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Iacopo Sannazaro Sonetti e canzoni IntraText CT - Lettura del testo |
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Or son pur solo e non è chi mi ascolti, altro che’ sassi e queste querce amiche, et io, se di me stesso oso fidarme. O secretari di mie pene antiche, a cui son noti i miei pensieri occolti, potrò fra voi securo or lamentarme? contra ai colpi d’Amor, che preme e sforza a soffrir più c’uom mai soffrisse in terra, pietà non tempra, il sol morir mi è gioia; ché a chi mal vive, il viver troppo è noia. Certo le fiere e gli amorosi ucelli e i pesci d’esto ameno e chiaro gorgo il sonno acqueta, e l’aria e i vènti e l’acque. Sola tu, luna, vegli; e ben mi accorgo che vèr me drizzi gli occhi onesti e belli, né mai la luce tua, com’or, mi piacque. la lingua mia, e quante in sé ritenne, l’anima serva in questo carcer fosco. che ’l desir via più cresce e mancan gli anni, comincio teco a ricontar miei danni. Quante fiate questi tempi adietro, se ben or del passato ti rimembra, di mezza notte mi vedesti ir solo! A pena allor traea l’afflitte membra, per fuggir un pensier noioso e tetro, che fea star l’alma per levarsi a vuolo; credendo che ’l tacer giovasse assai, ma se ’l tuo cor sentì mai fiamma alcuna, e sei pur quella Luna ch’Endimion segnando fe’ contento, conoscer mi potesti al gir sì lento. Che potea far, se d’ogni speme in bando e dal dolor mi vedea preso e vinto, e ’l sonno era nemico agli occhi miei? Talor in queste selve risospinto, scrivea di tronco in tronco sospirando de la mia donna il nome; e ben vorrei forse quel core adamantino e fiero, non resistendo al vero, a pietà si movesse di mia sòrte ché sola ella il pò far con sue parole; e ’n tanta pioggia mi mostrasse il sole! Tal guida fummi il mio cieco desio, c’al labirinto, il qual seguendo fuggo, mi chiuse, onde non esco omai per tempo. Né questo incarco, sotto il qual mi struggo, mi parrebbe sì grave, al creder mio, se guidardon sperasse in alcun tempo. e quella dolce mia nemica acerba vèr me si mostra, e non veggio altro scampo, per far, lasso, di me l’ultima prova; ché bel fin è morir com’uom si trova. Che spero io più, se non di piante in piante varcar mai sempre, e d’uno in altro strazio? Sì mi governa Amor, Fortuna e ’l Cielo. E bench’io non sia mai di pianger sazio, pur mi rileva lo sfogare alquanto, perché ’n silenzio sol non cangi il pelo. e la man bianca, e i be’ capei che spesso mi fanno odiar me stesso, quando tra ’l volto inordinati e sparsi di que’ begli occhi, ov’io mirando fiso, sento qual sia ’l piacer del paradiso. Lasso, chi poria mai ridire a pieno quel che questa affannata infelice alma notte e dì prova al foco, ov’ella è d’esca? La vita, a lei noiosa e grave salma, non pò per tanti affanni venir meno, ma più s’indura, per che ’l duol più cresca. invide stelle, anzi ’l mio mal vi pasce; chiuso avess’io quest’occhi, era assai meglio ché desiar non dee più lunga etade chi pò gioven morire in libertade. ti guidasse dinanzi a la mia donna, con reverenzia, et umilmente piagni ché s’ogni selva del mio duol s’attrista che devrà far chi par sì umana in vista?
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