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Iacopo Sannazaro Sonetti e canzoni IntraText CT - Lettura del testo |
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quel ch’io tacer vorrei, né par che ’n tanto error vergogna curi. non perché speri dir quanto sian duri, ma, se tu m’assicuri quella che mi tormenta, quasi un languido cigno su per l’erbe, grato fusse a l’orecchie alpestre e crude; vedendo le mie piaghe aperte e nude et a costei perché ’l mio pianger giova? de’ miei gravi martìr la lunga guerra; cantando, ancor sperava alzar di terra; almen di tanta gloria qui rimanesse eterna et immortale. Or poi che a lei non piace, che rilevar solean mie pene in parte; ché se non è chi stime né chi gradisca il suon di tante carte, dietro a chi non m’ascolta? per non noiar altrui, soffrir tacendo? ti leva al ciel, che già t’affetta e chiama; ti sforza d’acquistare eterna fama; ché chi di venir brama si pòte a vuolo alzar dal proprio nido. qual pregio è rimaner dopo mill’anni. et in un punto sgombra i vani affanni. potrà ben veder come in una breve fossa si chiuderanno, e fia sepolto il nome. Però, mentr’ella è viva, Quanto vedi, canzon, col tempo manca,
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