XCIX
Lamentazione
sopra al corpo del Redentor del mondo a’ mortali
Se mai per meraviglia alzando il viso
al chiaro
ciel, pensasti, o cieca gente,
a quel
vero Signor del paradiso,
e se vedendo il sol da l’oriente
venir di
rai vestito, e poi la notte
tutta di
lumi accesa e tutta ardente;
se i fiumi uscir da le profonde grotte
et in sue
leggi star ristretto il mare,
né quelle
udiste mai transgresse o rotte;
se ciò vi fu cagion di contemplare
quel che
’n questa terrena imagin nostra
nostro
stato mortal volse esaltare,
volgete gli occhi in qua, c’or vi dimostra
non
quella forma, oimè, non quel colore,
che fingean
forse i sensi in mente vostra.
Piangete il grande esizial dolore,
piangete
l’aspra morte e ’l crudo affanno,
se spirto
di pietà vi punge il core.
Per liberarvi da l’antiquo inganno,
pende,
come vedete, al duro legno,
e per
salvarvi dal perpetuo danno.
Inudita pietà, mirabil pegno,
donar la
propria vita, offrir il sangue,
per cui
sol di vederlo non fu degno!
Vedete, egri mortali, il volto esangue,
le chiome
lacerate e ’l capo basso,
qual rosa
che, calcata, in terra langue.
Piangi, inferma natura; piangi, lasso
mondo;
piangi, alto ciel; piangete, vènti;
piangi
tu, cor, se non sei duro sasso.
Queste man che compuser gli elementi
e fermàr
l’ampia terra in su gli abissi,
volser
per te soffrir tanti tormenti.
Per te volser in croce esser affissi
questi
piè, che solean premer le stelle;
per te ’l
tuo redentor dal ciel partissi.
Oh sacro sangue, oh preziose e belle
piaghe,
rimedio sol, fidate scorte
in tante
turbulente, atre procelle;
arme, con che l’oscure, orrende porte
de l’infernal
tiranno ruppe e sparse
quel che
col suo morir vinse la morte;
quel vero sol, che ’n viva luce apparse
di
giustizia e d’amor, per far più certe
le vie
che di salute eran sì scarse,
et aspettarne con le braccia aperte!
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