VII.
Roma, 16 giugno '97
Mi capita un
bel caso. Mentre pareami di non esser venuto al termine ancora di queste mie
epistole, m'è toccato di dover discorrere delle stesse precise cose, delle
quali mi vado intrattenendo con voi, in altro luogo, in altra forma, e d'animo
men lieto.
In uno degli
ultimi numeri della “Critica Sociale” apparve una specie di messaggio, che il
signor Antonio De Bella, sociologo calabrese, dirigeva contro quei socialisti
esclusivi, che per ogni cosa ed in ogni questione, a quel che dice lui, se ne
stanno al verbo di Marx. Il De Bella ha mancato di farci sapere, se il Marx,
cui quelli che tartassa s'appellano, sia il genuino, o un altro così per dire
alterato, o a dirittura inventato, un Marx biondo, o che so io altro. Il fatto
è che m'ha concesso l'onore di metterci anche me nel branco di cotesti ostinati,
cui rivolge i suoi moniti e i suoi consigli, perché si completino d'altra più
vasta coltura sociologica e naturalistica. Cita invero il solo mio nome, senza
dire a quale mio scritto, detto o fatto intenda di richiamarsi: e poi giù un
pochino del solito catechismo della sociologia intinta di darwinismo, con la
inevitabile filastrocca di tanti nomi di autori.
Credetti
opportuno di rispondere; un po' per dire sommariamente, come il socialismo
scientifico non si trovi poi tanto a mal partito, da aver proprio bisogno di
certi consigli; per mostrare, che i complementi suggeriti dal De Bella, o sono
i sottintesi, o sono il contrario del marxismo; e soprattutto perché,
trovandomi da un pezzo in qua in vena di conversare con voi di socialismo e di
filosofia, m'è parso opportuno di fissare con note ad hominem parecchie
delle considerazioni critiche, che vado svolgendo tête-à-tête con voi,
con una certa tal quale bizzarria di forma.
Vi mando la mia
risposta, come è apparsa nella “Critica Sociale” di ieri. E anche questa è una
lettera; e, sebbene non sia diretta a voi, potete metterla nella collezione,
come se facesse seguito. Completa e riassume le altre, con qualche leggera e
scusabile ripetizione.
Questa lettera extra,
che indirizzavo al direttore della “Critica Sociale”, non è dolce di sale.
Non la scrissi proprio con l'intenzione di far cosa grata al signor De Bella.
C'è del cattivo umore. Forse questo umor di critica rivelante amarezza m’è
venuto dal fatto, che, standomene io con la mente rivolta allo studio di questo
grave problema dei rapporti del materialismo sociale col rimanente della
intuizione scientifica contemporanea, m'è parso che i consigli del signor De
Bella, - che del resto non stava a spiare quel che io vado scrivendo a voi, -
fossero, per lo meno quanto a me, inopportuni; se non altro perché non avrei la
fantasia di chiedergliene.
Roma, 5 giugno '97
Caro Turati,
Non mi è ben
chiaro se il De Bella, nominandomi, parli proprio di me. Sarei anzi inclinato a
credere, che egli rivolga la sua tirata a un mannequin di sua
fattura, al quale abbia, commoditatis causa, appiccicato il nome mio.
Comunque sia, dal momento che mescola il mio nome alle sue meditazioni, io non
posso a meno di aggiungere alla vostra una nuova postilla.
Com'è risaputo,
io entrai esplicitamente e pubblicamente nelle vie del socialismo solo dieci
anni fa28. Dieci anni
sono un tratto di tempo non veramente lungo nella mia esistenza fisica, giacché
ne conto ormai quattro oltre il mezzo secolo; ma sono un tratto a dirittura
breve nella mia vita intellettuale. Prima, insomma, di diventar socialista, io
avevo avuto inclinazione, agio e tempo, opportunità ed obbligo d'aggiustar le
mie partite ed i miei conti col darwinismo, col positivismo, col neokantismo, e
con quanto altro di scientifico si è svolto intorno a me, e ha dato a me
occasione di svolgermi tra i miei contemporanei, poiché tengo cattedra di
filosofia all'Università dal 1871, e per l'innanzi ero stato studioso di
ciò che occorre per filosofare. Volgendomi al socialismo, non ho chiesto a Marx
l'abicì del sapere. Al marxismo non ho chiesto, se non ciò ch'esso
effettivamente contiene: ossia quella determinata critica dell'economia che
esso è, quei lineamenti del materialismo storico che reca in sé, quella politica
del proletariato che enuncia o preannuncia. Non chiesi al marxismo nemmeno
la conoscenza di quella filosofia, che esso suppone, e, in un certo senso,
continua, superandola per inversione dialettica; ed è l'hegelismo, che
rifioriva appunto in Italia nella mia gioventù, e nel quale io m’ero come
allevato. Manco a farlo a posta, la mia prima composizione filosofica, in data
del maggio 1862, è una: Difesa della dialettica di Hegel contro il
ritorno a Kant iniziato da Ed. Zeller! Per intendere il socialismo
scientifico non mi occorreva, dunque, di avviarmi per la prima volta alla
concezione dialettica, evolutiva o genetica, che dir si voglia, essendo io
vissuto sempre in cotesto giro di idee, da che pensatamente penso. Aggiungo
anzi, che, mentre il marxismo non mi tornava punto difficile nei suoi
lineamenti intrinseci e formali, in quanto metodo di concezione, mi tornava
invece di faticosa acquisizione nel suo proprio contenuto economico. E mentre
io andavo facendo, nel miglior modo che mi fu possibile, cotesta acquisizione,
non era né dato né permesso a me di confondere la linea di sviluppo che
è propria del materialismo storico, ossia il senso che ha qui in questo caso
concreto l'evoluzione, con quella, direi quasi, malattia cerebrale, che
da anni già ha invaso i cervelli di quei molti italiani, che parlano ora di una
Madonna Evoluzione, e l'adorano.
Che mi chiede,
dunque, il De Bella? Che io, a guisa di giovane seminarista, pur mo svestito,
ritorni a scuola! O vuole ch'io mi faccia ribattezzare da Darwin, riconfermare
da Spencer, reciti poi la confessione generale innanzi ai compagni, e mi
prepari a ricevere da lui l'estrema unzione? Per quieto vivere lascerei correre
tutto il resto; ma contro all'appello alla coscienza dei compagni protesto
recisamente. I compagni rigidi e perfino tirannici per ciò che si
attiene alla condotta politica del partito in una certa misura e in date
condizioni, li ammetto. Ma i compagni che abbiano autorità di
pronunziare da arbitri in fatto di scienza.. - solo perché compagni... via, la
scienza non sarà messa ai voti mai, nemmeno nella cosiddetta società futura!
O vuole una più
modesta cosa, che io, cioè, affermi e giuri che il marxismo non è la scienza
universale, e che gli oggetti che contempla non sono l'Universo? Concedo
subito. E sfido che io possa non concedere. Mi basta di ricordarmi dell'orario
della Università, e dei moltissimi corsi che enumera. Anzi concedo ancora di
più. Ecco qua: “Questa dottrina non è se non agl’inizii suoi, ed ha bisogno
ancora di molto sviluppo” (Del materialismo storico, cap. I) 29.
Difatti, ciò
che tormenta il De Bella e tanti altri, gli è appunto la caccia alla universale
filosofia, nella quale il socialismo possa poi essere bene allogato, come
la parte nella visione del tutto. S'accomodino! La carta è paziente: così
dicono gli editori tedeschi agli autori novellini. Ma non posso risparmiarmi
due avvertenze. La prima è, che nessun sofo di questo mondo riuscirebbe
mai a darci l'idea dell'universa filosofia in due colonne della “Critica
Sociale". La seconda è affatto personale. Sono venti anni ormai che io ho
in uggia la filosofia sistematica, e come cotesta disposizione d'animo mi ha
reso più accessibile al marxismo che è uno dei modi nei quali lo spirito
scientifico si è liberato dalla filosofia come per sé stante, cosi è causa
della mia inveterata diffidenza per lo Spencer filosofo, che nei Primi
Principii ci ha ridata una schematica del cosmo. E qui
occorre che citi me stesso:
“Io non ero
venuto in questa università, ventitré anni fa, qual rappresentante di una
ortodossia filosofica, né da escogitatore di novello sistema. Per le fortunate
contingenze della mia vita, io avevo fatta la mia educazione sotto l'influsso
diretto e genuino dei due grandi sistemi, nei quali era venuta al termine suo la
filosofia, che oramai possiamo chiamare classica; e ossia dei
sistemi di Herbart e di Hegel, nei quali era arrivata all'estremo delle
conseguenze l'antitesi tra realismo e idealismo, tra pluralismo e monismo, tra
psicologia scientifica e fenomenologia dello spirito, tra specificazione dei
metodi ed anticipazione di ogni metodo nella onnisciente dialettica. Già la
filosofia di Hegel avea messo capo nel materialismo storico di Carlo Marx, e
quella di Herbart nella psicologia empirica, che, a date condizioni, e dentro
certi limiti, è anche sperimentale, comparata, storica e sociale. Eran quelli
gli anni, nei quali, per la intensiva ed estensiva applicazione del principio
dell'energia, della teoria atomica e del darwinismo, e col
ritrovamento delle accertate forme e condizioni della fisiologia generale,
si rivoluzionava a vista d'occhi tutta la concezione della natura. E in pari
tempo, l'analisi comparativa delle istituzioni, in concorrenza con la
linguistica e con la mitologia comparata, e poi la preistoria tutta, e, da
ultimo, la economia storica, rovesciavano la più parte delle posizioni di fatto
e delle ipotesi formali, su le quali, e per le quali, si era per l'innanzi
filosofato sul diritto, su la morale e su la società. I fermenti del
pensiero, quei fermenti che sono impliciti nelle nuove o nelle rinnovate
scienze, non accennavano, come non accennano ancora, allo sviluppo di una
novella sistematica filosofica, che tutto il campo della esperienza contenga e
domini. Passo sopra alle filosofie di privato uso ed invenzione, com’è il
caso dei Nietzsche e dei von Hartmann, e mi risparmio ogni critica di
questi pretesi
ritorni ai filosofi di altri tempi30,
che dànno per resultato una filologia in cambio della filosofia, com'è
accaduto dei neokantiani.
Mi soffermo a
notare il quasi inverosimile equivoco verbale, per il quale molti
ingenuamente, e specie in Italia, confondono senz'altro quella specificata
filosofia, che è il positivismo, col positivo, ossia col positivamente
acquisito nella interminabile nuova esperienza naturale e sociale. A costoro
capita, per es., di non saper distinguere nello Spencer, ciò che è merito
incontrastabile in lui, d'aver cioè concorso a formare la fisiologia
generale, da ciò che è impotenza in lui a spiegare un solo fatto storico
concreto per mezzo della sua sociologia del tutto schematica. A costoro accade
di non distinguere, nello stesso Spencer, ciò che è dello scienziato da ciò che
è del filosofo; il quale, giuocando di scherma con le categorie dell'omogeneo,
dell’eterogeneo, dell'indistinto, e del differenziato, del
conosciuto e dell'inconoscibile, è anche lui un trapassato: è,
cioè, a volte un kantiano inconsapevole e a volte un Hegel in caricatura.
L'ordinamento
della Università deve anch'esso spiccatamente riflettere lo stato attuale della
filosofia, che ormai consiste nella immanenza del pensiero nel
realmente saputo; e, cioè, consiste nell'opposto di ogni anticipazione del
pensiero sul saputo, per via della teologica o metafisica
escogitazione” (L'Università e la libertà della scienza, Roma 1897, pp.
15, 16 e 17) 31.
Al postutto poi
cotesta filosofia, dirò così, vagheggiata dal De Bella,
non sarebbe, in fondo, se non una riedizione della triunità Darwin-Spencer-Marx,
messa in giro con tanta suggestione di eloquenza, ma con tanto poca fortuna32, or son tre anni già, da
Enrico Ferri. Ebbene, caro Turati, io voglio fare onestamente la parte dell'avvocato
del diavolo, e riconosco, che in coteste incerte aspirazioni alla filosofia
del socialismo, (e poco manca, alcuni non credano che debba essere una specie
di filosofia a privato uso dei soli socialisti) e perfino nei molti spropositi
che qua e là si vanno dicendo, c'è un nocciolo di sentimento giusto, che
risponde ad un reale bisogno. Molti di quelli che in Italia si dànno al
socialismo, e non da semplici agitatori, conferenzieri e candidati, sentono che
è impossibile di farsene una persuasione scientifica, se non riallacciandolo
per qualche via o tramite alla rimanente concezione genetica delle cose, che sta
più o meno in fondo a tutte le altre scienze. Di qui la mania che è in molti,
di cacciar dentro al socialismo tutta quella rimanente scienza di cui più o
meno essi dispongono. Di qui i molti spropositi e le molte ingenuità, in fondo
sempre spiegabili. Ma di qui anche un grave pericolo; che, cioè, molti di
cotesti intellettuali dimentichino che il socialismo ha il suo fondamento reale
soltanto nella presente condizione della società capitalistica, e in ciò che il
proletario e il rimanente popolo minuto possono volere e fare; - che per
opera degli intellettuali Marx divenga un mito; - e che, mentre essi
discorrono, dall'alto al basso e dal basso all'alto, tutta la scala
dell'evoluzione, da ultimo in un non lontano congresso di compagni si
metta ai voti questo filosofema: il primo fondamento del socialismo è
nelle vibrazioni dell'etere33.
Per ciò mi
spiego le ingenuità del De Bella. Se Marx fosse ancora vissuto! Già si
capisce: essendo nato il 5 maggio 1818, ed essendo morto il 14 marzo
1883, poteva umanamente vivere ancora; e, vivendo - direi io – avrebbe portato
a compimento il III volume del Capitale, che c’è rimasto così
sgangherato e così oscuro. Nossignore, dice De Bella, sarebbe diventato materialista.
Ma santi numi; se era tale dal 1845, e per ciò venne in uggia agli
ideologi radicali di sua conoscenza! E oltre che materialista sarebbe diventato
anche positivista. Il positivismo! Nella volgare cronologia cotesto nome
designa la filosofia di Comte e suoi seguaci. Ora questa avea idealmente tirate
le cuoia, già prima che Marx fisicamente morisse. Che bel vedere:
il materialismo
- il positivismo - e la dialettica in santissima trinità! E poi, che altro bel
vedere; il papato scientifico del Comte riconciliato con la
indefinita progressività del materialismo storico, che risolve il problema
della conoscenza in opposizione ad ogni altra filosofia, ed enuncia:
- non esserci
limitazione fissa, né a priori né a posteriori, alla
conoscibilità, perché nell'indefinito processo del lavoro, che è esperienza, e
dell'esperienza, che è lavoro, gli uomini conoscono tutto ciò che fa bisogno ed
è utile di conoscere34.
Quel Comte, che proclamava chiuso per sempre il ciclo della fisica e
dell'astronomia, proprio nel momento in cui si ritrovava l'equivalente
meccanico del calore, e pochi anni innanzi alla strepitosa scoverta
dell'analisi spettrale; quel Comte, che nel 1845 dichiarava assurda la
ricerca circa l'origine della specie!
Ma il
materialismo storico, continua De Bella, ha da contemplarsi con la preistoria!
E qui il diavolo ci mette proprio la coda. L'Ancient Society del Morgan,
pubblicata in America e giunta in Europa in pochi esemplari con la ditta
Mac-Millan di Londra (1877), fu messa come sotto sequestro dalla spietata lega
del silenzio fattavi attorno dagli etnografi inglesi, o invidi, o paurosi. I
resultati delle ricerche del Morgan circolarono però per il mondo precisamente
per mezzo del libro dell'Engels, che s'intitola: Della origine della
famiglia, della proprietà privata e dello stato (I° ediz. 1884, 4° ediz.
1891), che è al tempo stesso recensione, esposizione e complemento del
testo, e reca in sé la tentata ricongiunzione di Morgan e di Marx. E che dice
Engels di Morgan? – “aver questi novellamente scoverto il materialismo storico,
nella assoluta ignoranza di quanto Marx ne avesse scritto”; e quale fu
l’occasione del libro? - il desiderio di mettere a profitto le note e le
glosse lasciate da Marx!
Via, la volgare
cronologia è qualcosa di assai importante... anche pei socialisti.
E torniamo pure
all'inevitabile Spencer. Chi è mai, che, fuori d'Italia, si sia permesso di
aggiudicarlo al socialismo? È forse lo Spencer un filosofo dell’altro mondo? Di
lui e sopra di lui si può leggere ora in tutte le lingue, non esclusa quella
dell'ammodernato Giappone. Né pecca di oscurità: anzi agli occhi miei, che amo
la succosa brevità, pecca di prolissa e di minuziosa popolarità. Il primo
scritto di lui che si conosca reca la data del 1843. Eravamo, si noti bene, nel
più forte dell'agitazione cartista. Quello scritto s'intitola: Della
sfera propria dello stato. Spencer fu alle viste di tutto il mondo come
ammirato collaboratore dell'”Economist”, della “Westminster” e della “Edinburg
Review”; e notiamo nuovamente le date, precisamente negli anni significativi dal
1848 al '59. Chi mai si è fatto illusioni in Inghilterra sul senso e sul valore
delle sue vedute sociali e politiche? La Statica sociale apparve nel
'51, la Psicologia (l° ediz.) nel '55, il Trattato sulla educazione
nel '61, la l° edizione dei Primi principii nel '62, la Classificazione
delle scienze nel '64, la Biologia dal '64 al '67, per non dire dei minori Saggi,
e tra questi notevolissimi l'Ipotesi dello sviluppo (1852), la Genesi
della scienza (1854), e il Progresso e la sua legge (1857). E qui chiudo
la filastrocca per arrestarmi alle pubblicazioni che precedono il I° volume del
Capitale (25 luglio 1867). Non occorreva invero il genio di Marx per scorgere
in tali scritti ciò che ero in grado di scorgervi io, da semplice studioso
della filosofia, già 30 anni fa: che, cioè, la dottrina dell'evoluzione che vi
si enuncia è schematica e non empirica, che quella evoluzione lì è fenomenale e
non reale, e che essa ha di dietro lo spettro della cosa in sé di Kant,
dapprima onorata in tutte lettere col nome di Dio o della Divinità
(Statica, ediz. del 1851), più tardi circonlocuita nel riverito nome
dell'Inconoscibile.
Metterei pegno,
che, se mai Marx fra il '60 e il '70 avesse recensito le opere dello Spencer,
avrebbe usato del seguente stile: “ecco l'ultimo avanzo ombratile del deismo
inglese del secolo XVII; - ecco l'ultimo sforzo della ipocrisia inglese nel
combattere la filosofia di Hobbes e di Spinoza; - ecco l'ultima proiezione del
trascendente sul campo della scienza positiva; - ecco l'ultima transizione fra
il cretinismo egoistico del signor Bentham e il cretinismo altruistico del
Rabbi di Nazareth; - ecco l'ultimo tentativo dell'intelletto borghese per
salvare, con la libera ricerca e la libera concorrenza nell'al di qua,
un enigmatico brandello di fede per l'al di là; - solo il trionfo del
proletariato può assicurare allo spirito scientifico le condizioni piene e
perfette di sua propria esistenza, perché solo nella trasparenza dell'opera può
essere congruamente trasparente l'intelletto”. Così Marx scrivea - cioè, volevo
dire, così avrebbe potuto scrivere: - ma lui avea da pensare allora all'Internazionale,
e di questa lo Spencer non ebbe tempo di avvedersi.
Il
17 marzo del 1883 Federico Engels, parlando al cimitero di Highate in memoria
dell'amico Marx, morto tre giorni innanzi, cominciava proprio così: “Come
Darwin scovrì la legge dello sviluppo della natura organica, così Marx scovrì
la legge dello sviluppo della storia umana” 35.
Non c'è da
rimanerne proprio mortificati?
Né basta. Nell'Antidühring
(I° ediz. del 1878 - la terza è del '94) il medesimo Engels avea già
acquisito tutte le nozioni fondamentali del darwinismo, che occorrono alla
generale orientazione del socialismo scientifico. A ciò fare erasi preparato
con dieci anni di novella educazione nelle scienze naturali, e candidamente
confessava: esser lui in queste più addentro di Marx, che alla sua volta era
forte in matematica. E nemmeno ciò basta. Nella prima edizione del Capitale si
trova una nota caratteristica e originalissima sul nuovo mondo scoperto da
Darwin. S'intende già che quei due modesti mortali, che non fecero mai le parti
di sopracciò dell'Universo, inteso sempre di riferirsi a quel prosaico
darwinismo della Origine della specie (1859), che è un
gruppo di teorie tratte da un gruppo di osservazioni e di esperienze sopra un
campo circoscritto della realtà, che rimane più in qua dalle origini della vita
e precede d'un buon tratto la storia umana. In quelle teorie non poteano non
iscorgere un caso analogico con la concezione epigenetica della storia, che
essi aveano in parte definita, in parte adombrata appena36. Non seppero
però mai di quel darwinismo, il quale ha scoperto le leggi della intera
umanità (De Bella); di quel darwinismo, insomma, buono per tutto, che è una
gratuita invenzione dei pubblicisti a corto di scienza, e dei decadenti della
filosofia. L'amico loro Heine non avea forse detto: l'Universo è pieno di
buchi, e il professore tedesco hegeliano covre quei buchi col suo berretto da
notte?
E lasciando
stare l'Universo e i suoi buchi, procuriamo, caro Turati, di fare ciascuno il
dover nostro. Mi ricorre sempre per la mente questa grave invettiva che 30 anni
fa pronunziava l'hegeliano B. Spaventa: “Qui da noi si studia la storia della
filosofia nella geografia dell'Ariosto, e si citano alla pari, Platone e
l'abate Fornari, Torquato Tasso e Totonno Tasso” 37.
Credetemi
sempre, etc.
|