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Iacopo Sannazaro
Sonetti e canzoni

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  • Parte seconda
    • LXIX
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LXIX

 

     Incliti spirti, a cui Fortuna arride

quasi benigna e lieta

per farvi al cominciar veloci e pronti,

ecco che la sua torbida inquieta

rota par che vi affide

e vi spiani dinanzi e fossi e monti;

ecco c’a vostre fronti

lusingando promette or quercia or lauro,

pur c’al suo temerario ardir vi accorde.

Ahi menti cieche e sorde

de’ miseri mortali, ahi mal nato auro,

qual mai degno ristauro

esser di quel sangue

del qual la terra già bagnata suda?

e de la schiera esangue

ch’erra senza sepolcri afflitta e nuda?

     Voi che sempre fuggendo il volgo sciocco

e ’l suo perverso errore

tutte le antiche carte avete volte

se racquistar cercate in vita onore,

e per coturno o socco

sperate d’illustrar l’ossa sepolte,

acciò che il mondo ascolte

vostri nomi più bei dopo millanni,

drizzate al ver camin gli alti consigli,

e, come giusti figli,

il vecchio padre, c’or sospira i danni,

liberate d’affanni;

ché se mai pregio eterno,

per ben far, s’acquistò con lode e gloria.

questo, s’io ben discerno,

farà di voi qua giù lunga memoria.

     Or che ’l vento vi aspira, e vostra nave

ha saldi arbori e sarte,

sarebbe il tempo da ritrarvi in porto;

ché poi, lasso, non val l’ingegno o l’arte

ne la tempesta grave,

quando il miser nocchier, già stanco e smorto,

non trova altro conforto

che di voltarsi a Dio con umil pianto,

lodando l’ocio e la tranquilla vita.

Dunque, se ’l ciel vi invita

ad un viver securo, onesto e santo,

non vi induri il cor tanto

l’odio, lo sdegno e l’ira,

c’al ben proprio veder vi appanne gli occhi:

ché spesso in van sospira

chi per sua colpa aven c’al fin trabocchi.

     Rare fiate il ciel le cagion giuste

indifese abandona,

benché forza a ragion talor contrasti.

Indi, se ’l ver per fama ancor risona,

le sue mura combuste

vide al fin Troia e i tempii rotti e guasti,

e tanti spirti casti

per uno incesto a ferro e a foco messi;

né questa sol, ma mille altre vendette

c’avete udite e lette:

populi alteri, al fin pur tutti oppressi.

Deh, questo or fra voi stessi,

ma con più fausto inizio,

signor, pensate; e se ragion vi danna,

non vogliate col vizio

andar contra virtù; ch’error v’inganna.

     L’alto e giusto motor che tutto vede

e con eterna legge

tempra le umane e le divine cose,

sì come ei sol su governa e regge,

e solo in alto siede

fra quelle anime elette e luminose,

così qua giù propose

chi de’ mortali avesse in mano il freno,

ché mal senza rettor si guida barca.

Però con l’alma scarca

di sospetto e di sdegni, e col cor pieno

d’un piacer dolce ameno,

al vostro stato primo

ritornate, e ’l voler del ciel si segna;

ché s’io non falso estimo,

tempo non vi fia poi di pace o tregua.

     Quella real, possente, intrepidalma,

che da benigne stelle

fu qui mandata a rilevar la gente,

con sue virtù vi mova invitte e belle,

ch’ebberchiara palma

del barbarico popol d’oriente,

allor che sì repente

col solito furor la turca rabbia

e’ nostri dolci liti a predar venne,

’ve poscia sostenne

il giusto giogo, in stretta e chiusa gabbia.

Ché se di tanta scabbia

il nostro almo paese

per sua presenzia sol fu scosso e netto,

che fia di vostre imprese,

se contra voi pur arma il sacro petto?

     Né vi mova, per dio, che ’l Tebro e l’Arno

tra selve orrende e dumi

a bada il tegnan, ché speranza è vana.

Ritardar nol potran montifiumi,

ché mai non spiega indarno

quella insegna felice e più che umana,

la qual, così lontana,

se si confessa il ver, timor vi porge,

e con l’imagin sua vi turba il sonno.

Onde, se i fati ponno

quel che per veri effetti ognor si scorge,

quanto più in alto sorge

l’error che acciò vi induce,

tanto fia del cader maggior la pena;

ché tal frutto produce

ostinato voler, che non si affrena.

     Così sola et inerme

come partì, canzon, senz’altra scorta,

benché ingegni vedrai superbi e schivi,

di’ il vero, ovunque arrivi,

ché ’n ciel nostra ragion non è ancor morta.

E se pur ti trasporta

tanto inanzi la voglia

rimordendo lor cieco e van desire,

digli che in pianto e doglia

Fortuna volge ogni sfrenato ardire.

 




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