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Jacopone da Todi
Laude

IntraText CT - Lettura del testo

  • XXXVI
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XXXVI

         O amor de povertate,

renno de tranquillitate!

         Povertat’è via secura,

non n’à literancura,

         de latrun’ non n’à pagura

né de nulla tempestate.

         Povertate more en pace,

nullo testamento face;

         larga el monno como iace

e le gente concordate.

         Non n’à iudecenotaro,

a ccorte non porta salaro,

         ridesse de l’omo avaro,

che sta ’n tanta ansietate.

         Povertate, alto sapere,

a nnulla cosa suiacere

         e ’n desprezzo possedere

tutte le cose create.

         Chi desprezza, sé possede;

possedenno, non se lede;

         nulla cosa i piglia el pede

che non faccia so iornate.

         Chi descidra è posseduto,

a cquel c’ama s’è venduto;

         se llom pensa que n’à auto,

ànne aute rei derrate.

         Troppo so’ de vil coraio

ad entrar en vassallaio,

         simiglianza de Deo c’aio

detorpirla en vanetate!

         Deo no n’aberga ’n core stretto;

tant’è granne, quant’ài affetto.

         Povertate à sì gran petto

che cci aberga Deitate.

         Povertat’è cel celato

a chi è ’n terra ottenebrato.

         Chi è nel terzo cel su entrato

ode arcana profunditate.

         El primo cel è fermamento,

d’onne onor espogliamento;

         granne presta empedemento

a envinir securitate.

         A ffar l’onore en te morire,

le recchezze fa esbannire,

         la scienzia tacere

e ffuir fama de santetate.

         Le recchezze el tempo tolle,

la scienzia en vento estolle,

         la fama aberga et arcoglie

l’epocresia d’onne contrate.

         Pareme celo stellato

chi de queste tre è espogliato.

         Ècce un altro cel velato,

acque clare sollidate.

         Quatro vènti movo el mare,

che la mente fo turbare;

         lo temere e lo sperare,

el dolere e ’l gaudiate.

         Queste quatro espogliature

plu ca le prime tre sodure;

         s’e’ llo dico pare errore

a chi non n’a capacitate.

         De l’onferno non temere

néd en cel spen non n’avere

         e de nullo ben gaudire

e non doler d’aversitate.

         La vertù non n’è ’mproquene

l proquene è for de téne;

         sempre encognito te tene,

ad curar tua infirmitate.

         Se sonude le vertute

e lle vizia non vestute,

         mortale sento ferute,

caio en terra vulnerate.

         Po’ le vizia somorte,

le vertute soresorte,

         confortate de la corte

d’onne empassibilitate.

         Lo terzo celo è de plu altura,

non n’à termene nné mesura,

         for de la ’magenatura

’n fantasìmorteficate.

         Da onne ben sì ttà spogliato

et de vertutespropiato;

         tesaurizzatel so mercato

en propia tua vilitate.

         Questo celo è fabrecato,

enn un nichil è fundato,

         o l’amor purificato

vivennela Veretate.

         Ciò che tte parìa non ène,

tanto è ’n alto quel ched ène;

         la Superbia en celo s’ène

e dànnase l’Umilitate.

         Enfra la vertut’e l’atto

multi ci odo êl ioco: ‘Matto!’;

         tal sse pensa aver bon patto

che sta ’n terralienate.

         Questo celo à nome None

(mozz’a lengua entenzione),

         ve l’Amore sta en presone

en quelle luce ottenebrate.

         Onne luc’è ’n tenebria

e <’n> onne tenebre c’è dia;

         la nova filosafia

l’utre vecchi à descipate.

         ’v’è Cristo ensetato,

tutto ’l vecchio ènne mozzato,

         l’uno en l’altro trasformato

en mirabele unitate.

         Vive amore senz’affetto

et saper senza entelletto;

         lo voler de De’ òl eletto

a ffar la sua voluntate.

         Vivar eo e<n> non eo

e l’esser meo e<n> non esser meo!

         Questo è ’n un tal travieo

che non ne so difinitate.

         Povertat’è null’avere

e nulla cosa poi volere

         e onne cosa possedere

en spirito de libertate.

 




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