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Jacopone da Todi
Laude

IntraText CT - Lettura del testo

  • LXXVIII
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LXXVIII

         Un arbore è da Deo plantato,

lo quale Amore è nomenato.

         “Oi tu, omo, che ccèi salito,

dimme en que forma c’è’ tu gito,

         perché lo viaio a mme sia aprito,

eo sto en terra ottenebrato”.

         “Se lo te dico, poco vènto

mo ne m’encasca, sì sto lento.

         Ancor eo non aio vénto,

nanti so’ molto <en>tempestato”.

         “ non è tua questa istoria,

nant’è a Deo en tutta gloria;

         non me ’n trovo en mea memoria

che tu per arte l’ai’ aquistato”.

         “Se ’l me dice, mo ’n avvinire

che mo ’n me fai del lotoscire;

         se per te vegno a dDeo servire,

a dDeo m’averàarguadagnato”.

         “E a la laude de Deol te dico

e per avermete per amico:

         empagurato dal Nimico,

fui a cquestarbore menato.

         Co la mente ci aguardai

e de salirce m’enflammai;

         fui da pede et eo ’l mirai,

ché era multo esmesurato.

         Li rami era en tanta altura,

non ne pòzzo dir mesura;

         lo pedale en derittura

era tutto esdenodato.

         Da nulla parte ce vedia

com’ salir se cce potìa,

         se non per ramo che pendia,

che era a terra replecato.

         Questo era uno rametello

che era multo poverello;

         umilitate era segello

de questo ramo desprezzato.

         Avvia’me per salire,

fòme ditto: Non venire,

         se non te brige de partire

da onne mortale peccato.

         Venneme contrizione,

e lavaime per confessione

         e fìnne la satisfazione

como da Deo me fo donato.

         A lo salire retornanno,

ennel meo core gìa pensanno

         e gìame multo dubitanno

dello salire afatigato.

         Pregai Deo devota mente

c’al salir me fusse iuvente,

         senza lui non n’è n<e>iente

de tutto quel c’avìa pensato.

         Da celo venneme una voce

e disse: “Ségnate con croce

         e piglia el ramo de la luce,

lo quale è a dDeo molto a grato”.

         Co la croce me segnai

e lo ramopigliai,

         tutto lo corpo ci afrattai,

sì ch’enn alto fui levato.

         Poi, levato en tanta altura,

trovai amor de derittura,

         lo qual me tolse onne pagura,

undel meo cor era tentato.

         Encontenente ch’eo fui ionto,

non me lassò figere ponto

         de fare sopre me uno ionto

enn un ramo sopre me plantato.

         Poi ch’en quel ramo fui salito,

che da man ritta èramensito,

         de suspire ce fui firito,

luce de lo sponso dato.

         De l’altra parte volsi el viso

e ne l’altro ramo fui asciso;

         e l’Amor me fice riso,

però che mmavìamutato.

         Et eo de sopre me aguardanno,

dui rami viddi entanno;

         l’uno à nomePerseveranno’,

l’altro ‘Amore continuato’.

         Salenno su crisi pusare,

l’amor me non lassò finare,

         de sopre me fémesguardare

enn un ramo sopre me fermato.

         Salenno su, ce resedia;

de poma scripte ce pendia:

         le lacreme c’Amor facìa,

ché lo sponso li era celato.

         De l’altra parte volsi el core,

viddi lo ramo de l’ardore.

         Passanno , sintit’ho Amore,

che mmavì’ tutto rescaldato.

         Estanno loco, non finava,

l’Amore molto m’encalciava,

         de menarme ’v’ello stava,

en un ramo supre me essaltato.

         P<er>ò ch’en quel ramo me alzasse,

scripto c’era che eo me odiasse,

         e che tutto amore portasse

a quel Signor che mmà creato.

         A lo ramo de l’altra parte

tràssemecce l’Amor per arte,

         al contemplar ch’el cor esparte

d’onne assaio amaricato.

         A lo ramo de plu altezza

sì fui tratto con lebezza,

         o’ eo languesco enn alegrezza,

sentenno d’Amor, ch’e’ n’ho odorato.

         De l’altra parte pusi mente,

vidde ramonante me placente;

         passanno , êllardor pognente,

ferenno al cor, l’à estemperato.

         Stemperato de tale foco,

che lo meo cor non n’avìa loco,

         fui furato a ppoco a ppoco

ennel ramo sopre me fundato.

         Tanto d’Amore fui firito

che en quello ramo fui rapito,

         o’ lo meo sponso fo aparito

e con lui me fui abracciato.

         En me medesmo vinni meno,

menato en quel ramo divino;

         tanto viddi cosa en pleno

ch’el meo core ce fo annegato.

         A le laude de lo Signore

eo ditto t’aio questo tenore.

         Se vòlsalire, or ce pun core

a tutto quel ch’eo n’ho parlato.

         Ennellarbor de contemplare

chi vòl salir non ’ ’n pusare;

         penser’, parol’ e fatti fare

et ita sempre essercetato.

 




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