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Iacopo Sannazaro
Sonetti e canzoni

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  • Parte seconda
    • LXXIV
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LXXIV

 

     Clizia fatto son io: colui sel vede

che del mio strazio si nutrica e pasce.

La notte piango, e poi, da che ’l nasce

seguo il mio sol, fin c’al suo albergo riede.

     Né posso (oh sempre a me nemica fede!)

far sì c’un punto respirar mi lasce.

Or veggio che dal ch’io piansi in fasce,

del viver mio l’augurio il ciel mi diede:

     che già devea così, piangendo sempre,

tener quest’affannoso, aspro viaggio,

ove il mio mal sovente e morte chiamo.

     O vago, o alto, o fuggitivo raggio,

o d’un cor duro adamantine tempre,

quando mai sarò giunto al fin ch’io bramo?

 




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