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Iacopo Sannazaro Sonetti e canzoni IntraText CT - Lettura del testo |
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IX
Già cominciava il sol da’ sommi colli coi raggi a derivar la neve e ’l ghiaccio, e tal tempesta ancor fremiva in cielo che ucel non si vedea né foglia in pianta, quando con la rogiada aprendo l’alba vide nascer un fior presso un bel fonte. Fresco, dolce, soave e puro fonte, che verdeggiar fai sempre i nostri colli, qual grazia avesti in quella felice alba che l’onde tue restrinse in duro ghiaccio, per meraviglia de la nobil pianta che sì poco curava allor del cielo? Non fur le stelle mai sì chiare in cielo né sì liete le Ninfe in alcun fonte, come quel dì, che uscìo la bella pianta che rallegrò col suo colore i colli, ne’ cadde in terra mai sì dolce ghiaccio come in quella serena e gentil alba. Ma, lasso, vedrò mai venir quell’alba che senza nubi un dì mi mostri il cielo? e nel bel petto rompa il freddo ghiaccio che trae degli occhi miei sì largo fonte? Che dopo d’aver cerco e piani e colli, prenda almen sonno a piè di qualche pianta! Far potess’io vivace or questa pianta con le lacrime mie! che inanzi l’alba andrei tutti rigando intorno i colli, e con caldi sospir pregando il cielo ch’ivi mi trasformasse in vivo fonte, né mi indurasse mai pruina o ghiaccio. Ma tu, che né color cangi per ghiaccio né secchi mai, divina immortal pianta, a che non spandi sopra del mio fonte le tue radici? a che pur d’alba in alba mi fai con gridi andar noiando il cielo, per desio de morir tra questi colli? Vorrei lasciare i colli e ’l tristo ghiaccio e gir al ciel con più spedita pianta, per arrivar con l’alba al vero fonte.
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