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Jacopone da Todi
Laude

IntraText CT - Lettura del testo

  • LXXXIII
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LXXXIII

         O papa Bonifazio, moltài iocato al mondo;

pensome che iocondo non te ’n porrai partire!

         Lo mondo non n’à usato lassar li sui serventi,

ched a la scivirita se ’n partano gaudenti.

Non farà lege nova de farnete essente,

che non te dìa presente, che dona al suo servire.

         Bene lo mme pensai che fussi satollato

d’esto malvascio ioco, ch’al mondo ài conversato;

ma poi che tu salisti enn ofizio papato,

non s’aconfà a lo stato essere en tal disire!

         Vizio enveterato convertesen natura;

de congregar le cose granne n’àauta cura;

or non ce basta el licito a la tua fame dura,

messo t’èi a ’rrobatura, como asscaran rapire.

         Pare che la vergogna dereto agi iettata,

l’alma e lo corpo ài posto a llevar to casata;

omo ch’en rena mobele fa grannedificata,

subito è ’n ruinata, e no li fallire.

         Como la salamandra sempre vive nel foco,

cusì par che llo scandalo te sia solazzo e ioco;

dell’aneme redente par che ne curi poco!

’ve t’accuncil loco, saperàilo al partire.

         Se alcuno ovescovello covelle pagare,

mìttili lo fragello che lo vòldegradare;

poi ’l mandi al cammorlengo, che se deia acordare;

e tanto porrà dare che ’l lassarai redire.

         Quando nella contrata t’aiace alcun castello,

’n estante mitti screzio enfra frat’e fratello;

all’un getti el braccio en collo, all’altro mustri el coltello;

se no n’assente al tuo appello, menaccili de firire.

         Pènsite per astuzia lo mondo dominare;

ciò ch’ordene l’un anno, l’altro el vidi guastare.

El mondo non n’è cavallo che sse lassenfrenare,

che ’l pòzzi cavalcare secondo tuo volere!

         Quando la prima messa da te fo celebrata,

venne una tenebria per tutta la contrata;

en santo non remase luminera apicciata,

tal tempesta levata ’ve tu stavi a ddire.

         Quando fo celebrata la ’ncoronazione,

non fo celato al mondo quello che c’escuntròne:

quaranta omenfòr morti all’oscir de la masone!

Miracol Deo mustròne, quanto li eri ’n placere.

         Reputavi te essare lo plu sufficiente

de sedere en papato sopre onnomo vivente;

clamavi santo Petro che fusse respondente

s’isso sapìa neiente respetto al tuo sapere.

         Punisti la tua sedia da parte d’aquilone,

<es>cuntra Deo altissimo fo la tua entenzione.

Per sùbita ruina èi preso en tua masone

e null’o<m> se trovòne a poterte guarire.

         Lucifero novello a ssedere en papato,

lengua de blasfemìa, ch’el mondo àinvenenato,

che non se trova spezia, bruttura de peccato,

’ve tu si enfamato vergogna è a profirire.

         Punisti la tua lengua contra le reliuni,

a ddicer blasfemia senza nulla rasone;

e Deo sì t’à somerso en tanta confusione

che onnom ne fa canzone tuo nome a maledire.

         O lengua macellara a ddicer villania,

remproperar vergogne cun granne blasfemìa!

emperatorrege, chivelle altro che sia,

da te non se partia senza crudel firire.

         O pessima avarizia, sete endopplicata,

bever tanta pecunia, no n’essere saziata!

Non ’l te pensavi, misero, a ccui l’ài congregata,

ché tal la t’à arrobata, che no n’eri en pensieri.

         La settemana santa, ch’onnomo stava ’n planto,

mandasti tua famiglia per Roma andare al salto;

lance giero rompenno, faccenno danz’e canto;

penso ch’en molto afranto Deo <’n> te deia ponire.

         Intro per Santo Petro e per Santa Santoro

mandasti tua famiglia faccenno danza e coro;

li pelegrini tutti scandalizzati fòro,

maledicenno tu’ oro e te e to cavalieri.

         Pensavi per augurio la vita perlongare!

Anno dìneora omo non sperare!

Vedem per lo peccato la vita stermenare,

la morte appropinquare quand’om pensa gaudere.

         Non trovo chi recordi papa nullo passato,

ch’en tanta vanagloria se sia sì delettato.

Par ch’el temor de Deo dereto agi gettato:

segno è d’om desperato o de falso sentire.

 




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