de ces perfections, s’il est vrai quelle soit maintenant en moi, ne seroit pas suffisante pour en produire les idées” (Oevres de Descartes, ed. di V. Cousin, I, pp. 282-83).





Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2008. Content in this page is licensed under a Creative Commons License