La Chiesa caritatevole
La diocesi di Messina viveva sotto
l’incubo dei “flagelli divini”. Nel 1882 furono scoperti diversi casi di
vaiolo, ma era difficile convincere le popolazioni a sottoporsi alla
vaccinazione. Le autorità politiche e amministrative ritennero bene rivolgersi
all’arcivescovo perché i parroci si facessero promotori di una campagna di
informazione e di convincimento. La risposta dell’Arcivescovo fu pronta. Poteva
infatti assicurare il prefetto di Messina di avere interessato i parroci “con
energia a non cessare d’insistere perché non [trascurassero] i padri di
famiglia l’inoculazione del vajolo e la rivaccinazione per le loro famiglie”,
adducendo in questo il suo stesso esempio.175
Altri mali incombevano sulla città.
Nel 1883 venne ricordato il centenario del terremoto del 1783 e, come ogni
anno, la ricorrenza fu celebrata nella cappella della Madonna della Lettera,
per intercessione della quale i Messinesi ritenevano di essere stati
salvati.176 Il ricorso alla Madonna liberatrice dal terremoto doveva
servire anche ad implorare la salvezza dal colera i cui primi segnali si
avvertivano da più parti nel Mediterraneo.177 Fu la città di Palermo
nel 1885 ad essere la prima a subire l’invasione colerica. Accanto alle
autorità sanitarie anche la chiesa palermitana si mobilitò per l’assistenza ai
colerosi. In quella occasione Guarino inviò al suo amico e padre card. Celesia
un telegramma di protesta per le accuse di non collaborazione che aveva
scagliato Francesco Crispi contro il clero.178 E mentre a Palermo
infieriva il colera, Messina non era ancora libera dal vajolo arabo.179
Nel mese di dicembre del 1885 era sembrato dileguarsi il pericolo di colera per
la città dello Stretto, e l’Arcivescovo indiva il canto del Te Deum per lo scampato pericolo. Ma
purtroppo dopo Palermo toccava anche a Messina la sofferenza che doveva
falciare migliaia di vittime.
Nel febbraio 1886 Guarino tornava sul
tema della punizione di Dio per i mali che affliggevano la società moderna:
rivoluzioni atmosferiche, terremoti, epidemie, carestie, fame, sono fenomeni
della natura, ma la natura è nelle mani di Dio che se ne serve ora a sollievo
ora a castigo. Il pastore invitava perciò i suoi fedeli alla penitenza e al
perdono.180 Il tema ricorrente
negli interventi dell’arcivescovo Guarino in quel periodo era il richiamo ai
fedeli che quei mali erano un flagello divino, non inteso però come una
vendetta di Dio, quanto piuttosto come una medicina con cui Dio voleva far
prendere coscienza a ogni singolo uomo della necessità di cambiare vita e alla
società di non allontanarsi da Dio e dalla guida della chiesa. Attribuire
all’intervento pedagogico di Dio il flagello aveva il doppio scopo di
combattere l’opinione di coloro che volevano ridurre solo a un fatto naturale
questi eventi senza darvi una interpretazione in senso etico e di contrastare
la credenza popolare che il colera fosse fatto spargere volutamente dal governo
o da gente malvagia:
Non
tenete conto, raccomandava ai fedeli, di coloro che diffondono il “grossolano e
troppo volgare pregiudizio del veleno
intorno al Colera, o per altri flagelli vi insinuano esser tuti effetti
naturali, nei quali Iddio non entra per nulla: e deriva da questi inganni
fatali il non trarne profitto delle correzioni del Signore.181
I parroci dovevano quindi inculcare la
necessità di ricorrere ai mezzi spirituali e a quelli naturali anch’essi voluti
da Dio:
E’
il peccato il vero veleno, che inocula la morte nelle nostre vene e attira i
flagelli di Dio. Pensare altrimenti, attribuire a veneficio artificiale e
procacciato il colera, è un errore inventato dal demonio per far si che da una parte non si alzino le mani al cielo e
non si pensi alla penitenza, e dall’altra si semini l’odio non si approfitti
dei mezzi igienici disposti anche da Dio nell’ordinamento naturale a preservare
dal possibile morbo micidiale, mezzi che con tanto accorgimento e preveggenza
vengono proponendo le Autorità, alle quali dovremmo la nostra lode e la nostra
riconoscenza.182
Nell’estate del 1887, quando il colera
raggiunse una virulenza impressionante, prima che come arcivescovo, Guarino
come uomo peccatore invitò a prendere coscienza che il male fisico era solo il
segno di un male morale molto più profondo:
La
giusta colera del cielo ci ha colpito nella città di Maria! Oh! devono essere
assai gravi le nostre colpe al cospetto del Signore. E chi non ha peccato?
Tutti siamo rei chi in un verso chi in un altro, - non bisogna illuderci – ed
io che vi scrivo, vostro padre e pastore, sono peggior peccatore fra tutti, sebbene
avessi ferma volontà di servire ed amare Dio col suo santo aiuto.183
Nell’incalzare della crisi la città si
disgregava. I possidenti si allontanavano dalla città, il popolo soffriva la
fame. Solo il rifugiarsi tutti insieme sotto il manto della madre Maria poteva
salvare la città, “poiché la madre è un bisogno prepotente della
natura”.184 Il riconoscimento del male doveva aprire non solo alla penitenza, ma
all’aiuto reciproco, a una solidarietà rinnovata tra i ceti sociali:
Versiamo
in momenti terribili – non è mestieri che io ve li descriva – oltre al morbo,
che ci flagella, è ancor più opprimente la miseria […]. Vi supplico con tutta
l’anima, siate larghi di soccorsi portando ai Parroci quel tanto che potrete in
denaro, perché essi li distribuiscano a quei tali bisognosi, i quali per la
loro verecondia non sanno presentarsi alle persone e chiedere l’obolo della
carità cittadina.185
Anche la prefettura di Messina inviò
all’arcivescovo soldi da distribuire alle famiglie più bisognose perché
potessero comprare nelle cucine economiche.186 Ma purtroppo non era
facile a Messina raccogliere denaro. Scriveva qualche tempo dopo al card.
Celesia che chiedeva aiuti per le opere del card. Lavigerie:
In
Messina p. e. non mi riesce mai strappare una lira dalla tasca altrui! Neppure
nel tempo del colera! Non ebbi allora che scarsissime offerte. Tre o quattro
famiglie soltanto risposero all’appello! E il resto? “Se la veda l’Arciv.
o senza prebenda!” Se non avessi
ricevuto aiuti dall’Episcopato di Sicilia e d’Italia, mi sarei trovato in
stupende condizioni! E se verso la fine non mi fosse arrivato l’aiuto del Papa,
mi sarei trovato anche peggio del centro del male. Questa è Messina! E credo
sian così tutte le città mercantili.187
Sul piano pastorale il problema più
urgente era l’assistenza ai colerosi. E il clero doveva essere fedele al suo
ministero e restare al suo posto anche se i rischi del contagio erano molti.
Scrisse all’arciprete di Pozzo di Gotto:
Esorti
tutti i suoi Sacerdoti in mio nome per le viscere della misericordia di Dio a
rimanere nel posto in servizio di Gesù Cristo nella persona dei poveri infermi.
E’ un atto di carità di cui L’Eterno Giudice terrà gran conto nel giudizio che
farà di noi e che attirerà sulla nostra persona la sua misericordia
infinita.188
Aveva rivolto a tutti l’invito a
prendere coscienza del proprio peccato, si rivolgeva ora in modo particolare ai
sacerdoti, senza escludere se stesso, ricordando il monito di S. Gregorio
Magno:
[i
castighi di Dio] – scriveva – sono richiamati sul popolo dai delitti dei
Sacerdoti, i quali posti sul candelabro per illuminare e santificare, spesso ci
facciamo pietra d’inciampo, molto più se siamo posti in modo speciale a
presiedere […] Che faremo adunque? Abbandoneremo questo popolo da noi tradito
quando il pericolo di perdersi eternamente incalza? […]. Da mia parte ho
disposto ai Parrochi della città d’informarmi ciascun giorno degl’infermi che
per avventura nella triste ipotesi potranno avere nelle parrocchie rispettive,
perché vorrò visitare tutti e consolarli personalmente nel miglior modo che mi
sarà possibile. 189
la chiesa di Messina fu mobilitata per
rendere il servizio ai malati e per creare un clima favorevole all’accettazione
delle indicazioni mediche.190 Ma il panico aveva preso anche qualcuno
del clero, tuttavia le parrocchie rispondevano bene.
Sono
solo – scrisse al card. Celesia – sono scappati via vicario, provicario,
cancelliere, tutti presi da tale spavento, che toglie la ragione […] Le parrocchie fanno benissimo il loro
dovere.191
Ogni giorno si trattava di assistere
da 200 a 400 malati. Si distinsero i parroci che rimasero ai loro posti e in
modo particolare le Figlie di S. Anna e le Suore di carità.192 Ma l’Arcivescovo Guarino fu veramente l’anima
dell’assistenza ai colerosi. Tra gli altri l’arcivescovo corse al capezzale del
prefetto della città che stava per morire. Non trovò ostacoli, gli amministrò i
sacramenti pochi istanti prima di morire.193 Dalle moltissime
testimonianze è possibile rendersi conto che qualcosa di nuovo si era istaurato
tra l’Arcivescovo e il suo clero e i suoi fedeli. Essi avevano visto il pastore
che non risparmiava se stesso per offrire il suo ministero a tutti. Non si
limitava infatti a fare solo delle visite, ma amministrava i sacramenti,
portava viveri e medicine, incoraggiava, sosteneva la fede.
Il
pensiero – scrivevano i sacerdoti di Novara Sicula – che le pene, le sciagure e
i dolori di codesti desolati fratelli si avevano nel paterno cuore
dell’Eccellenza Vostra Reverendissima un centro di sacra e sublime
consolazione, era per noi oltremodo giocondo, perché rivelava la ineffabile
potenza della carità, resa nobile e sublime dal sacrificio della propria
vita.194
Il consiglio della Conferenza di S.
Vincenzo de Paoli dopo il colera rievoca con grande ammirazione l’azione svolta
dal Guarino:
A
placare lo sdegno divino pubbliche preci nei sacri templi furono primieramente
da Lei indette; munite indi le diverse parrocchie di più e zelanti sacerdoti,
affinché ai bisogni di ciascuno, pronti accorressero alle chiamate di
misericordia. Muore intanto il Prefetto, soccombe il Questore, fuggono i principali
cittadini, rimangono la plebe ed i poveri; inesprimibile la desolazione e lo
spavento; la città somiglia un cimitero.in sì luttuosi frangenti a Lei, o
Monsignore, erano rivolti gli sguardi; ed ella, redivivo Cardinale Altieri,
vittima illustre tra i colerosi di Albano, novello Riario Sforza, altro
Sanfelice di Napoli, diede, eccitando l’ammirazione degli stessi increduli, di
se esempio splendidissimo e di quanto sappia adoperare la carità cristiana in
un Vescovo secondo il cuore di Dio. E, fattosi tutto a tutti, fu visto ove più
infieriva il morbo, prodigare vita ed averi notte e dì in pro del popolo; né
ciò solo, ma, sceso agl’infimi uffici di prete, negli ospedali e nei tuguri,
per la città, nei borghi e villaggi, visitare ai moribondi e con sue mani lor
porgere i Sacramenti. Di conforto fu Ella inoltre alle vedove, di soccorso ai
derelitti, e, non per mesi e giorni soltanto, ma, erogando forti somme
grandemente contribuì a raccoglierli in un orfanotrofio perpetuo.
A
buon diritto dunque il nome di V. E. passa già in benedizione per tutte le
bocche: chi ad un Francesco fra i lebbrosi, chi ad un Borromeo fra gli
appestati la paragona, chi infine come nuovo Ambrogio La addita, venerabile
esempio del Clero e dell’Episcopato.195
L’esempio dell’Arcivescovo trascinava
il suo clero che inizialmente era rimasto incerto sul da farsi.196 E da
quel momento soprattutto si istaurò un nuovo rapporto di fiducia e di stima tra
l’Arcivescovo e il suo clero. Guarino ci teneva infatti a presentare l’azione a
favore dei colerosi non come una azione singola del vescovo, ma come azione di
tutto il clero. Scrisse infatti alla “Sicilia cattolica” di Palermo:
Ad
onor del vero devo dirle che se talvolta l’urgenza dei casi mi tenne fuori
l’Episcopio fino a sera un po’ protratta, il mio zelante amatissimo Clero non
avrebbe affatto sofferto che mi fossi affaticato anche la notte. In quei dì di
squallore, di desolazione e di lutto mi fu grande conforto l’operosità
indescrivibile de’ miei carissimi parroci e sacerdoti datisi all’assistenza dei
colerosi, i quali tutti lavorarono come … e di notte senza darsi mai
tregua.197
Quando cominciò a scemare la virulenza
del colera, Guarino rivolse parole di ammirazione e di lode ai parroci, un
grazie ai deputati delle cucine economiche e a tutti quelli che si erano
prodigati per attenuare i mali del colera e della fame, riconoscendo di aver
ricevuto grande aiuto e conforto nella grande sofferenza con cui aveva vissuto
quei “momenti tristissimi dei nostri affanni”:
Io
vi vedea tutte le ore, miei cari figli, e sul letto dei dolori e per le vie
smunti in viso, macilenti, fulminati dal terrore, e leggeva nelle vostre fronti
la costernazione, lo sgomento, la fame. Non mai vi mostrai l’angoscia che mi
distruggeva, perché non avrei potuto sollevarvi dal vostro affanno: ma le mie
viscere si conturbavano, e cadermi il cuore per terra per lo scempio del popol
mio.198
A chi si meravigliava delle lodi che
egli rivolgeva alle autorità civili, pur nel clima di rottura tra chiesa e
stato, Guarino mostrava le sua libertà da ogni condizionamento, esaltando il
primato del servizio all’uomo e del ministero pastorale sui contrasti
ideologici:
E
se potrà sembrare strano a taluni che compia io l’ufficio doveroso di esprimere
i sentimenti della mia riconoscenza a chi sta al governo del popolo, è bene
sapersi che s’è vero, come purtroppo è di fede, che siamo Vescovi posti dallo
Spirito Santo al regime della Chiesa di Dio, è verissimo altresì che i singoli
sian figlioli a me dati da Dio […] e nulla è più conforme alla natura che
rendersi grazie dal padre pel bene che si fa ai propri figli.199
Guarino con una grande larghezza di
cuore e lungimiranza sentiva il bisogno di ringraziare e di congratularsi con
coloro che, anche nel mondo liberale, ammiravano il lavoro svolto dalle
organizzazioni cattoliche, e godeva del loro apprezzamento che era anche un
riconoscimento del valore sociale del cristianesimo. In segno di totale fiducia
donava L. 8.000 per il nuovo orfanotrofio che nasceva per raccogliere i bambini
rimasti orfani. Scriveva al cav. Francesco Mauromati:
La
ringrazio della sua lettera. Sono lieto anch’io del servizio superiore ad ogni
elogio reso dalle Figlie di S. Anna e nell’ospedale dei colerosi e alle cucine
economiche. Lo stesso dico delle Figlie di Carità venute da Napoli (che vedeva
pure al servizio degli infermi nella sezione apertasi dopo le prime assegnate
alle Figlie di S. Anna). Veramente tutte hanno dimostrato che cosa sia lo
spirito del Cristianesimo, la cui anima è la carità di Cristo. Mi è poi di
somma consolazione vedere che anche ella illustre sig. Cavaliere e i suoi
onorevoli compagni sian soddisfatti, e ne rendo grazie al datore di ogni bene.
Infine mi permetta una parola di ammirazione e di ringraziamento per aver
affidato alle egregie Figli di S. Anna l’orfanotrofio, (il quale sorge per le
cure di lei e dei suoi compagni), onde raccogliervi gli infelici fanciulli
privati dei genitori dalla terribile epidemia.
Ed
io ad incoraggiare sempre più le offerte dei buoni cittadini per una rendita
perpetua, dolentissimo di non poter di più, ho messo da parte ottomila lire per
acquistare una rendita perpetua in vantaggio dell’orfanotrofio
suddetto.200
Da parte sua il governo gli dava un riconoscimento
ufficiale per la sua azione durante il colera conferendogli la medaglia
d’argento che egli cedette per i bambini dell’orfanotrofio.201
|