X.
Resina (Napoli), 15 settembre ‘97
Caro Sorel,
Nel rileggere,
nel rivedere, nel ritoccare - giacché ho fatto disegno di darle alle stampe -
le lettere, che io v’andai scrivendo dall'aprile al luglio ultimi, m'è parso
formino come una certa tal quale serie, e nel tutt'insieme dicano qualcosa. Di
certo i pensieri di semplice accenno, gli enunciati appena appena sviluppati,
le osservazioni il più delle volte incidentali, e le bizzarre critiche
disseminate qua e là, -. tutte le cose, insomma, che mi venne di dire, nel modo
che è proprio di chi scriva currenti calamo, assumerebbero ben altra
forma, entrerebbero in tutt'altra disposizione, passerebbero per una nuova e
meditata elaborazione, se io avessi in animo di comporre un libro degno d'un
titolo altisonante come, per es.: Il socialismo e la scienza; o Il
materialismo storico e l’intuizione del mondo, e così via. Ma, come io, nel
conversar con voi a distanza, ho usato in larga misura delle libertà che son
proprie della facoltà discorsiva, così, ora che mi son risoluto a raccogliere
quelle fugaci lettere nella forma d'un libercolo, imporrò a questo un modesto
ed appropriato titolo di: Discorrendo di socialismo e di filosofia, Lettere
a G. Sorel.
Devo
agl'insistenti consigli del mio amico Benedetto Croce, di commettere cotesto
nuovo peccato di letteratura minuscola. Questo mio benedettissimo amico è
diventato il mio tormento e la mia croce. Dacché lesse quelle lettere, non m'ha
dato più pace; e ha voluto gli promettessi di renderle pubbliche, nella forma
di un opuscolo. Se io stessi a sentir lui, ai miei anni non verdi, diverrei un
continuo e perpetuo produttore di carta stampata: mentre a me è piaciuto
sempre, in passato, di lasciar dormire nei cassetti i non pochi catafasci di
carta scritta, che m'è toccato di accumulare, per anni ed anni, nella qualità
di insegnante e di appassionato estensor di lettere. In questo caso speciale il
Croce poi mi andava dicendo, esser dover mio, ora che il socialismo s'allarga
in Italia, di concorrere alla vita del partito, che cresce e si fortifica, coi
mezzi e nei modi che son più rispondenti alle attitudini mie. E sia pur così; -
ma poi tutto sta a vedere, se i socialisti di tale aiuto e di tale sussidio
sentano proprio il bisogno e il desiderio.
A dir le cose
come sono, io non ebbi mai una troppo grande inclinazione allo scrivere per il
pubblico, e all'arte e a prosa non ci attesi mai; tanto è, che ho scritto di
solito come vien viene. Fui sempre e sono, invece, appassionatissimo dell'arte
dell'insegnamento orale, in tutte le sue forme; e l'attendere a cotesta opera,
con molta intensità, mi ha distolto per lunghi anni, in passato, dal ridire per
iscritto (- e chi potrebbe veramente ridirlo dal vivo? -) ciò che, insegnando,
vien detto spontaneo di forma, duttile, pronto, adattato al caso, ricco di
attinenze e pieno di riferimenti. Abbracciando poi, più in qua, il socialismo,
in corale rinascenza dello spirito io divenni più desideroso di comunicar col
pubblico, per mezzo di opuscoli, di lettere d'occasione, d'indirizzi e di
conferenze, che mi si moltiplicarono per anni quasi a mia insaputa. Non son
forse questi i doveri e gli oneri del mestiere? Ed è qui che due anni fa venne
precisamente in buon punto il mio benedetto signor Croce, col consiglio che mi
dette, che io pubblicassi dei saggi di socialismo scientifico, come per porre
alla mia attività di socialista un obiettivo più solido. E, come da cosa vien
cosa, anche queste lettere d'occasione possono passare per un saggio
sussidiario e complementare di materialismo storico.
Come è chiaro,
caro Sorel, questo discorso non riguarda punto voi, ma me soltanto; perché
cerco quasi quasi delle scuse alla pubblicazione di un nuovo libercolo, e in
quanto io da italiano vivo in Italia. Probabilmente se queste mie lettere,
oltre che da voi, saranno lette da altri in Francia, costoro diranno, che io
non li ho persuasi lo stesso del materialismo storico, e forse ripeteranno
ragionevolmente le osservazioni di alcuni critici dei miei saggi, che, con le
traduzioni, cioè, da una lingua straniera, non si riesce a cambiare gli umori
intellettuali di una nazione40.
Pur così
scrivendo, come per metter la chiusa a questa faccenda epistolare, temo ancora
non mi venga la voglia di continuare. Non son forse le lettere moltiplicabili
all'indefinito, come le favole e i racconti? Per fortuna, però, io m'ero
proposto fin dal principio di rispondere, così all'ingrosso, ai quesiti che
voi, sfiorando dei tèmi della massima difficoltà, ponete nella vostra Prefazione;
cosicché una ragione di finire m'è pur data dai termini stessi del vostro
scritto, al quale mi sono andato via via riferendo. Se m'abbandonassi poi
all'estro della conversazione, chi sa dove andrei a finire! - le lettere
diverrebbero una letteratura. Di ciò voi non mi sapreste grado; per quanto
potesse allietarsene il signor Croce, il quale vorrebbe mettere in tutti il suo
istinto di prolificazione letteraria. Lui fa un curioso contrasto con le dolci
abitudini di questa dolce Napoli, nella quale gli uomini - come i Lotofagi che
ogni altro cibo aveano in dispregio - vivono immersi nel solo presente, e par
che, proprio in cospetto della statua di G. B. Vico, allegramente faccian le
fiche alla filosofia della storia.
Ma, pur volendo
una buona volta finire, mi conviene di mettere in carta alcune altre brevi note
ancora.
Mi pare, innanzi
tutto, che voi, non per curiosità vostra, ma quasi mettendovi ad arte nei panni
del comune dei lettori, domandiate: c’è mai modo di fare intendere, per via
facile e piana, in che consista quella dialettica, che così spesso
s’invoca a dilucidazione dell'intrinseco del materialismo storico? E potreste,
credo, aggiungere, che il concetto della dialettica riesce ostico, ai puri
empiristi, ai metafisici sopravvissuti, e a quei popolari evoluzionisti, i
quali così volentieri s'abbandonano alla generica impressione di ciò che è e
trapassa, apparisce e sparisce, nasce e muore, e nella parola evoluzione non
esprimono, da ultimo, l'atto del comprendere, ma l'incomprensibile: mentre,
all'incontro, nella concezione dialettica s'intende di formulare un ritmo del pensiero,
che riproduca il ritmo più generale della realtà che diviene.
Ma io - se
l'ora stanca di queste lettere non me ne facesse divieto - ove mai volessi
ricominciare, prima di rispondere a così grave quesito, ricorrerei con la mente
al ricordo del poeta greco, che, alla domanda del tiranno di Siracusa: che cosa
fossero gli dèi? - chiese prima uno, poi un altro, e poi un altro giorno di
tempo, e così senza fine. E dire, in verità, che, ai poeti, che li creano, li
inventano, li lodano e li celebrano, gli dèi devono essere assai più familiari,
che non possa esser la dialettica a me, se altri mi mettesse fra l'uscio e il
muro, con l'obbligo di rispondere a un imperioso quesito! E piglierei tempo -
il che non è alieno dal pensare dialetticamente - dicendo (il che è una
implicita risposta): - noi non possiamo renderci conto adeguatamente del
pensiero, se non pensando in atto; - alle maniere di procedimento del pensiero
bisogna adusarcesi con successivi sforzi; - ed è sempre assai pericoloso il
saltare a pie' pari, dall'uso concreto di una maniera di concezione alla
generica definizione formale di essa. Messo ancora alle strette, per non
gravare l'interrogatore di studii troppo lunghi, ardui e complicati, lo
rimanderei all'Antidühring, e segnatamente al capitolo intitolato: Negazione
della negazione.
Ivi, e in tutto
quel libro, si vede come Engels fosse, non solo inteso con l'animo a spiegare
ciò che espone, ma preoccupato ancor più del mal uso che può farsi dei
procedimenti mentali, quando, chi vi rivolge l'attenzione, più che essere
portato a pensare qualcosa di concreto in cui la forma del pensiero si riveli
viva e vivente, sia disposto a cadere negli schematismi a priori, ossia
nello scolasticismo, che non fu - sia detto con buona pace degl'ignoranti - la
nota esclusiva dei dottori del Medioevo, come se fosse soltanto roba da preti.
Dello scolasticismo se ne può fare sopra ogni dottrina. Il primo scolastico fu
Aristotele in persona; che fu, inoltre, tante altre cose in più, e fu
soprattutto un genio della scienza. Dello scolasticismo se ne fa già in nome di
Marx. Di fatti la maggior difficoltà d'intendere e di continuare il
materialismo storico non istà nella intelligenza degli aspetti formali del
marxismo, ma nel possesso delle cose in cui quelle forme sono immanenti; delle
cose, che Marx per conto suo seppe ed elaborò, e di quelle altre moltissime,
che tocchi a noi di conoscere e di elaborare direttamente.
Nei molti anni
che ho speso nell'insegnare, io fui sempre persuaso del gran danno che si fa
alle menti giovanili, quando, invece d’immergerle, con opportuna e pieghevole
arte, in una determinata provincia della realtà, perché osservando, comparando
e sperimentando, poco per volta arrivino alte formule, agli scherni,
alle definizioni, si comincia dall'usar subito di queste ultime, come se
fossero i prototipi delle cose esistenti. Insomma, la definizione da cui
s’incomincia è vuota, mentre è solo piena quella cui si arrivi, geneticamente.
Nell'insegnare si vede quanto il definire sia cosa pericolosa; secondo il senso
plebeo che molti dànno ad una sentenza del diritto romano, la quale dice, in
verità, tutt'altro. La didattica non è quella attività, che produca un nudo
effetto di cosa fissa (come nudo prodotto); ma è quella attività, che generi
altra attività. Insegnando noi riconosciamo, come il nocciolo primo di ogni
filosofare è sempre il Socratismo; ossia la virtuosità generativa dei
concetti41.
Rimandando all'Antidühring,
e a quel capitolo segnatamente, non intenderei, per ciò, di rinviare ad un
catechismo, ma solo ad un esempio di abilità didattica. Le armi e gl'istrumenti
son tali solo all'opera; e non quando sian visti in armadio da museo.
Inoltre, se non
dovessi pur finire una buona volta, vorrei fermarmi ad illustrare le parole
dove dite, che l'Italia meriti, come culla comune della civiltà, l'omaggio di
tutti. Può parere che queste parole siano una stonatura, mentre discorrete
proprio del socialismo, che all'Italia veramente non deve molto. Ma, se è vero che
il socialismo è il frutto della civiltà adulta, i maturi e provetti degli altri
paesi non faran male a rivolgere, di tanto tanto, gli occhi loro a questa
culla. Ripensando all'Italia, che ha fatto per secoli la più gran parte della
storia universale, tutti avranno sempre qualcosa da impararci; e poi dopo
s'avvedono, che l'avean già a casa loro quest'Italia, come il presupposto di
ciò che essi presentemente sono. Ad altri francesi è parso in passato, che
questo paese fosse, da culla, diventato tomba della civiltà; e per tal tomba
devon tenerla la più parte dei forestieri, che la visitano qual museo, ignari
sempre del nostro presente. E in ciò hanno torto; e, per dotti che siano,
cotesti visitatori di musei rimangon sempre ignoranti - dico ignari della vita
attuale di questo paese, che par la vita del morto risorto, il che è almeno un
caso degno di nota.
In che
veramente consiste questo rinascimento d'Italia, e che aspettativa può
dar di sé, a quelli che guardino la generalità del progresso umano, senza pregiudizii
e senza preconcetti? 42. Per tacere delle grandi difficoltà che c'è
a trattare, con intenti obiettivi, e con criterii non desunti dai soli impulsi
della personale opinione, la storia attuale di qualunque paese; nel caso
speciale d'Italia bisognerebbe risalire fino al secolo XVI, quando l'iniziale
sviluppo dell'epoca capitalistica - che qui avea sede principale - fu spostato
dal Mediterraneo. Bisognerebbe arrivare, attraverso alla storia della
successiva decadenza, alle premesse positive e negative, interne ed esterne,
delle presenti condizioni d'Italia. Non occorre io dica che le mie forze
sarebbero impari all'impresa; perché non avrei la più lontana tentazione di
misurarmici, a proposito e nella occasione di un discorso familiare, come è questo.
Chi un simile studio sapesse concretare in un libro, potrebbe dire d'aver
concorso ad esprimere, in forma riflessa, la presente situazione, e l'attuale
coscienza degl'italiani43.
Qui da noi si è spesso assai ciecamente ottimisti o ciecamente pessimisti,
nel senso che si dà dai non-filosofi a coteste parole; specie perché in Italia
c'è una grande ignoranza del vero stato degli altri paesi, cosicché molti le
condizioni indigene valutano, non alla stregua comparativa e pratica dell'ora
presente, ma ad una tutta ideale, ipotetica, e spesso utopistica. Ed è
singolare il caso, che qui da noi, in tanto risorgere delle scienze della
osservazione nel campo della natura - le quali scienze vengono veramente
coltivate con intenti particolaristici e dirò antifilosofici - sia così scarso
l'intelletto positivo delle cose sociali attuali, mentre è così stragrande in
questo paese stesso il numero dei sociologisti, che somministrano definizioni
ai sitibondi di verità. Ma si sa, i sociologisti hanno in tutto il mondo una
certa curiosa antipatia per gli studii della storia; che poi sarebbe, secondo
il senso dei profani, quella tal cosa nella quale la società s'è svolta.
Pochi, in
conclusione, vedon chiaro in questa circostanza di fatto; che, cioè, la
borghesia italiana, la quale è già oggetto, come in ogni altro paese, alle ire,
e agli odii degli umili, dei manomessi, degli sfruttati, e per un altro verso è
stretta e premuta dal popolo minuto, è essa stessa in se stessa instabile,
inquieta, incerta, perché l'è impedito di mettersi alla pari con quella degli
altri paesi, nel campo della concorrenza. Per questa ragione, come per l'altra,
che dall'altro lato essa ha il papa44,
con quel suo non indifferente bagaglio di cose, che solo i teorici
dell'utopismo liberalesco proclamano trapassate per sempre, questa borghesia,
che deve ancora ascendere, è intimamente rivoluzionaria, come direbbe il Manifesto.
E come non ha potuto esser giacobina, quanto sarebbe stato il naturale istinto
suo, s'è acquetata nella formula del re per la grazia di Dio e della nazione ad
un tempo. Non potendo questa borghesia fare assegnamento sul rapido sviluppo di
una grande industria, che tarda difatti a venire, e nella conseguente rapida
conquista di un grande mercato esterno, dato il progresso lento ed incerto
della economia nazionale, per la massima parte agraria, fa la politica mezzana
degli espedienti, e consuma nell'abilità l'ingegno. Ecco la parte che fa la
flotta italiana da più mesi in Oriente: par la volpe, che, secondo la favola, dichiari
immatura l'uva che non può afferrare; ma questa volpe qui, con divario da
quella della favola, si trova tra altre volpi, che l'uva afferrata
custodiscono, o dell'uva stanno per afferrare! Ed ecco che la volpe si fa
idealista, per manco di positivo. Questa borghesia italiana, di fronte
all'astensionismo, o reazionario o demagogico dei clericali, e per il
lentissimo sviluppo dell'opposizione proletaria, si è sentita e si sente come
se fosse tutta la nazione, e nel difetto di partiti che dividano la società,
dà il nome di partiti alle fazioni che si raccolgono intorno a capitani e
proconsoli, o ad intraprenditori ed avventurieri di varie sorti. Al primo
apparire del socialismo essa rimase attonita.
D'altra parte,
s'ingannano quelli i quali credono, che l'agitarsi delle moltitudini sia sempre
indizio o prodromo da noi, com'è di fatto alcune volte e in alcuni punti
d'Italia, di quel moto proletario che, come lotta economica su base concreta, o
come aspirazione politica, volge più o meno esplicitamente al socialismo in
altri paesi. Qui il più delle volte questo agitarsi è come la ribellione delle forze
elementari contro di uno stato di cose in cui esse forze non trovano la
necessaria coercizione, quella coercizione, dico, che è propria di un sistema
borghese atto ad irreggimentare i proletarii. Si guardi, per es., all'acuita
forma di emigrazione, che è, salvo poche eccezioni, di uomini atti ad offrire
le braccia, l'incomparabile sedulità, e lo stomaco capace d'ogni privazione,
allo sfruttamento del capitale straniero in terra straniera: - sono, in una
parola, lavoratori uscenti dai campi, dove son di soverchio, o dall'artigianato
in decadenza, che la ferula educativa del capitale ridurrebbe in isquadre di
addetti alle fabbriche, se la grande industria si affrettasse a svolgersi, o
che il patrio capitale menerebbe nelle patrie colonie, se ce ne fosse, e se non
fosse venuta la pazzia di crearne là dove pare presso che impossibile il farne45.
L'Italia è
diventata - ed è ben naturale, - negli ultimi anni, la terra promessa dei
decadenti, dei megalomani, dei critici a vuoto, degli scettici per fastidio e
per posa. Alla parte sana e verace del movimento socialistico (al quale non è
dato per ora dalle circostanze altro ufficio da quello in fuori di preparare la
educazione democratica del popolo minuto) si mescolano, di conseguenza,
parecchi, i quali, se volessero mettersi la mano su la coscienza, avrebbero da
confessare, che essi son decadenti, e che li sospinge a dimenarsi, non la fattiva
volontà del vivere, ma l'indistinto fastidio del presente: - essi,
leopardiani annoiati!
Devo finalmente
finire; ma mi pare mi arrivi all'orecchio come una leggiera voce di protesta da
parte di quei compagni, che son così pronti ad obiettare; e che quella
voce dica: coteste son sofisticherie da dottrinarii, e noi abbiam bisogno di
pratica. Sicuro, d'accordo, avete ragione. Il socialismo è stato per così lungo
tempo utopistico, progettistico, estemporaneo e visionario, che è bene ora di
dire e di ripetere ogni momento, che ci occorre la pratica; perché gli animi di
quelli che lo professano sian rivolti di continuo a misurare le resistenze del
mondo effettuale, e a studiar di continuo il terreno, sul quale ci è imposto di
aprirci la non facile né morbida via. Badi però il mio ipotetico critico di non
far proprio lui la parte del dottrinario; la qual parola, per chi se ne
intenda, designa una certa disposizione delle menti, viziate dall'astrazione, a
ritenere, che le idee proclamate per sé eccellenti, e i frutti delle esperienze
raccolte in determinati tempi e luoghi, sian cose da applicare difilato al
concreto, e inoltre buone per ogni tempo e luogo. La pratica dei partiti
socialistici, a confronto d'ogni altra politica fino ad ora esercitata, è ciò
che più risponde, non dirò alla scienza, ma ad un procedimento razionale. È la
dura prova di una costante osservazione, e di un adattamento da tentar di
continuo; - è la dura prova d'indirizzare sopra una linea di moto unitario le
tendenze, spesso difformi e spesso antagonistiche, del proletariato; - è lo
sforzo di condurre ad esecuzione dei disegni pratici col sussidio della chiara
visione di tutti i rapporti che legano, con complicatissimo intreccio, le varie
parti del mondo in cui viviamo. E se cosi non fosse, per che ragione e a che titolo
si parlerebbe del vantato marxismo? Se il materialismo storico non regge, vuol
dire che l'aspettativa del socialismo è caduca, e che il nostro pensiero della
società futura è creazione da utopisti!
Pur troppo gli
è vero, in fatto, che in tutto il socialismo contemporaneo c'è sempre latente
un certo che di neoutopismo46;
come è il caso di coloro, che, ripetendo di continuo il dogma della
necessaria evoluzione, questa poi confondon quasi con un certo diritto ad uno
stato migliore, e la futura società del collettivismo della produzione
economica, con tutte le conseguenze tecniche e pedagogiche che dal
collettivismo risulterebbero, dicono che sarà perché deve essere, - e
quasi dimenticano, che cotesto futuro devono pur produrlo gli uomini stessi, e
per la sollecitazione dello stato in cui sono, e per lo sviluppo delle
attitudini loro. Beati costoro, che il futuro della storia e il diritto al
progresso misurano quasi alla stregua di un certificato di assicurazione su la
vita!
Cotesti
dogmatici delle idee a buon mercato dimenticano diverse cose. In prima, che il
futuro, appunto perché è il futuro, che sarà il presente quando noi saremo il
passato, non può costituire il criterio pratico di ciò che noi dobbiam fare al
presente. Sarà ciò cui si arriverà, - ma non è la via per arrivarci. In secondo
luogo, l'esperienza di questi ultimi cinquant'anni deve indurre gli atti al
pensiero ed alla pratica in questa persuasione: che, cioè, a misura che cresce
nei proletarii e nel minuto popolo la capacità ad organizzarsi in partiti di
classe, la prova stessa di questo complicato movimento ci porta a intendere lo
sviluppo dell'èra nuova secondo una misura di tempo, che è assai lenta a
confronto del rapido ritmo che concepivano una volta i socialisti intinti di
giacobinismo rivissuto. Or sopra a una distesa così grande di tempo la nostra
previsione non può non correre incerta; tenuto conto della enorme complicazione
del mondo attuale, e in tanto allargarsi del capitalismo, ossia della forma
borghese. Chi non vede, che oramai il Pacifico soppianta l'Atlantico, come
questo a suo tempo fece passare in seconda linea il Mediterraneo? Cosicché, in
terzo luogo, la scienza pratica del socialismo consiste nella chiara notizia di
tutti cotesti complicati processi dell'orbe economico, e, parallelamente, nello
studio delle condizioni del proletariato, in quanto esso via via diventa atto a
concentrarsi in partito di classe, e porta in questa successiva concentrazione
l'animo che gli è proprio, data la lotta economica in cui s'inradica quella
politica, che gli è mestieri di fare. Su cotesti dati più prossimi la nostra
previsione può correre con sufficiente chiarezza di calcoli, e può raggiungere
il punto nel quale il proletariato divenga prevalente, e poscia predominante
politicamente nello stato. E da quel punto, che deve coincidere con la
impotenza del capitalismo a reggersi, da quel punto, dico, che nessuno può
immaginarsi come un rumoroso patatrac, sarebbe il cominciamento di ciò
che molti, non si sa perché, come se tutta la storia non fosse la serie delle
rivoluzioni della società, chiamano enfaticamente la rivoluzione sociale par
excellence. Spingersi oltre di quel punto, coi ragionamenti, gli è come
voler confonder questi con gli artifizii della immaginazione.
Il tempo dei
profeti è trapassato. Beato te, Fra Dolcino, che nelle tue tre lettere47 potesti trasfigurare gli accidenti politici
del momento (papa Celestino e papa Bonifacio VIII, Angioini ed Aragonesi,
Guelfi e Ghibellini, misere plebi e patriziati dei comuni, e così via) in tipi
già simboleggiati dai profeti e dall'Apocalisse, misurando ad anni, a mesi ed a
giorni, con successive correzioni, i tempi della provvidenza. Ma fosti un eroe;
la qual cosa dimostra, che quelle fantasie non furon la causa del tuo operare,
ma l'involucro ideale, nel quale tu rendevi conto a te stesso, come fecer tanti
altri, per tutto un secolo innanzi a te, e Francesco d'Assisi compreso, del
disperato moto delle plebi contro la gerarchia papale, contro la borghesia già
forte nei comuni e contro il nascente monarcato. Ora tutti quegli involucri
furon lacerati, compresa la religione delle idee, come dicon quelli che usano
un gergo da ipocriti, per mostrare una certa superstiziosa reverenza per la
religione degli altri. Ora, presentemente, non è lecito di essere utopisti, se
non ai soli imbecilli. L'utopia degli imbelli, o è cosa ridicola, o è
dilettanza da letterati che vadano visitando quel falansterio di
ninnoli di cui è architettore il Bellamy. Quell'umile Marx, tutto prosa
di scienza, andò raccogliendo modestamente nella società presente i primi
indizii delle transizioni a quella che diverrà, come per es., il sorgere delle
cooperative (vere!) in Inghilterra e cose simili, e fu rassegnato
(specie nell'opera spesa nella Internazionale) alla parte di ostetrico, che non
è proprio quella di un artefice del futuro. Lui ed Engels dissero della società
dell'avvenire - data la ipotesi della dittatura politica del proletariato - non
sotto l'aspetto intuitivo, del come essa parrebbe a chi la vedesse, ma sotto
l'aspetto del principio direttivo della forma, ossia della struttura economica,
e segnatamente in antitesi a questa società presente48.
Del resto, se
c'è chi abbia il bisogno di vivere fin da ragazzo nel futuro, come da sentirlo
e da provarlo su la propria pelle; e, papeggiando in nome delle idee, voglia investire
dei loro diritti e doveri i componenti la società dell'avvenire -
s'accomodi pure. Permetta quindi a me, che pure ho un qualche diritto d'inviare
la mia carta di visita ai posteri, di esprimere la speranza, che quei del
futuro, non trasumanati tanto da non esser più comparabili a noi del presente,
serbino tanto della gaia dialettica del ridere, da farsi beffe umoristicamente
dei profeti dell'oggi.
Finisco per davvero; e toccherebbe ora a voi, se mai vi piace, di
ricominciare.
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