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Antonio Labriola
Discorrendo di socialismo e di filosofia

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  • VIII.
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VIII.

 

Roma, 20 giugno '97

 

Mi occorre come un post-scriptum, che rechi delle postille alla penultima lettera, tanto grave di non facile filosofia.

Metto – com’è naturale - fra i prodotti delle affettività nostre, dei quali dissi che adombrano l'intelletto volgente alla scienza, anche quei complessi di inclinazioni, di tendenze, di valutazione e di pregiudizii, che di solito designiamo con le denominazioni antitetiche di ottimismo e di pessimismo.

In tali modi di apprezzamento, che oscillano dal passionale al poetico, e rivelan sempre la nota incerta di ciò che non può ridursi in formula precisa, non è chi sappia scorgere, né l'indirizzo, né la promessa di una razionale interpretazione delle cose. Sono, nel tutt'insieme, la estrinsecazione riassuntiva di infiniti particolari sentimenti, i quali possono aver sede, come la cosa è più patente nel caso del pessimismo, così nello specifico temperamento di un singolo individuo (per es., Leopardi), come in una situazione comune ad una intera moltitudine (alle origini per es. del Buddhismo). Ottimismo e pessimismo nella somma, consistono nel generalizzare le attività resultanti da una determinata esperienza o situazione sociale, e nel prolungarle tanto fuori dell'ambito della nostra vita immediata da farne come l'asse, il fulcro, o la finalità dell'Universo.

In guisa che poi, in fine, le categorie del bene e del male, che han realmente un senso così modestamente relativo alle nostre contingenze pratiche, divengono come il criterio per giudicare di tutto il mondo, ridotto in così piccola immagine, da parer fatto qual semplice supposto e qual semplice condizione della felicità o della infelicità nostra. Così dall'uno come dall'altro dei due angoli visuali, par che il mondo non possa intendersi se non come fatto, o a fin di bene, o a fin di male, e costituito per la prevalenza o per il trionfo, o dell'uno o dell'altro.

Nel fondo di cotesti modi di concepire c'è sempre la originaria poesia, che non si scompagna mai dal mito; - e tali modi di concepire forman sempre, dal crasso ottimismo maomettano al raffinato pessimismo buddhistico, il midollo pratico e la forza suggestiva dei sistemi religiosi. E ciò è naturalissimo. La religione, che appunto per ciò e, per ciò solo, è un bisogno, consta i tante trasfigurazioni dei timori, delle speranze, dei dolori, delle amarezze della vita cotidiana, in creduti e paventati preordinamenti; in guisa che le lotte del così detto quaggiù vengon tramutate in contrasti dell'Universo: - dio e satana - la caduta e la redenzione - la creazione e la palingenesi - la scala delle espiazioni ed il Nirvana. Quell'ottimismo e quel pessimismo, che si presentano nella veste, o meglio nelle apparenze di cosa pensata, nell'ambito di certe filosofie, non son che residui più o meno consaputi della religione come che sia trasformata, o di quella antireligione, che nell'impeto passionato del non credere rassomiglia alla fede. L'ottimismo di Leibnitz per es. non è certo la funzione filosofica della sua ricerca del calcolo superiore, né della sua critica dell’azione a distanza, e nemmeno del suo monadismo metafisico, né della sua scoverta del determinismo interno. Il suo ottimismo è la sua religione - ossia quella religione che parve a lui come la perpetua e perenne - quel cristianesimo, in cui tutte le chiese cristiane si conciliano - quella provvidenza giustificata nella rappresentazione di un mondo, che è l'ottimo che potesse mai essere e sussistere. Quella poesia teologica ha il suo pendant, dialettico perché umoristico, nel Candide di Voltaire! E così il pessimismo di Schopenhauer non è la resultante necessaria della sua critica della critica kantiana, né la funzione diretta delle sue squisitissime ricerche logiche; ma è la estrinsecazione della sua anima di piccolo borghese, meschino e dispettoso, anzi ringhioso, che si completa con la contemplazione (metafisica) delle cieche forze dell'Inconsapevole (ossia del cieco conato all'esistere); si completa, cioè, di una forma religiosa poco avvertita in generale, la religione dell’ateismo38.

Se, dalle configurazioni e dalle complicazioni secondarie e derivate della religione o della filosofia teologizzante, noi risaliamo all'origine prima ed immediata di quelle creazioni ideologiche, che son l'ottimismo e il pessimismo, noi ci troviamo in presenza di un fatto, tanto ovvio, per quanto semplice: che ogni uomo, cioè, per la sua struttura fisica, e

per la sua posizione sociale, è portato ad una specie di calcolo edonistico, ossia a misurare i suoi bisogni, e quindi i mezzi per soddisfarli; e, in fine, per necessaria conseguenza, viene ad apprezzare, in un modo, o in un altro, le condizioni della vita e il pregio della vita stessa nel suo complesso. Ora, quando la intelligenza è tanto progredita, da aver vinto gl'incantesimi della imaginatio e della ignorantia, i quali legano le sorti così poveramente prosaiche dell'ovvia vita cotidiana alle (fantasticate) forze trascendenti, non è più alla suggestione generica dell'ottimismo o del pessimismo che si tenga dietro. L'animo si volge al (prosaico) studio dei mezzi occorrenti a raggiungere, non quell'ente favoloso che dicesi la felicità, ma lo sviluppo normale delle attitudini; le quali, date le favorevoli condizioni sociali e naturali, fanno sì che la vita trovi se stessa la ragione dell'esser suo e della esplicazione sua. È qui il cominciamento di quella saggezza, che sola può giustificare la etichetta dell'homo sapiens.

Il materialismo storico, come è la filosofia della vita, e non delle parvenze ideologiche di questa, sorpassa l'antitesi dell'ottimismo e del pessimismo; perché ne supera i termini, comprendendoli.

La storia è si una serie dolorosamente interminabile di miserie; - il lavoro, che è la nota distintiva del vivere umano, è diventato il tormento e la maledizione della maggioranza degli uomini; - il lavoro, che è la premessa di ogni umana esistenza, è diventato il titolo alla soggezione del più gran numero degli uomini; - il lavoro, che è la condizione di ogni progresso, ha messo le sofferenze, le privazioni, i travagli e i patimenti del maggior numero degli uomini in servizio della comodità di pochi. Dunque la storia è un inferno: - anzi potrebb'esser rappresentata, in un lugubre dramma, come la tragedia del lavoro!

Ma questa stessa storia lugubre ha tratto da cotesta stessa condizione di cose, quasi sempre all'insaputa degli uomini stessi, e non certo per la provvidenziale preordinazione di alcuno, i mezzi occorrenti al relativo perfezionamento, prima di pochissimi, poi di pochi, poi di più che pochi; - e ora pare ne prepari per tutti. La gran tragedia non era evitabile. Non deriva da una colpa o da un peccato, non da una aberrazione o degenerazione, non dal capriccioso e peccaminoso abbandono della retta via; ma da una necessità intrinseca al meccanismo stesso del vivete sociale, e al ritmo processuale di questo. Questo meccanismo poggia su i mezzi di sussistenza, che sono il prodotto del lavoro stesso degli uomini, combinato con le più o meno favorevoli condizioni naturali. Ora che si apre innanzi ai nostri occhi questa prospettiva che la società, cioè, possa essere organizzata in modo, da dare a tutti i mezzi di perfezionarsi, noi vediamo chiaro, che tale aspettativa diventa plausibile, precisamente perché, col crescere della produttività del lavoro, si stabiliscono le condizioni materiali occorrenti a comunicare a tutti gli uomini la civiltà. In ciò sta la ragion d'essere del comunismo scientifico, che non confida nel trionfo di una bontà, la quale, chi sa in quali pieghe latenti di tutti i cuori di tutti i trapassati gl'ideologi del socialismo sono andati a scovare, per proclamarla l'eterna giustizia. Ma confida nel crescere di quei mezzi materiali, che permetteranno crescan per tutti gli uomini le condizioni dell'ozio indispensabili alla libertà: - la qual cosa vuol dire, che le ragioni dell'ingiusto saranno eliminate, ossia la signoria, la padronanza, il dominio dell'uomo su l'uomo; le quali ingiustizie (ad usare il linguaggio degli ideologi) suppongono come conditio sine qua non proprio quella miserabile cosa materiale, che è lo sfruttamento economico!

Solo in una società comunistica, il lavoro, oltre che non sfruttabile, può essere razionalmente misurato. Solo nella società comunistica, il calcolo edonistico, non intralciato dallo sfruttamento privato delle forze sociali, può aver carattere di cosa precisabile. Rimossi gl'impedimenti al libero sviluppo di ciascuno, quegli impedimenti, cioè, che differenziano ora le classi e gl'individui fino al non riconoscibile, ciascuno potrà trovare, nella misura di ciò che occorre alla società, il criterio di ciò che per lui è il fattibile e il necessario a fare. Adattarsi al fattibile, e non per esterna costrizione, in ciò sta la norma della libertà, che è una cosa sola con la saviezza; perché non ci può esser morale vera dove non è la coscienza del determinismo. In una società comunistica cadono da per sé le antitetiche parvenze dell'ottimo e del pessimo, perché la necessità del lavorare in servizio della collettività e l'esercizio della piena autonomia personale non formano più antitesi, anzi appariscono come una e medesima cosa; - l'etica di cotesta società annulla la opposizione fra diritti e doveri, che non è, in sostanza, se non l'amplificazione dottrinale della condizione di questa antitetica società presente, nella quale alcuni han facoltà d'imporre ed altri hanno obbligo di prestare; - in cotesta società, in cui la benevolenza non è carità, non parrebbe utopistico il chiedere, che ciascuno presti secondo le sue forze, e ciascuno riceva secondo i suoi bisogni; - in simile società la pedagogica preventiva eliminerebbe, in buona parte, la materia della penalità, e la pedagogica obiettiva della convivenza e della collaborazione razionale ridurrebbe al minimo il bisogno della repressione; - ossia, in una parola, la pena apparirebbe come la semplice garanzia di un determinato ordinamento, e spoglia perciò del tutto d'ogni parvenza metaforica di superna giustizia da vendicare o da ristabilire. In cotesta società non allignerebbe più il bisogno di cercare alla sorte pratica dell'uomo una spiegazione trascendente.

Per questo criticismo delle cause della storia, delle ragioni della società presente, e dell'aspettativa razionalmente misurata e misurabile di una società futura, si vede perché l'ottimismo e il pessimismo, come tante altre ideologie, dovessero e debbano servire di sfogo e di estrinsecazione alle affettività delle coscienze travagliate dalle lotte della esistenza sociale. Se è questo che intendono di dire gli ideologisti, cui voi alludete; e, se parlando di eterna giustizia, essi pensano di farsi raccoglitori postumi dei sospiri e delle lagrime dell'umanità attraverso i secoli, tal sia di loro; - le licenze poetiche non son vietate nemmeno ai socialisti. Soltanto non si provino poi a metter su le gambe al mito dell'eterna giustizia, per ispedirlo in marcia contro il regno delle tenebre. Quella gran benefica signora non ismuoverà una sola delle pietre dell'edificio capitalistico. Ciò che gl'ideologi del socialismo chiamano il male, contro di cui il bene combatte, non è una astratta negazione, ma è un duro e forte sistema di cose effettuali: è la miseria organizzata per produrre la ricchezza. Ora i materialisti della storia son così poco teneri di cuore, da affermare, che essi in questo male trovano precisamente le molle dell'avvenire; ossia, nella ribellione degli oppressi, e non nella bontà degli oppressori.

 

Del facile ricadere nella metafisica, in senso non laudabile, fanno fede assai spesso anche quegli studii, che, a detta degli autori loro, rappresentano la quintessenza del procedere scientificamente positivo. Questo è il caso, per es., di molti dei divulgatori della disputata e disputabile antropologia criminale.

Come intento e come tendenza essa rappresenta una parte notevole di quella salutare critica del diritto punitivo, che pian piano è riuscita a scuotere dai fondamenti tutta la costruzione filosofica, e soprattutto etica, di un fatto così semplice e così empirico, qual è quello della inevitabilità del punire, data la esistenza di una società. Nel metodo, però, di rado essa esce dai confini della combinatoria statistica, e da quell'a un di presso di verosimile, che è proprio del variopinto complesso di studii, che chiamasi in genere antropologia. Quasi mai si avvicina, per es., alla precisione di indagine, per la quale la psichiatria, che parrebbe secondo alcuni affine, grazie ai progressi maravigliosi dell'anatomia dei centri nervosi, e di tutte le parti della medicina, ha contribuito allo sviluppo della psicologia, nel giro di pochi anni, assai più non facessero in venti secoli le discussioni sul testo di Aristotele, e le ipotesi dello spiritualismo e del materialismo puramente razionalisti.

Ma non è ciò che mi prema di notare.

In quella dottrina campeggia la tendenza a fissare, come predisposizioni (innatistiche) le ricorrenze del delinquere in quegli individui i quali presentino certi caratteri indiziali, caratteri, che nell'aspetto obiettivo, del resto, non son sempre, né ben raccolti, né ben fissati. E qui nulla di male.

La teoria, che sta in fondo al diritto penale dei paesi su i quali la rivoluzione borghese abbia esteso l'azione sua, ha di comune con tutto ciò che chiamiamo liberalismo i pregi e i difetti di quel principio egalitario, il quale, date le differenze naturali e sociali degli uomini, non può non essere puramente formale ed astratto. Questa teoria è stata di certo un progresso su la giustizia di corpo, e su i privilegi del clero e dell'aristocrazia; e per questo rispetto è una vittoria storica l'enunciato: la legge è eguale per tutti. Inoltre, cotesta teoria, riducendo il punire alla sola garenzia giuridica dell'ordine legalmente costituito, si contenta di colpire ciò che è un danno o una lesione all'ordine stesso, e non s'addentra più nella coscienza. Spoglia com'è di ogni carattere religioso, non colpisce il pensiero e l'animo. Non è più l'istrumento di una chiesa, di una credenza, di una superstizione. È prosaico cotesto diritto penale, come è prosaica tutta la società capitalistica. E questo è un altro trionfo - salvo alcune lievi inconseguenze - del libero pensiero. In una parola, si punisce l'atto, non l'uomo; si punisce il turbatore di quell'ordine che si vuol difendere, non la coscienza, sia irreligiosa, miscredente, atea e così via. Per giungere a cotesto resultato, cotesta teoria ha dovuto costruire, su la base media della volontarietà, ed esclusi gli estremi della mancanza di consapevolezza e di direzione nell'operare, una tipica responsabilità eguale per tutti gli uomini39. Ed è qui, che, come per ironia alla vantata e celebrata giustizia, il principio della legge eguale per tutti si tramuta dialetticamente nella massima ingiustizia:

perché gli uomini sono in realtà socialmente e naturalmente disuguali innanzi alla legge.

Su questa dialettica si sono esercitati da un pezzo sociologisti, e socialisti, e critici d'ogni maniera. C'è come una lunga scala di opinioni, in contrapposto al diritto esistente: dal paradosso intinto di misticismo, che la società punisca i delitti che essa cova, alla esigenza umanitaria, che la educazione eguale per tutti giustifichi, col porne le condizioni di attuabilità, il principio della legge eguale per tutti. La punta acuta di tutta la critica è quella dei socialisti conseguenti: i quali, partendo dal concetto delle differenze di classe, come essenziali al presente vivere sociale, non cercano nel diritto del punire, come non cercano in nessun'altra parte del diritto esistente, la giustizia eguale per tutti; perché ciò sarebbe come cercare l'inverosimile, data questa forma di società, in cui le differenziazioni sono le cause e il contenuto della compagine stessa. Questo diritto di mezzana giustizia, che contraddice il più delle volte a se stesso, è insito ad una società, in cui il postulato della eguaglianza deve smentire di continuo se stesso. La menzogna è assai più palese in quella bella trovata degli apologisti della forma capitalistica, quando dicono, che alla fin fine i salariati son dei liberi cittadini, che liberamente si dànno a mercede pattuendo alla pari con quei loro eguali, che sono i capitalisti! - Ma noi socialisti cotesto principio in sé contraddittorio non vogliamo abbandonarlo, per andar poi a braccetto dei reazionarii, che per altre ragioni lo combattono, e per altre vie vorrebbero eliminarlo: anzi noi l'accettiamo come la negatività immanente alla società borghese, ossia, come il suo storico corrosivo.

L'antropologia criminale è venuta in buon punto a sussidiare dei suoi studii speciali la tesi critica, che mette in evidenza l’inverosimile della legge eguale per tutti. In questo senso essa è una dottrina progressiva. Alle differenze sociali, che rendono assurdo il postulato della responsabilità eguale per tutti, secondo la tipica forma della volontarietà della mente sana, ha aggiunto lo studio delle differenze presociali, che sono i limiti che la bestialità contrappone, come forze invincibili, a qualunque azione di adattamento educativo. Non occorre qui di vedere, se essa abbia esagerata la estensione di cotesta bestialità, interpretando male i casi che intendeva di studiare, e amplificando alcune volte fantasticamente i resultati di parziali e poco precise osservazioni. Ciò che importa qui è di dire, che essa, per un certo rispetto metodico, ricade, inconsapevolmente, nella detestata metafisica. Nella foga legittima di combattere l'ente giustizia e l'ente responsabilità, fissa poi dei fatti naturali, delle disposizioni, cioè, a delinquere, la cui denominazione e definizione va togliendo da quelle categorie della tutela sociale, che rispondono soltanto alle condizioni di vita alle quali gli uomini, in verità solo dopo che son nati, si vanno assuefacendo. In natura, per ispiegarmi, ci sarà la eccessiva e sfrenata libidine, ma non certo l'adulterio (questa è una categoria arcirelativamente sociale!); la rapacità, ma non il furto in tutte le sue economiche specificazioni fino alla firma falsa su la cambiale; il temperamento sanguinano, ma non il regicidio, e così via. Né si dica che queste sian questioni meramente verbali. Ciò tocca all'essenza della cosa. Ciò riguarda la coscienza dei limiti metodici. Ciò importa a ricordare, che la metafisica è un male atavistico, al quale non isfuggono nemmeno quelli che di continuo gridano: abbasso la metafisica! In altro campo di studii, cioè nella psicologia in genere e nella psichiatria in ispecie, è accaduto per molto tempo lo stesso. Molti che volean localizzare nel cervello i fenomeni psichici, invece di tenersi ai fatti elementarissimi, che, in verità, solo da poco tempo furono distintamente sceverati, localizzavano (come accadde perfino all'insigne fisiologista Ludwig) le facoltà dell'anima ed altre simili escogitazioni del razionalismo filosofico; ossia davano un posto materiale al non esistente. L'antropologia criminale deve ancora sceverar bene e fissare criticamente le sue categorie, causando l'equivoco di accettare come naturali ed innate quelle categorie, che il diritto punitivo, avuto riguardo alle condizioni di mera esperienza sociale, ha, per ragioni di pratica, fissate ed accettate.

 





38 Faccio eccezione per il filosofo Teichmüller, che solo avvertì e notò la forma dell’ateismo attivo, che è religione e credenza. Invece la non-religione, che è implicita alle scienze del puro esperimento, risponde alla indifferenza dello spirito per ogni fede o credenza. Nell’ateismo che è una fede attiva ha origine quella tregenda parigina, la quale ebbe per principali autori l’ingenuo Chaumette e l’equivoco Hébert.



39 “….A ciò i giuristi non badano ordinariamente. Responsabilità nel senso psicologico vuol dire attribuzione dell’atto alla persona (al volere), in quanto essa è conscia dell’esecuzione, mentre vuole. Ma, perché la responsabilità nel senso psicologico adegui la responsabilità nel senso morale, bisogna paragonare il volere che è principio dell’azione, con la somma delle idee che formano la coscienza morale dell’agente; ed in tale confronto non si può non riuscire a questo resultato: che, cioè, la responsabilità morale di ciascuno si perde in una infinitesimale differenziazione da individuo a individuo”; - così a p. 124 del mio libro: Della libertà morale, Napoli 1873. Da riscontrarlo, inoltre, passim.





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