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Jacopone da Todi
Laude

IntraText CT - Lettura del testo

  • XXXII
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XXXII

         O Vergen plu ca femena,

santa Maria beata!

         Plu ca femena, dico;

onnom nasce inimico

         (per la Scriptura espleco),

nant’è’ santa ca nata.

         Estanno en ventrenclusa,

po’ l’alma ce fo enfusa,

         potenzia virtuosa

ttà santificata.

         La divina onzione

sì te santificòne,

         d’onne cuntagione

remasesti ellibata.

         L’original peccato,

c’Adam à sementato,

         onnom con quel è nato,

tu n’èi da cquel mundata.

         Nul peccato mortale

en to voler non sale

         et dall’oveniale

tu sola è’ emmaculata.

         Secondo questa rima,

tu si la Vergen prima;

         sopre ll’altre sollima,

tu llài emprima votata

         la to vergenetate,

sopronne umanetate,

         ch’en tanta puretate

mai ffòse conservata.

         L’omilità profunda,

ch’ennel tuo cor abunda,

         lo cel se nne sperfonna

d’esserne salutata.

         Vergineo proposito

en sacramento abscondito,

         marito piglencognito,

che non fusci enfamata.

         L’alto messo onorato

da cel te fo mandato;

         lo cor fo <’m>paventato

de la su’annunziata:

         ‘Conciperai tu figlio,

sirà senza simiglio,

         se tu assenti al consiglio

de questa me’ ambasciata’.

         O Vergen, non tardare

al suo ditto assentare!

         La gente sta a cclamare

che per te sia adiutata.

         ‘Adiutane, Madonna,

l mondo se sperfonna,

         se tarde la responna,

che non sia aginata’.

         Da po’ che consentisti,

lo figliol concepisti,

         Cristo amoroso désti

a la gente dannata.

         Lo mondo n’è stopito,

conceper per audito,

         lo corpo star polito

ad non esser toccata!

         Sopronne uso e rasone

aver concezione,

         senza corruzione

femenangravedata!

         Sopre rasone et arte

senza somentàlatte!

         Tu sola n’à’ le carte

esserne fecundata.

         O prena senza semina,

non fo mai fatto en femena;

         tu sola sine crimina

null’altra n’è trovata.

         Lo Verbo creans omnia

vestito è ’n te, Virginea;

         non lassanno suo sòlia,

devinità è ’ncarnata!

         Maria porta Deo et omo,

ciascheun serval suo como;

         portanno sì gran somo

e no n’essar gravata!

         O parto ennaudito!

lo Figliol parturito

         d’entro lo ventr’è oscito

de mate segellata.

         A non rompar segello

nat’è lo Figliol bello,

         lassanno el so castello

co la porta enserrata!

         (Non sirìa convenenza

la divina potenza

         faccesce violenza

en sua casa albergata).

         O Maria, cofacivi,

quanno tunel vidivi?

         Or co’ non te morivi

de l’amor affocata?

         Co’ non te consumavi,

quanno tu li sguardavi,

         che Deo ce contemplavi

en quella carne velata?

         Quannisso te sogìa,

l’amor con’ te facìa,

         la smesuranza sia

essar da te lattata?

         Quannisso te clamava

e ’mate’ te vocava,

         conno te consumava,

mate de Deo vocata?

         O Madonna, quelli atti,

avivi en quelli fatti,

         quelli ’nfocati tratti

la lengua m’ò mozzata.

         Quanno (’l pensier me struge),

cofa’, quanno te suge?

         Lo lacremar non fuge

d’amor che ttà legata.

         O cor salamandrato

de viverenfocato,

         co’ non t’à consumato

la piena ennamorata?

         Lo don de la fortezza

t’à data estabelezza

         portar tanta dolcezza

en l’anema enfocata.

         L’umilitate sua

embastardio la tua,

         c’onn’altra me par frua,

sènno êlla sua esvardata.

         tu salisti ’n gloria,

isso escesen miseria;

         or quigna convenèria

à enseme esta vergata?

         La sua umilitate

prender umanetate,

         pare superbiitate

onn’altra ch’è pensata.

         Accurrite, accurrite,

gente, co’ non venete?

         Vita eternal vedite

co la fascia legata.

         Venetel a ppigliare,

co’ non ne po’ mucciare

         che dega arcomparare

la gente desperata.

 




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