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Antonio Labriola
Discorrendo di socialismo e di filosofia

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Resina (Napoli), 15 settembre ‘97

 

Caro Sorel,

Nel rileggere, nel rivedere, nel ritoccare - giacché ho fatto disegno di darle alle stampe - le lettere, che io v’andai scrivendo dall'aprile al luglio ultimi, m'è parso formino come una certa tal quale serie, e nel tutt'insieme dicano qualcosa. Di certo i pensieri di semplice accenno, gli enunciati appena appena sviluppati, le osservazioni il più delle volte incidentali, e le bizzarre critiche disseminate qua e , -. tutte le cose, insomma, che mi venne di dire, nel modo che è proprio di chi scriva currenti calamo, assumerebbero ben altra forma, entrerebbero in tutt'altra disposizione, passerebbero per una nuova e meditata elaborazione, se io avessi in animo di comporre un libro degno d'un titolo altisonante come, per es.: Il socialismo e la scienza; o Il materialismo storico e l’intuizione del mondo, e così via. Ma, come io, nel conversar con voi a distanza, ho usato in larga misura delle libertà che son proprie della facoltà discorsiva, così, ora che mi son risoluto a raccogliere quelle fugaci lettere nella forma d'un libercolo, imporrò a questo un modesto ed appropriato titolo di: Discorrendo di socialismo e di filosofia, Lettere a G. Sorel.

Devo agl'insistenti consigli del mio amico Benedetto Croce, di commettere cotesto nuovo peccato di letteratura minuscola. Questo mio benedettissimo amico è diventato il mio tormento e la mia croce. Dacché lesse quelle lettere, non m'ha dato più pace; e ha voluto gli promettessi di renderle pubbliche, nella forma di un opuscolo. Se io stessi a sentir lui, ai miei anni non verdi, diverrei un continuo e perpetuo produttore di carta stampata: mentre a me è piaciuto sempre, in passato, di lasciar dormire nei cassetti i non pochi catafasci di carta scritta, che m'è toccato di accumulare, per anni ed anni, nella qualità di insegnante e di appassionato estensor di lettere. In questo caso speciale il Croce poi mi andava dicendo, esser dover mio, ora che il socialismo s'allarga in Italia, di concorrere alla vita del partito, che cresce e si fortifica, coi mezzi e nei modi che son più rispondenti alle attitudini mie. E sia pur così; - ma poi tutto sta a vedere, se i socialisti di tale aiuto e di tale sussidio sentano proprio il bisogno e il desiderio.

A dir le cose come sono, io non ebbi mai una troppo grande inclinazione allo scrivere per il pubblico, e all'arte e a prosa non ci attesi mai; tanto è, che ho scritto di solito come vien viene. Fui sempre e sono, invece, appassionatissimo dell'arte dell'insegnamento orale, in tutte le sue forme; e l'attendere a cotesta opera, con molta intensità, mi ha distolto per lunghi anni, in passato, dal ridire per iscritto (- e chi potrebbe veramente ridirlo dal vivo? -) ciò che, insegnando, vien detto spontaneo di forma, duttile, pronto, adattato al caso, ricco di attinenze e pieno di riferimenti. Abbracciando poi, più in qua, il socialismo, in corale rinascenza dello spirito io divenni più desideroso di comunicar col pubblico, per mezzo di opuscoli, di lettere d'occasione, d'indirizzi e di conferenze, che mi si moltiplicarono per anni quasi a mia insaputa. Non son forse questi i doveri e gli oneri del mestiere? Ed è qui che due anni fa venne precisamente in buon punto il mio benedetto signor Croce, col consiglio che mi dette, che io pubblicassi dei saggi di socialismo scientifico, come per porre alla mia attività di socialista un obiettivo più solido. E, come da cosa vien cosa, anche queste lettere d'occasione possono passare per un saggio sussidiario e complementare di materialismo storico.

Come è chiaro, caro Sorel, questo discorso non riguarda punto voi, ma me soltanto; perché cerco quasi quasi delle scuse alla pubblicazione di un nuovo libercolo, e in quanto io da italiano vivo in Italia. Probabilmente se queste mie lettere, oltre che da voi, saranno lette da altri in Francia, costoro diranno, che io non li ho persuasi lo stesso del materialismo storico, e forse ripeteranno ragionevolmente le osservazioni di alcuni critici dei miei saggi, che, con le traduzioni, cioè, da una lingua straniera, non si riesce a cambiare gli umori intellettuali di una nazione40.

 

Pur così scrivendo, come per metter la chiusa a questa faccenda epistolare, temo ancora non mi venga la voglia di continuare. Non son forse le lettere moltiplicabili all'indefinito, come le favole e i racconti? Per fortuna, però, io m'ero proposto fin dal principio di rispondere, così all'ingrosso, ai quesiti che voi, sfiorando dei tèmi della massima difficoltà, ponete nella vostra Prefazione; cosicché una ragione di finire m'è pur data dai termini stessi del vostro scritto, al quale mi sono andato via via riferendo. Se m'abbandonassi poi all'estro della conversazione, chi sa dove andrei a finire! - le lettere diverrebbero una letteratura. Di ciò voi non mi sapreste grado; per quanto potesse allietarsene il signor Croce, il quale vorrebbe mettere in tutti il suo istinto di prolificazione letteraria. Lui fa un curioso contrasto con le dolci abitudini di questa dolce Napoli, nella quale gli uomini - come i Lotofagi che ogni altro cibo aveano in dispregio - vivono immersi nel solo presente, e par che, proprio in cospetto della statua di G. B. Vico, allegramente faccian le fiche alla filosofia della storia.

 

Ma, pur volendo una buona volta finire, mi conviene di mettere in carta alcune altre brevi note ancora.

Mi pare, innanzi tutto, che voi, non per curiosità vostra, ma quasi mettendovi ad arte nei panni del comune dei lettori, domandiate: c’è mai modo di fare intendere, per via facile e piana, in che consista quella dialettica, che così spesso s’invoca a dilucidazione dell'intrinseco del materialismo storico? E potreste, credo, aggiungere, che il concetto della dialettica riesce ostico, ai puri empiristi, ai metafisici sopravvissuti, e a quei popolari evoluzionisti, i quali così volentieri s'abbandonano alla generica impressione di ciò che è e trapassa, apparisce e sparisce, nasce e muore, e nella parola evoluzione non esprimono, da ultimo, l'atto del comprendere, ma l'incomprensibile: mentre, all'incontro, nella concezione dialettica s'intende di formulare un ritmo del pensiero, che riproduca il ritmo più generale della realtà che diviene.

Ma io - se l'ora stanca di queste lettere non me ne facesse divieto - ove mai volessi ricominciare, prima di rispondere a così grave quesito, ricorrerei con la mente al ricordo del poeta greco, che, alla domanda del tiranno di Siracusa: che cosa fossero gli dèi? - chiese prima uno, poi un altro, e poi un altro giorno di tempo, e così senza fine. E dire, in verità, che, ai poeti, che li creano, li inventano, li lodano e li celebrano, gli dèi devono essere assai più familiari, che non possa esser la dialettica a me, se altri mi mettesse fra l'uscio e il muro, con l'obbligo di rispondere a un imperioso quesito! E piglierei tempo - il che non è alieno dal pensare dialetticamente - dicendo (il che è una implicita risposta): - noi non possiamo renderci conto adeguatamente del pensiero, se non pensando in atto; - alle maniere di procedimento del pensiero bisogna adusarcesi con successivi sforzi; - ed è sempre assai pericoloso il saltare a pie' pari, dall'uso concreto di una maniera di concezione alla generica definizione formale di essa. Messo ancora alle strette, per non gravare l'interrogatore di studii troppo lunghi, ardui e complicati, lo rimanderei all'Antidühring, e segnatamente al capitolo intitolato: Negazione della negazione.

Ivi, e in tutto quel libro, si vede come Engels fosse, non solo inteso con l'animo a spiegare ciò che espone, ma preoccupato ancor più del mal uso che può farsi dei procedimenti mentali, quando, chi vi rivolge l'attenzione, più che essere portato a pensare qualcosa di concreto in cui la forma del pensiero si riveli viva e vivente, sia disposto a cadere negli schematismi a priori, ossia nello scolasticismo, che non fu - sia detto con buona pace degl'ignoranti - la nota esclusiva dei dottori del Medioevo, come se fosse soltanto roba da preti. Dello scolasticismo se ne può fare sopra ogni dottrina. Il primo scolastico fu Aristotele in persona; che fu, inoltre, tante altre cose in più, e fu soprattutto un genio della scienza. Dello scolasticismo se ne fa già in nome di Marx. Di fatti la maggior difficoltà d'intendere e di continuare il materialismo storico non istà nella intelligenza degli aspetti formali del marxismo, ma nel possesso delle cose in cui quelle forme sono immanenti; delle cose, che Marx per conto suo seppe ed elaborò, e di quelle altre moltissime, che tocchi a noi di conoscere e di elaborare direttamente.

Nei molti anni che ho speso nell'insegnare, io fui sempre persuaso del gran danno che si fa alle menti giovanili, quando, invece d’immergerle, con opportuna e pieghevole arte, in una determinata provincia della realtà, perché osservando, comparando e sperimentando, poco per volta arrivino alte formule, agli scherni, alle definizioni, si comincia dall'usar subito di queste ultime, come se fossero i prototipi delle cose esistenti. Insomma, la definizione da cui s’incomincia è vuota, mentre è solo piena quella cui si arrivi, geneticamente. Nell'insegnare si vede quanto il definire sia cosa pericolosa; secondo il senso plebeo che molti dànno ad una sentenza del diritto romano, la quale dice, in verità, tutt'altro. La didattica non è quella attività, che produca un nudo effetto di cosa fissa (come nudo prodotto); ma è quella attività, che generi altra attività. Insegnando noi riconosciamo, come il nocciolo primo di ogni filosofare è sempre il Socratismo; ossia la virtuosità generativa dei concetti41.

Rimandando all'Antidühring, e a quel capitolo segnatamente, non intenderei, per ciò, di rinviare ad un catechismo, ma solo ad un esempio di abilità didattica. Le armi e gl'istrumenti son tali solo all'opera; e non quando sian visti in armadio da museo.

 

 

Inoltre, se non dovessi pur finire una buona volta, vorrei fermarmi ad illustrare le parole dove dite, che l'Italia meriti, come culla comune della civiltà, l'omaggio di tutti. Può parere che queste parole siano una stonatura, mentre discorrete proprio del socialismo, che all'Italia veramente non deve molto. Ma, se è vero che il socialismo è il frutto della civiltà adulta, i maturi e provetti degli altri paesi non faran male a rivolgere, di tanto tanto, gli occhi loro a questa culla. Ripensando all'Italia, che ha fatto per secoli la più gran parte della storia universale, tutti avranno sempre qualcosa da impararci; e poi dopo s'avvedono, che l'avean già a casa loro quest'Italia, come il presupposto di ciò che essi presentemente sono. Ad altri francesi è parso in passato, che questo paese fosse, da culla, diventato tomba della civiltà; e per tal tomba devon tenerla la più parte dei forestieri, che la visitano qual museo, ignari sempre del nostro presente. E in ciò hanno torto; e, per dotti che siano, cotesti visitatori di musei rimangon sempre ignoranti - dico ignari della vita attuale di questo paese, che par la vita del morto risorto, il che è almeno un caso degno di nota.

In che veramente consiste questo rinascimento d'Italia, e che aspettativa può dar di sé, a quelli che guardino la generalità del progresso umano, senza pregiudizii e senza preconcetti? 42. Per tacere delle grandi difficoltà che c'è a trattare, con intenti obiettivi, e con criterii non desunti dai soli impulsi della personale opinione, la storia attuale di qualunque paese; nel caso speciale d'Italia bisognerebbe risalire fino al secolo XVI, quando l'iniziale sviluppo dell'epoca capitalistica - che qui avea sede principale - fu spostato dal Mediterraneo. Bisognerebbe arrivare, attraverso alla storia della successiva decadenza, alle premesse positive e negative, interne ed esterne, delle presenti condizioni d'Italia. Non occorre io dica che le mie forze sarebbero impari all'impresa; perché non avrei la più lontana tentazione di misurarmici, a proposito e nella occasione di un discorso familiare, come è questo. Chi un simile studio sapesse concretare in un libro, potrebbe dire d'aver concorso ad esprimere, in forma riflessa, la presente situazione, e l'attuale coscienza degl'italiani43. Qui da noi si è spesso assai ciecamente ottimisti o ciecamente pessimisti, nel senso che si dai non-filosofi a coteste parole; specie perché in Italia c'è una grande ignoranza del vero stato degli altri paesi, cosicché molti le condizioni indigene valutano, non alla stregua comparativa e pratica dell'ora presente, ma ad una tutta ideale, ipotetica, e spesso utopistica. Ed è singolare il caso, che qui da noi, in tanto risorgere delle scienze della osservazione nel campo della natura - le quali scienze vengono veramente coltivate con intenti particolaristici e dirò antifilosofici - sia così scarso l'intelletto positivo delle cose sociali attuali, mentre è così stragrande in questo paese stesso il numero dei sociologisti, che somministrano definizioni ai sitibondi di verità. Ma si sa, i sociologisti hanno in tutto il mondo una certa curiosa antipatia per gli studii della storia; che poi sarebbe, secondo il senso dei profani, quella tal cosa nella quale la società s'è svolta.

Pochi, in conclusione, vedon chiaro in questa circostanza di fatto; che, cioè, la borghesia italiana, la quale è già oggetto, come in ogni altro paese, alle ire, e agli odii degli umili, dei manomessi, degli sfruttati, e per un altro verso è stretta e premuta dal popolo minuto, è essa stessa in se stessa instabile, inquieta, incerta, perché l'è impedito di mettersi alla pari con quella degli altri paesi, nel campo della concorrenza. Per questa ragione, come per l'altra, che dall'altro lato essa ha il papa44, con quel suo non indifferente bagaglio di cose, che solo i teorici dell'utopismo liberalesco proclamano trapassate per sempre, questa borghesia, che deve ancora ascendere, è intimamente rivoluzionaria, come direbbe il Manifesto. E come non ha potuto esser giacobina, quanto sarebbe stato il naturale istinto suo, s'è acquetata nella formula del re per la grazia di Dio e della nazione ad un tempo. Non potendo questa borghesia fare assegnamento sul rapido sviluppo di una grande industria, che tarda difatti a venire, e nella conseguente rapida conquista di un grande mercato esterno, dato il progresso lento ed incerto della economia nazionale, per la massima parte agraria, fa la politica mezzana degli espedienti, e consuma nell'abilità l'ingegno. Ecco la parte che fa la flotta italiana da più mesi in Oriente: par la volpe, che, secondo la favola, dichiari immatura l'uva che non può afferrare; ma questa volpe qui, con divario da quella della favola, si trova tra altre volpi, che l'uva afferrata custodiscono, o dell'uva stanno per afferrare! Ed ecco che la volpe si fa idealista, per manco di positivo. Questa borghesia italiana, di fronte all'astensionismo, o reazionario o demagogico dei clericali, e per il lentissimo sviluppo dell'opposizione proletaria, si è sentita e si sente come se fosse tutta la nazione, e nel difetto di partiti che dividano la società, il nome di partiti alle fazioni che si raccolgono intorno a capitani e proconsoli, o ad intraprenditori ed avventurieri di varie sorti. Al primo apparire del socialismo essa rimase attonita.

D'altra parte, s'ingannano quelli i quali credono, che l'agitarsi delle moltitudini sia sempre indizio o prodromo da noi, com'è di fatto alcune volte e in alcuni punti d'Italia, di quel moto proletario che, come lotta economica su base concreta, o come aspirazione politica, volge più o meno esplicitamente al socialismo in altri paesi. Qui il più delle volte questo agitarsi è come la ribellione delle forze elementari contro di uno stato di cose in cui esse forze non trovano la necessaria coercizione, quella coercizione, dico, che è propria di un sistema borghese atto ad irreggimentare i proletarii. Si guardi, per es., all'acuita forma di emigrazione, che è, salvo poche eccezioni, di uomini atti ad offrire le braccia, l'incomparabile sedulità, e lo stomaco capace d'ogni privazione, allo sfruttamento del capitale straniero in terra straniera: - sono, in una parola, lavoratori uscenti dai campi, dove son di soverchio, o dall'artigianato in decadenza, che la ferula educativa del capitale ridurrebbe in isquadre di addetti alle fabbriche, se la grande industria si affrettasse a svolgersi, o che il patrio capitale menerebbe nelle patrie colonie, se ce ne fosse, e se non fosse venuta la pazzia di crearne dove pare presso che impossibile il farne45.

L'Italia è diventata - ed è ben naturale, - negli ultimi anni, la terra promessa dei decadenti, dei megalomani, dei critici a vuoto, degli scettici per fastidio e per posa. Alla parte sana e verace del movimento socialistico (al quale non è dato per ora dalle circostanze altro ufficio da quello in fuori di preparare la educazione democratica del popolo minuto) si mescolano, di conseguenza, parecchi, i quali, se volessero mettersi la mano su la coscienza, avrebbero da confessare, che essi son decadenti, e che li sospinge a dimenarsi, non la fattiva volontà del vivere, ma l'indistinto fastidio del presente: - essi, leopardiani annoiati!

 

Devo finalmente finire; ma mi pare mi arrivi all'orecchio come una leggiera voce di protesta da parte di quei compagni, che son così pronti ad obiettare; e che quella voce dica: coteste son sofisticherie da dottrinarii, e noi abbiam bisogno di pratica. Sicuro, d'accordo, avete ragione. Il socialismo è stato per così lungo tempo utopistico, progettistico, estemporaneo e visionario, che è bene ora di dire e di ripetere ogni momento, che ci occorre la pratica; perché gli animi di quelli che lo professano sian rivolti di continuo a misurare le resistenze del mondo effettuale, e a studiar di continuo il terreno, sul quale ci è imposto di aprirci la non facilemorbida via. Badi però il mio ipotetico critico di non far proprio lui la parte del dottrinario; la qual parola, per chi se ne intenda, designa una certa disposizione delle menti, viziate dall'astrazione, a ritenere, che le idee proclamate per sé eccellenti, e i frutti delle esperienze raccolte in determinati tempi e luoghi, sian cose da applicare difilato al concreto, e inoltre buone per ogni tempo e luogo. La pratica dei partiti socialistici, a confronto d'ogni altra politica fino ad ora esercitata, è ciò che più risponde, non dirò alla scienza, ma ad un procedimento razionale. È la dura prova di una costante osservazione, e di un adattamento da tentar di continuo; - è la dura prova d'indirizzare sopra una linea di moto unitario le tendenze, spesso difformi e spesso antagonistiche, del proletariato; - è lo sforzo di condurre ad esecuzione dei disegni pratici col sussidio della chiara visione di tutti i rapporti che legano, con complicatissimo intreccio, le varie parti del mondo in cui viviamo. E se cosi non fosse, per che ragione e a che titolo si parlerebbe del vantato marxismo? Se il materialismo storico non regge, vuol dire che l'aspettativa del socialismo è caduca, e che il nostro pensiero della società futura è creazione da utopisti!

Pur troppo gli è vero, in fatto, che in tutto il socialismo contemporaneo c'è sempre latente un certo che di neoutopismo46; come è il caso di coloro, che, ripetendo di continuo il dogma della necessaria evoluzione, questa poi confondon quasi con un certo diritto ad uno stato migliore, e la futura società del collettivismo della produzione economica, con tutte le conseguenze tecniche e pedagogiche che dal collettivismo risulterebbero, dicono che sarà perché deve essere, - e quasi dimenticano, che cotesto futuro devono pur produrlo gli uomini stessi, e per la sollecitazione dello stato in cui sono, e per lo sviluppo delle attitudini loro. Beati costoro, che il futuro della storia e il diritto al progresso misurano quasi alla stregua di un certificato di assicurazione su la vita!

Cotesti dogmatici delle idee a buon mercato dimenticano diverse cose. In prima, che il futuro, appunto perché è il futuro, che sarà il presente quando noi saremo il passato, non può costituire il criterio pratico di ciò che noi dobbiam fare al presente. Sarà ciò cui si arriverà, - ma non è la via per arrivarci. In secondo luogo, l'esperienza di questi ultimi cinquant'anni deve indurre gli atti al pensiero ed alla pratica in questa persuasione: che, cioè, a misura che cresce nei proletarii e nel minuto popolo la capacità ad organizzarsi in partiti di classe, la prova stessa di questo complicato movimento ci porta a intendere lo sviluppo dell'èra nuova secondo una misura di tempo, che è assai lenta a confronto del rapido ritmo che concepivano una volta i socialisti intinti di giacobinismo rivissuto. Or sopra a una distesa così grande di tempo la nostra previsione non può non correre incerta; tenuto conto della enorme complicazione del mondo attuale, e in tanto allargarsi del capitalismo, ossia della forma borghese. Chi non vede, che oramai il Pacifico soppianta l'Atlantico, come questo a suo tempo fece passare in seconda linea il Mediterraneo? Cosicché, in terzo luogo, la scienza pratica del socialismo consiste nella chiara notizia di tutti cotesti complicati processi dell'orbe economico, e, parallelamente, nello studio delle condizioni del proletariato, in quanto esso via via diventa atto a concentrarsi in partito di classe, e porta in questa successiva concentrazione l'animo che gli è proprio, data la lotta economica in cui s'inradica quella politica, che gli è mestieri di fare. Su cotesti dati più prossimi la nostra previsione può correre con sufficiente chiarezza di calcoli, e può raggiungere il punto nel quale il proletariato divenga prevalente, e poscia predominante politicamente nello stato. E da quel punto, che deve coincidere con la impotenza del capitalismo a reggersi, da quel punto, dico, che nessuno può immaginarsi come un rumoroso patatrac, sarebbe il cominciamento di ciò che molti, non si sa perché, come se tutta la storia non fosse la serie delle rivoluzioni della società, chiamano enfaticamente la rivoluzione sociale par excellence. Spingersi oltre di quel punto, coi ragionamenti, gli è come voler confonder questi con gli artifizii della immaginazione.

Il tempo dei profeti è trapassato. Beato te, Fra Dolcino, che nelle tue tre lettere47 potesti trasfigurare gli accidenti politici del momento (papa Celestino e papa Bonifacio VIII, Angioini ed Aragonesi, Guelfi e Ghibellini, misere plebi e patriziati dei comuni, e così via) in tipi già simboleggiati dai profeti e dall'Apocalisse, misurando ad anni, a mesi ed a giorni, con successive correzioni, i tempi della provvidenza. Ma fosti un eroe; la qual cosa dimostra, che quelle fantasie non furon la causa del tuo operare, ma l'involucro ideale, nel quale tu rendevi conto a te stesso, come fecer tanti altri, per tutto un secolo innanzi a te, e Francesco d'Assisi compreso, del disperato moto delle plebi contro la gerarchia papale, contro la borghesia già forte nei comuni e contro il nascente monarcato. Ora tutti quegli involucri furon lacerati, compresa la religione delle idee, come dicon quelli che usano un gergo da ipocriti, per mostrare una certa superstiziosa reverenza per la religione degli altri. Ora, presentemente, non è lecito di essere utopisti, se non ai soli imbecilli. L'utopia degli imbelli, o è cosa ridicola, o è dilettanza da letterati che vadano visitando quel falansterio di ninnoli di cui è architettore il Bellamy. Quell'umile Marx, tutto prosa di scienza, andò raccogliendo modestamente nella società presente i primi indizii delle transizioni a quella che diverrà, come per es., il sorgere delle cooperative (vere!) in Inghilterra e cose simili, e fu rassegnato (specie nell'opera spesa nella Internazionale) alla parte di ostetrico, che non è proprio quella di un artefice del futuro. Lui ed Engels dissero della società dell'avvenire - data la ipotesi della dittatura politica del proletariato - non sotto l'aspetto intuitivo, del come essa parrebbe a chi la vedesse, ma sotto l'aspetto del principio direttivo della forma, ossia della struttura economica, e segnatamente in antitesi a questa società presente48.

Del resto, se c'è chi abbia il bisogno di vivere fin da ragazzo nel futuro, come da sentirlo e da provarlo su la propria pelle; e, papeggiando in nome delle idee, voglia investire dei loro diritti e doveri i componenti la società dell'avvenire - s'accomodi pure. Permetta quindi a me, che pure ho un qualche diritto d'inviare la mia carta di visita ai posteri, di esprimere la speranza, che quei del futuro, non trasumanati tanto da non esser più comparabili a noi del presente, serbino tanto della gaia dialettica del ridere, da farsi beffe umoristicamente dei profeti dell'oggi.

 

Finisco per davvero; e toccherebbe ora a voi, se mai vi piace, di ricominciare.

 

 





40 In questo volumetto io intesi di rispondere esclusivamente ai quesiti, che avean fatto sorgere in me per diverse vie le domande e le obiezioni del Sorel. Il lettore non potrà per ciò trovare qui alcuna risposta, né direttaindiretta, alle varie critiche delle quali sono stati oggetto i miei Essais. Da parecchie di quelle critiche io ho avuto molto da imparare. Passando sopra alle recensioni di meno ragguaglio, e omettendo di soffermarmi su le polemiche incidentali, e su le gratuite impertinenze di qualche sgarbato scrittore, io ringrazio, e vivamente, i signori Andler, Durkheim,Gide, Seignobos, Xenopol, Bourdeau, Bernheim, Pareto, Petrone, Croce, Gentile, e i redattori dell’”Année Sociologique” e del “Novoie Slovo”, delle estese critiche di cui mi furono cortesi. Non posso a meno di notare come io sia stato oggetto di osservazioni del tutto opposte fra loro, per es.: voi siete troppo marxista: - voi non siete più marxista. Le due affermazioni son del pari infondate. Il vero è solo questo: che avendo io accettata la dottrina del materialismo storico, l’ho poi trattata allo stato naturale della scienza…, e secondo il mio temperamento intellettuale.



41 Vorrei qui rimandare al mio scritto su la: Dottrina di Socrate, Napoli 1871, e segnatamente a pp. 56-72, dove si discorre del metodo. Mi giova nondimeno di riferirne di alcuni brani, che aprono la via ad intendere il momento socratico d’ogni forma del sapere.

“Lo stato primitivo della coscienza umana, sebbene corrisponda all’epoca della prima formazione della società, si continua e perpetua anche nei periodi posteriori della storia, perché acquista un certo carattere sostanziale nei costumi, e ferma la sua espressione nei miti e nella poesia primitiva. Il sorgere successivo ed il lento sviluppo della riflessione…non riescono ad escludere tutto ad un tratto le diverse manifestazioni della coscienza primitiva ed irriflessa, e la trasformazione degli antichi elementi, in concetti coscientemente appresi e pensati, non avviene se non per via di un lungo processo, e di una lotta assidua, incessante e secolare.Questo processo di trasformazione non ha luogo soltanto per l’azione di quei motivi intrinseci di critica e di esame, che possono dirsi teoretici: ma emerge necessariamente dalle collisioni pratiche fra la volontà dell’individuo e l’opinione tradizionale espressa nel costume, e più tardi assume il carattere di una lotta sociale fra classe e classe, e individuo e individuo. Nella storia di questa lotta, quello fra gli elementi della vita primitiva che offra più materia di contrasto…è la lingua…che conserva nelle epoche posteriori l’apparenza di una norma, alla quale tutti gli individui debbano necessariamente e inevitabilmente adattarsi. Ma quando gli uomini han cessato di trovarsi istintivamente d’accordo in quello che deve chiamarsi giusto, virtuoso, onesto, etc…ed han perduto la fede in quei tipi astratti del mito e della leggenda, nei quali la fantasia primitiva avea espresso ed ipostatato i comuni criteriisorge…nell’individuo il bisogno di rifarsi quella certezza, che prima s’avea nell’acquiescenza in un criterio comune e naturale, e si dice: esti (che è)? E in questa domanda è riposto l’interesse logico di Socrate”(p. 59). – “L’unità intrinseca della parola, che nel costante valore fonetico serba una certa apparenza di uniformità, non vale che ad accrescere la confusione e l’incertezza; perché, mentre dapprima siam vinti dall’illusione, che le stesse parole esprimano le medesime rappresentazioni, a lungo andare la convinzione che acquistiamo del profondo divario che passa fra i nostri e gli altrui concetti, diviene più evidente di quella illusione, e finisce per bandirla del tutto”(p. 62). – “La domanda esti (che è) circoscrive tutta la ricerca sula valore di un concetto, alla evidente determinabilità di quello che in esso si pensa. Il contenuto, che a prima vista sembra espresso nella semplice denominazione, bisogna che sia davvero posto, nella sua inerenza ed identità; e questo processo non può compiersi da sopra in sotto, o, come diremmo noi, deduttivamente, perché manca ancora la coscienza di un valore logico incondizionato ed assoluto”(p. 65). – “Il punto di partenza, ossia il nome, che nella sua semplice unità fonetica era dapprima il centro della ricerca, diviene in ultimo l’estremo termine del pensiero; quello in cui si va a metter capo, col farne consapevolmente l’espressione di un contenuto evidentemente pensato; e le immagini concrete, che dapprima si aggruppavano incertamente intorno alla vaga denominazione, non reggendo più alla nuova sintesi, devono scomporsi e prendere un nuovo posto: e solo il nuovo elemento, ottenuto mediante la ricerca, ossia il contenuto costante della rappresentazione, raccolto via via mediante l’induzione, può determinare la coordinazione e la subordinazione nella quale le immagini devono coesistere”(pp. 66-67).



42 Nello scrivere questi fugaci appunti su la presente condizione d’Italia, io mi estesi di molto. Ma poi, nel dare alle stampe queste lettere, ho pensato di restringermi; perché in tempo non lontano io pubblicherò un altro Saggio, nel quale avrò occasione di parlare con sufficiente larghezza delle cause remote e delle ragioni prossime della presente situazione del nostro paese.



43 Cotesto esame io feci per lo meno in modo sommario in principio del mio corso accademico del 1897-98, che era dedicato alla “caduta dell’Ancien Régime”. A spiegare lo sviluppo catastrofico della società capitalistica in Francia, mi occorre di premettere un insieme di caratteristiche di ciò che chiamiamo società moderna. Ma come lo sviluppo, o impedito, o ritardato, della vita d’Italia toglie a molti italiani la chiara visione del mondo capitalistico, così mi convenne di precisare le cause, le ragioni, e i modi dell’ora presente nel nostro paese. Molti socialisti italiani non vedeano fino a poco tempo fa, come gl’impedimenti allo sviluppo capitalistico fossero altrettanti impedimenti al formarsi di una società proletaria capace di azione politica, ond’erano e rimanevano, bob gré mal gré degli utopisti. Allora, nel Decembre 1897, io non potevo prevedere l’uragano che scoppiò in Italia nel successivo maggio 1898: - ma quell’uragano mi trovò preparatoad intenderlo. E che altro possiamo noi fare incerti casi, oltre che d’intendere?



44 Più volte, dal 1887, ebbi occasione di combattere, parlando e scrivendo, i tentativi di conciliazione fra l’Italia e il Vaticano. Ma non mi appellai mai, in tale polemica, né al materialismo, né all’ateismo, etc., come soglion fare gli ideologi. Mi appellai sempre all’interesse pratico della nostra borghesia, la quale, per dirla in due parole, non può fare a meno di due simboli a un tempo: - dell’Inno di Garibaldi e della Marcia Reale. La impossibilità pratica di un vero e proprio partito conservatore è una delle note caratteristiche del nostro paese; - perché qui conservare vorrebbe dir distruggere. Del resto i nostri preti, italianamente prosaici anche loro, miran sempre al regno di Dio in terra, maneggiano gli affari da umanisti in ritardo, e importano, quali articoli di lusso, dalla Germania e dall’Austria, la teologia, l’erudizione sacra, la democrazia cristiana e le casse confessionali.



45 “L’Italia ha bisogno di progredire materialmente, moralmente, intellettualmente. Io spero che voi vedrete un’Italia, nella quale l’atavistico assetto della coltura dei campi sarà soppiantato dalla introduzione delle macchine e dalle larghe applicazioni della chimica; e che vediate strappata ai corsi superiori dei fiumi, e forse alle onde del mare ed ai venti, la forza generatrice della elettricità, che sola può compensarci del carbon fossile che ci manca. Io mi auguro che voi vedrete spariti dall’Italia gli analfabeti, e con essi gli uomini che non son cittadini, e le plebi che non son popolo. Voi sarete forse testimoni e parte di una politica, la cui orientazione sarà determinata dalla coscienza della cresciuta coltura, e dalla moltiplicata potenza economica, e non più dalle pitoccate alleanze, e dalle imprese fantasticamente avventurose, che terminano poi in atti di prudenza che paiono viltà”. Così dicevo l’anno passato, nel discorso inaugurale della Università di Roma, il 14 novembre, volgendomi ai giovani: e son queste le parole appunto che levarono tanto rumore (Cfr. L’Università e la libertà della scienza, Roma 1897, p.50).



46 il Bernstein trattò di recente, e con molta abilità, in alcuni ingegnosi articoli della “Neue Zeit”, dell’utopismo latente anche fra i marxisti: - e molti, cui veniva la botta, avran detto: tocca a noi?

(Nello scrivere così nel 1897 non mi sarei sognato, che, a breve andare, quel Bernstein di cui lodavo la critica solo in quanto è critica, sarebbe stato portato in giro per il mondo, quale esemplare massimo di riformismo, dai colporteurs della crisi del marxismo. – Nota alla ristampa).

1 Per questo moltiplicarsi dei centri di produzione, e per gl’incroci e le interferenze che ne conseguitano, anche le crisi hanno subito uno spostamento. Invece della periodicità (che per Marx era decennale, dato l’esempio tipico dell’Inghilterra) ci si presenta ora lo stato diffuso e cronico della crisi. Ciò è divenuto un grave argomento per quelli che combattono le previsioni catastrofiche. In somma si vuol rendere responsabile il marxismo, in quanto è dottrina, degli errori di previsione e di calcolo nei quali è potuto cadere Marx, in quanto visse in determinati limiti di tempo, di spazio e di circostanze.



47 Di una, come è noto, non abbiamo che dei frammenti per indiretto.



48 Rimando ai brani che cito in fine del Materialismo storico.





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