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Antonio Labriola Discorrendo di socialismo e di filosofia IntraText CT - Lettura del testo |
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III. Roma, 10 maggio '97
Se i due autori del socialismo scientifico (- adopero cotesta espressione non senza tema, che il mal uso che se ne va facendo possa averla resa in certo qual modo presso che risibile specie quando è usata a significare un certo che di scienza universale -) fossero stati, non dirò santi di vecchia leggenda, ma per lo meno facitori di progetti e di sistemi, che per la forma classica dai precisi contorni si prestassero alla facile ammirazione! Nossignore: essi furono critici e polemisti, non solo nello scrivere, ma perfino nell'atto d'operare, e non esibirono mai le proprie persone loro e le proprie idee ad esemplare od a modello: dichiararon sì le cose stesse, ossia i procedimenti storico-sociali, in senso rivoluzionario, ma con animo di chi non misuri i grandi rivolgimenti storici alla stregua della personale e fantastica impulsività. Inde le irae di molti! Fossero stati per lo meno di quei professori umanissimi, che scendono di tanto in tanto dal piedistallo, per onorare di loro consigli il misero e meschino popolo, atteggiati, or d'un modo or d'un altro, a protettori e mecenati della question sociale! Tutt'all'incontrario: - identificando se stessi con la causa del proletariato, essi furono tutt'una cosa sola con la coscienza e con la scienza della rivoluzione proletaria. Rivoluzionarii per ogni rispetto compiuti (ma non passionati e passionali), pur nondimeno non suggerirono mai, né piani combinatorii, né artificii politici, mentre del resto spiegavano teoreticamente e aiutavano praticamente la nuova politica, che il nuovo movimento operaio indica e precisa come una necessità attuale della storia. In altre parole, e può sembrare quasi incredibile, furon qualcosa di diverso e di più che dei semplici socialisti: e di fatti, molti non più che semplici socialisti, o rivoluzionarii ancor più semplici, li ebbero spesso, non dirò in sospetto, ma di certo in uggia e in avversione. Non ci sarebbe da finirla a volerle enumerar tutte le cagioni, che per lunghi anni ritardarono la discussione obiettiva del marxismo. Voi sapete bene che in Francia il materialismo storico è tutt'ora trattato da parecchi scrittori, che pur sono nell'ala sinistra dei partiti rivoluzionarii, non come usa di un portato dello spirito scientifico, sul quale la critica che attinga alla scienza abbia, come ha di fatto, l'indubitabile diritto di esercitarsi, ma come tesi personale di due scrittori, che, per notevoli o grandi che si fossero, rimangon sempre due fra gli altri capiscuola del socialismo, per es., due fra i tanti X…6 dell'universo! Per spiegarmi meglio, dirò, che contro di questa dottrina non si levarono soltanto tutte quelle buone o cattive ragioni, le quali di solito tornan di ostacolo e d'indugio alle innovazioni del pensiero, proprio fra i dotti di mestiere; perché assai spesso, anzi, le obiezioni nacquero da uno speciosissimo motivo, che cioè le teorie di Marx e di Engels fossero considerate come opinioni di compagni, e misurate quindi al sentimento di simpatia o di antipatia pratica che quei compagni destavano. Ecco le bizzarre conseguenze della democrazia prematura, che non ci sia dato di sottrarre proprio nulla al controllo degl'incompetenti, nemmeno la logica! Ma c'è dell'altro. All'apparizione del primo volume del Capitale nel 1867, i professori e gli accademici, specie quei di Germania, n’ebbero come un grave colpo sul capo. Era quello un tempo di languore per la scienza economica. La scuola storica non avea ancora prodotto in Germania i ponderosi e spesso utili lavori venuti in luce più tardi. In Francia, in Italia, nella Germania stessa, menavano vita rachitica i derivati volgarissimi di quella economia vulgaris, che fra il '40 e il '6o avea già obliterata la coscienza critica dei grandi economisti classici. L'Inghilterra s'era acquetata in Stuart Mill; il quale, sebbene fosse un loico di professione, come accade d'un noto tipo della nostra commedia, fra il sì e il no rimase sempre, nei punti decisivi, del parer contrario. Nessuno avrebbe pensato a quel tempo a questa neo-economica degli edonisti, sorta ora assai di recente. In Germania, dove, per ragioni evidenti, prima che altrove Marx dovea esser letto, e dove Rodbertus rimaneva quasi ignorato, spadroneggiavano i genii della mediocrità, e sopra tutti gli altri quel famoso emarginatore di note erudite e minute, via via apposte a paragrafi pieni zeppi di definizioni nominali e spesso insensate, che fu il signor Roscher. Il primo volume del Capitale parea proprio fatto a posta per preparare ai cervelli dei professori e degli accademici una triste delusione: essi, i dotti en titre, proprio nel privilegiato paese dei pensatori, dovean tornare a scuola! O smarriti nei minuti particolari della erudizione, o vogliosi di convertire l'economia in una scuola di apologetica, o imbarazzati a trovare le plausibili applicazioni di una scienza venuta d'oltre mare alla vita assai difforme del proprio paese, tutti cotesti professori della terra dei dotti per eccellenza aveano dimenticata l'arte dell'analisi e della critica. Il Capitale li costringeva a studiar daccapo; cioè a rifarsi su gli elementi primi. Perché quel libro, quantunque uscito dalla penna di un comunista estremo e risoluto, non recava tracce in sé di proteste o di progetti subiettivi, ma era l'analisi spietatamente rigorosa e crudelmente obiettiva del processo della produzione capitalistica. Nel giornalista rivoluzionario del 1848, nell'espatriato del 1849 c'era, dunque, qualcosa di assai più terribile che non la continuazione o il complemento di quel socialismo, che la letteratura borghese di tutto il mondo avea definito sogno da trapassati, e vicenda politica esaurita del tutto, dopo la caduta del Cartismo, e dacché trionfava in Francia il sinistro uomo del Colpo di stato. Bisognava, dunque, ristudiare l'economia: cioè, questa rientrava in un periodo critico. A onor del vero, i professori di Germania, più tardi, e cioè dal '70 in poi, e con crescendo dall'80 in qua, alla revisione critica dell'economia ci hanno atteso con la diligenza, con la persistenza, con la buona volontà, con la laboriosità, che i dotti di quel paese rivelan sempre in ogni ramo di studii. Sebbene quello che scrivono non possa esser quasi mai accettato senz'altro da noi, gli è nondimeno indubitato, che per opera loro fu rimosso nuovamente il terreno dell'economia, fra quelli che la coltivano da professori e da accademici, e che questa disciplina non può esser più ora mandata a mente come una ovvia pigrorum doctrina. Da ultimo, il nome di Marx è diventato tanto fashionable, da risuonare nelle aule accademiche qual tema prediletto di critica, di polemica e di rimando, e non più di semplice rimpianto e di volgare invettiva. Del ricordo di Marx è tutta inficiata al presente la letteratura sociale della Germania. Ma ciò non potea accadere nel 1867. Il Capitale venne alla luce proprio in quel tempo, nel quale la Internazionale cominciava a far parlar di sé, e a breve andare apparve terribile, non solo per quello che intrinsecamente essa fu, e per ciò che sarebbe di fatti diventata, senza il grave colpo che le venne dalla guerra franco-prussiana e dal tragico incidente della Comune, ma anche per le focose amplificazioni di alcuni dei suoi componenti, e per le mene stupidamente rivoluzionarie di parecchi che v'entrarono da intrusi. Non era forse notorio che l’Indirizzo inaugurale dell’Associazione dei Lavoratori (del quale Indirizzo non è socialista che non abbia tuttora qualcosa da imparare) era uscito dalla penna di Marx; e non s’avea forse ragione di attribuire a lui gli atti e le deliberazioni più praticamente e politicamente risolute della Internazionale stessa? Ora, mentre un rivoluzionario di indubitata lealtà e di singolare acume, quale fu Mazzini, potea permettersi di confondere la Internazionale, cui Marx rivolgeva l'opera sua, con l'Alleanza Bakuniniana, che maraviglia c’è, se i professori tedeschi s'indugiassero tanto ad entrare nelle vie di una critica dottrinale con l'autore del Capitale? Com'era possibile di venire così presto a patti di discussione, a tu per tu, con un uomo, che, mentre era, per così dire, impiccato in effigie in tutte le leggi d'eccezione a uso Favre e consorti, ed era tenuto qual complice morale di tutti gli atti dei rivoluzionarii, compresi gli errori e le stravaganze di costoro, proprio nel medesimo tempo dava alla luce un libro magistrale, qual novello Ricardo, che studii impassibile i procedimenti economici, more geometrico? Di qui un curioso metodo di polemica, cioè una specie di processo alle intenzioni dell'autore; cioè il tentativo di dare a credere, che quella scienza fosse stata, come a dire, escogitata per colorire delle tendenze: insomma, per molti anni, la polemica tendenziosa sostituita all'analisi obiettiva7. Ma il peggio gli è, che gli effetti di cotesta critica grossolanamente errata si fecero sentire proprio nelle menti dei socialisti, e specie in quelle della gioventù intellettuale, che fra il '70 e l'80 si volse alla causa del proletariato. Molti dei focosi rinnovatori del mondo di quel tempo lì, - e in Germania la cosa è più chiara, perché ha lasciato tracce di sé nelle polemiche del partito, e nella minuta letteratura - si misero su la via di proclamarsi seguaci delle teorie marxiste, pigliando proprio per moneta contante il marxismo più o meno inventato dagli avversarii. Il caso più paradossale di tutta la equivocazione sta in questo: che i correnti alle facili illazioni, come capita anche ora ai novellini, mescolando allora cose vecchie a cose nuove, credessero, che la teoria del valore e del sopravvalore, come si presenta di solito semplicizzata in facili esposizioni, contenga hic et nunc il canone pratico, la forza impulsiva, anzi la morale e la giuridica legittimità di tutte le rivendicazioni proletarie. Non è forse una grande ingiustizia, che milioni e milioni di uomini sian privati del frutto del loro lavoro? L'enunciato è tanto semplice e tanto pietoso, che tutte le nuove bastiglie dovranno cadere d'un tratto innanzi alle nuove trombe di Gerico, scientificamente intonate! Concorrevano in cotesta così spiccia semplificazione molti degli errori teorici di Lassalle; così quelli che gli furon proprii per relativa inscienza (- la legge ferrea del salario! ossia una mezza verità relativa che diventa un totale errore, per manco di circostanziata specificazione -), come quelli che possono dirsi, nel caso suo, espedienti da agitatore (- le famose cooperative sussidiate dallo stato -). Del resto, per chi si metta su la via di confinare tutta la profession di fede del socialismo nella semplicissima illazione, dallo sfruttamento riconosciuto, alla rivendicazione, sicura solo perché legittima, degli sfruttati, non ha che a fare un passo sul terreno assai liscio della logichetta, per ridurre tutta la storia del genere umano ad un caro di coscienza, e lo svolgersi successivo di tante forme di vita sociale come a tante variazioni di un continuato errore di contabilità. Fra il '70 e l'80, e poco dopo, insomma, si andò formando intorno al vago concetto di un certo che, ossia del socialismo scientifico, una specie di neoutopismo, che, come i frutti fuor di stagione, fu veramente insipido. E che altro è l'utopismo, cui manchi il genio di Fourier e l'eloquenza di Considérant, se non cosa da ridere? Di questo neoutopismo, che rifiorisce di tanto in tanto anche al presente, se ne sa non poco in Francia: se non altro per le lotte sostenute con altre sette e scuole da quei valorosi dei nostri amici, che nel programma del partito operaio rivoluzionario intesero e seppero pei primi condurre il socialismo su la linea della cosciente lotta di classe, e della progressiva conquista del potere politico da parte del proletariato. Solo nell'esperienza di tale giostra pratica, solo nello studio cotidiano della lotta di classe, solo nella prova e riprova delle forze proletarie raccolte già in fascio e concentrate, ci è dato di verificare, les chances del socialismo: se no, si è e si rimane utopisti, anche nel riverito nome di Marx.
Contro di cotesti neoutopisti, non altrimenti che contro i sopravvissuti delle vecchie scuole, e contro le varie deviazioni del socialismo contemporaneo, i due nostri autori aguzzaron sempre e di continuo gli strali della critica. Come nella loro lunga carriera fecero della loro scienza la guida della loro pratica, e dalla loro pratica trassero materia e indicazione ad una più approfondita scienza, come non trattaron mai la storia qual cavallo da inforcare e da mettere al trotto, né si dettero alla ricerca di formule atte a destare le momentanee illusioni; così furono, per la necessità delle cose, portati a misurarsi in critica aspra, violenta, risoluta, con tutti quelli, che agli occhi loro apparivano capaci di nuocere al movimento proletario. Chi non ricorda? - i proudhonisti per esempio, di qua, con la pretesa di distruggere lo stato astraendone ad arte, come chi chiuda gli occhi e finga di non vedere; - di là quei blanquisti d'un tempo, che lo stato voleano togliersi in mano per forza, per poi fare la rivoluzione; - e Bakunin che si caccia surrettiziamente nell'Internazionale, e costringe gli altri a scacciarnelo; - e poi di qua e di là la pretesa delle tante scuole del socialismo, e la concorrenza di tanti capitani! Da che Marx stritolò in una verbale polemica l'ingenuo Weitling8, fino alla sua terribile critica del programma di Gotha (1875), apparsa poi invero assai tardivamente (1890), la sua vita fu una continua lotta, non solamente con la borghesia e con la politica che questa rappresenta, ma ancora con le varie correnti, o rivoluzionarie o reazionarie, che a torto o per rovescio sono andate pigliando il nome di socialismo. Queste lotte si acuirono nella Internazionale, e dico di quella di gloriosa memoria, che lascia fino ad oggi traccia così grande di sé in tutta l'azione odierna del proletariato, e non della caricatura che se ne fece dappoi. Lo strascico maggiore di polemiche contro il marxismo, ridotto, nella fantasia di certi critici, ad una semplice varietà di scuola politica, è dovuto alla tradizione di quei rivoluzionarii, che, specie nei paesi latini, riconobbero in Bakunin il loro duce e maestro. Gli anarchisti di oggi, che altro ripetono se non le querimonie e gli errori di quei tempi andati? Forse venti anni addietro, fatta eccezione di quei dotti, che rimasticano a casa le cose lette nei libri, dei due fondatori del socialismo scientifico la generalità del pubblico italiano non risapea, se non quel tanto che s'era serbato, per memoria, delle invettive di Mazzini e delle malignazioni di Bakunin. Ed ecco come il comunismo critico, che cosi tardi è stato ammesso agli onori della discussione nella cerchia della scienza ufficiale, ha avuto contro di sé, nel campo del socialismo stesso, la più grave delle avversità: la inimicizia degli amici.
Tutte coteste difficoltà, o furono già superate, o sono in buona parte prossime a sparire. Non per la virtù intrinseca delle idee, che non ebbero mai né piedi per andare, né mani per afferrare, ma per il solo fatto, che, da per tutto dove son nati dei partiti socialistici, i programmi di questi partiti sono andati assumendo un comune indirizzo, è da ultimo accaduto, che i socialisti di tutti i paesi sian venuti a collocarsi, per la imperiosa suggestione delle cose, nell'angolo visuale del Manifesto dei Comunisti. Non vi pare che io sia giunto in tempo opportuno a scrivere la commemorazione di questo? Le classi degli sfruttatori van facendo alla massa degli sfruttati in ogni parte del mondo condizioni quasi da per ogni dove identiche: ond'è, che da per tutto i rappresentanti attivi di questi sfruttati entrano nelle medesime vie di agitazione, e seguono gli stessi criterii di propaganda e di organizzazione. Ciò molti chiamano marxismo pratico e sia! Che giova di litigar su le parole? Quando anche il marxismo per molti si riduca alla semplice parola, anzi alla riverenza per il ritratto di Marx, per il suo busto in gesso, o per la sua effigie sul ciondolo (- su cotesti innocenti simboli la polizia italiana esercita così spesso il suo buon umore -), il fatto è che cotesta unità simbolica sta a significare, che l'unirà reale è per lo meno avviata, e che il proletariato di tutto il mondo è in atto di avvicinarsi, poco per volta, ad una certa similarità di tendenze; ossia che in esso la internazionalità si elabora di lunga mano per ragioni obiettive. Coloro che usano il linguaggio dei decadenti della borghesia, scambiando, com'è loro uso, la cosa col simbolo, vanno ora dicendo, che questo è il trionfo del signor Marx; tal quale come se altri dicesse, che il cristianesimo è il trionfo (e perché non dire a dirittura il successo?) del signor Gesù di Nazaret; di un signor Gesù, che, deposto e destituito dalla qualità di figlio di dio fattosi uomo, divenga, come nello stile tra il molle e lo sdilinquito del vostro Renan un uomo così fanciullescamente divino da parere un iddio.
Innanzi a questo esperimento intuitivo della politica del socialismo, il che è quanto dire della politica del proletariato, son cadute le vecchie divergenze delle scuole, alcune delle quali erano in fatto divarii e screziature di vanità letteraria, per cedere il posto alle utili divergenze, che nascono spontanee dal vario modo di trattare i problemi pratici. Nel fatto, in concreto, ossia nello svolgimento positivo e prosaico del socialismo, poco importa se tutti i suoi capi, condottieri, oratori e rappresentanti si conformino o non si conformino ad una dottrina, e ne facciano o non ne facciano professione palese. Il socialismo non è una chiesa, né una setta, cui occorra il dogma o la formula fissa. Se oggi da molti si parla del trionfo del marxismo, cotesta enfatica espressione, quando sia ridotta ad una forma crudamente prosaica, viene a dire che nessuno può essere d'ora innanzi socialista, se non a patto di domandarsi ogni istante: in questa data situazione, che cosa conviene di pensare, di dire o di fare nell'interesse del proletariato? Non saran più possibili i dialettici, che siano in verità dei sofisti, come fu Proudhon, né gl’inventori di sistemi sociali subiettivi, né i facitori di rivoluzioni private9. La indicazione pratica del fattibile è data dalla condizione del proletariato, e questa è apprezzabile e misurabile appunto perché c'è la stregua del marxismo (intendo qui la cosa effettuale e non il simbolo) come dottrina progressiva. Le due cose, ossia il misurabile e la misura, fanno uno dal punto di vista generale del processo storico, specie quando siano considerate a conveniente distanza. E vedete di fatti, che, mentre i contorni del socialismo come azione pratica si vanno precisando, tutte le antiche poesie e ideologie si disperdono, lasciando dietro di sé la semplice traccia fraseologica. Al tempo stesso è cresciuto nel campo della scienza accademica, per tutti i versi e in tutti i sensi, il criticismo della dottrina economica. L'esule Marx è tornato, dopo morto, nell'ambito della scienza ufficiale; per lo meno come avversario col quale non sia lecito di scherzare. E come per tante vie i socialisti sono arrivati alla coscienza prosaica di una rivoluzione, che non può esser macchinata, ma che si fa perché diventa, così s'è andato lentamente preparando il pubblico, per il quale il materialismo storico risponde a un vero e proprio bisogno intellettuale. Negli ultimissimi anni, come vedete, furon molti quelli che in questa dottrina han messo bocca; sia pur male, od a sproposito. Dunque, se guardate bene, non si arriva in ritardo. Da giovane io sentii più volte ripetere questa storiella, che, cioè, Hegel dicesse: un solo dei miei scolari mi ha capito. La storiella non si presta a verifiche, perché quel tale scolaro verissimo non fu fino ad ora identificato. Questa storiella può ripetersi all'infinito, da sistema a sistema, e da scuola a scuola. Come in fatto di attività intellettuale non c'è luogo alla suggestione, e come il pensiero non si trasfonde meccanicamente da cervello a cervello, così i grandi sistemi non si diffondono, se non per la similarità delle condizioni sociali, che vi dispongano e v'inclinino molte menti in uno e medesimo tempo. Il materialismo storico si allargherà, si diffonderà, si specificherà, avrà esso stesso una storia. Forse da paese a paese avrà modalità e colorito diverso. E ciò non sarà gran male; purché rimanga in fondo il nocciolo, che n'è, come a dire, tutta la filosofia. Per es., dei postulati come questi: - nel processo della praxis è la natura, ossia l'evoluzione storica dell'uomo: - e dicendo praxis, sotto questo aspetto di totalità, s'intende di eliminare la volgare opposizione tra pratica e teoria: - perché, in altri termini, la storia è la storia del lavoro, e come, da una parte, nel lavoro così integralmente inteso è implicito lo sviluppo rispettivamente proporzionato e proporzionale delle attitudini mentali e delle attitudini operative, così, da un'altra parte, nel concetto della storia del lavoro è implicita la forma sempre sociale del lavoro stesso, e il variare di tale forma: - l'uomo storico è sempre l'uomo sociale, e il presunto uomo presociale, o supersociale, è un parto della fantasia: - e così via. E... qui faccio punto, principalmente per non ripetermi, e per non ripetere a voi buona parte delle cose che ho messo nei due saggi: - del che voi non sentite, mi pare, il bisogno, e io, veramente, nemmeno.
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6 Fra questi X…apro un concorso. 7 "Marx muove dal principio…che il valore delle merci è determinato esclusivamente dalla quantità di lavoro in esse contenuto. Ora, se nel valor delle merci non v’ha che lavoro, se la merce null’altro è che lavoro conglutinato, evidentemente essa deve spettare nella sua totalità al lavoratore, e nessuna sua parte deve venire appropriata dal capitalista. Se dunque l’operaio non percepisce nel fatto che una parte del valore da lui prodotto, ciò non può essere che il risultato di una usurpazione". Così Loria a pag. 462 della "Nuova Antologia", febbraio 1895, nel noto articolo: L’opera postuma di Carlo Marx. Cito queste parole, che non sono le sole che il Loria abbia scritto di egual calibro e misura, unicamente per dare un esempio del come si possa fare una libera versione di Marx in stile alla Proudhon. E su tali libere versioni si formarono i cacasenno dal 70 all’80, cui accenno in seguito. 8 Ne fu testimone diretto il russo Annencoff, che più tardi ne riferì, come di tante altre cose relative a Marx, nella “Vjestnik Ievropy” nel 1880 (cfr. la riproduzione nella “Neue Zeit”, maggio 1883). 9 Ciò che io scrivevo nel maggio 1897, non fu certo smentito dai moti italiani del maggio 1898. Quei moti non furono l'opera di alcun partito, anzi furono un vero caso di anarchia spontanea. |
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