Parte
seconda
XXXIII
Spente eran nel mio cor le antiche fiamme,
et a sì
lunga e sì continua guerra
dal mio
nemico omai sperava pace,
quando a
l’uscir de le dilette selve
mi senti’
ritener da un forte laccio,
per cui
cangiar conviemmi e vita e stile.
Lingua non poria mai narrar né stile
quante
spine pungenti e quante fiamme
eran dintorno
al periglioso laccio;
ond’io,
scorgendo i segni d’altra guerra,
pensai di
rimboscarmi a le mie selve,
tosto che
desperai di impetrar pace.
O fere Stelle, omai datemi pace,
e tu,
Fortuna, muta il crudo stile;
rendetemi
a’ pastori et a le selve,
al cantar
primo, a quelle usate fiamme,
ch’io non
son forte a sostener la guerra
che Amor
mi fa col suo spietato laccio.
Non per viver, signor, fuor del tuo laccio
ma per
menar queste poc’ore in pace.
prego men
dura sia la indegna guerra.
Ch’io
tornar possa al mio rustico stile
et
acquetar le ardenti occolte fiamme,
che né
città piacer mi fan né selve!
Tempo fu ch’io cantai per poggi e selve,
e
cantando portai nascoso il laccio;
poi
piacque al ciel suttrarme a quelle fiamme,
et a’
caldi sospir prometter pace.
Allor
m’accinsi ad un più raro stile,
non
credendo giamai più sentir guerra.
Or veggio, lasso, che di guerra in guerra
mi
strazia Amor, benché per altre selve,
e seguir
mi fa pur l’antico stile,
tal ch’i’
non spero uscir da l’empio laccio
né trovar
a’ miei dì tranquilla pace,
ma finir
la mia vita in queste fiamme.
Novo amor, nove fiamme e nova guerra
sento, da
pace escluso e da le selve,
e novo
laccio ordir con novo stile.
|