La conferenza episcopale siciliana
Non esistevano rapporti
istituzionalizzati tra i vescovi siciliani dopo l’unità d’Italia. Di tanto in
tanto avevano firmato qualche indirizzo di adesione al papa per le sue
encicliche. Era chiaro però che ormai tutto l’episcopato siciliano era legato a
Roma e non c’era l’ombra di una rivendicazione di chiesa autocefala di cui si
aveva paura nel primo decennio postunitario. La nuova ecclesiologia che seguiva
il concilio Vaticano I portava il
Guarino a identificare il papato con la chiesa e questa identificazione stava
alla base del rapporto tra episcopato e papato. Era lontano dalla sua
concezione la rivendicazione di una qualsiasi soggettività autonoma
dell’episcopato rispetto al papa. Commentando l’indirizzo al papa
dell’episcopato siculo dopo l’enciclica Immortale
Dei, Guarino riteneva riduttivo usare il termine adesione, perché la parola
del papa non aveva bisogno di adesione, ma di obbedienza. Il vecchio discepolo
del collegio dei SS. Agostino e Tommaso di Agrigento esponeva ora la sua
professione di attaccamento al papato contro ogni possibile interpretazione
regalista e gallicana:
A
dirle il vero – scriveva al Celesta che aveva siglato l’indirizzo al papa a
nome dei vescovi – la forma dell’adesione
non m’è piaciuta mai, ed occorrendo fare indirizzi isolati, non l’ho usata mai.
La parola del Papa non ha sicuramente bisogno dell’accettazione dell’Episcopato
per essere quella ch’è. Noi d’Italia lasciammo sempre ai bizzarri Francesi
questo errore: e com’è del domma, così è dell’ammaestramento morale e
disciplinare. V. Eminenza ha pensato ottimamente bene e desidero che lo segua
l’Episcopato intero. Ammirazione noi dobbiamo al Capo della Chiesa e rendimento
di grazie, non un’adesione quasi fossimo alla pari con Lui.221
Il problema per Guarino era quindi
teologico quasi che l’insegnamento del papa avesse bisogno del consenso della
chiesa. Scriveva qualche anno dopo sullo stesso argomento a Celesta per
l’indirizzo sull’enciclica Libertas:
A
dirle il vero non mi è piaciuta la forma dell’adesione inventata dagli oltremontani come reliquatur del falso principio che gli atti papali abbiano forza
dal consentimento della Chiesa dispersa. Ma invece ho sempre desiderato una
forma di ammirazione, di ringraziamento, di gratitudine, ond’è che, secondo me,
ben si oppone il card. Segretario di Stato.222
Con una circolare della Congregazione
dei vescovi e regolari del 24 agosto 1889 il card. I. Verga, dietro richiesta
di alcuni episcopati italiani, invitò i vescovi delle circoscrizioni ecclesiastiche italiane a riunirsi almeno una
volta l’anno per aiutarsi reciprocamente nel governo delle loro diocesi in modo
da creare una certa uniformità di indirizzo ed emettere, se le circostanze
l’avessero ritenuto opportuno, atti collettivi.223
Il prelato più degno per grado e
anzianità doveva fare da presidente e un altro da segretario. In Sicilia la
presidenza spettava al card. Michelangelo Celesia, arcivescovo di Palermo,
perché cardinale e più anziano, il quale volle come segretario l’Arcivescovo
Guarino. Guarino accetta, ma chiede che Celesia preghi “affinché [Dio] venga in
aiuto della nullità del povero chierico divenuto arcivescovo di Messina.
E’
un mistero – scriveva- […] e Dio sa che non mentisco. Le confesso da figlio che
quando nel silenzio discendo dentro me stesso, e considero gli alti doveri
pastorali e il luogo, dove mi trovo, sono preso dallo stesso sgomento che V.
Em. R.ma ebbe a vedere cogl’occhi suoi quando all’arrivo in Palermo annunziò le
prima nomina.224
Le difficoltà per questa riunione dei
vescovi venivano soprattutto dalla diffidenza del governo che poteva vedere
cospirazione da ogni parte. Era soprattutto il card. Dusmet, preoccupato, che
scriveva a Guarino di “innegabili difficoltà per parte delle Autorità
politiche, le quali hanno in capo la fissazione che i vescovi cospirano: ed io
posso aggiungere che siamo sorvegliati anche nelle visite pastorali della
Diocesi, come mi ha assicurato qualche sindaco aver ricevuto
incarico”.225
Ma le difficoltà non erano solo
esterne, ma anche all’interno dell’episcopato. Intanto bisognava trovare una
formula, se riunirsi tutti insieme o a gruppi. Prevalse poi quella
dell’assemblea di tutti i vescovi. Poi erano da stabilire gli argomenti da
trattare.
Ho
trovato alcuni [vescovi] – scriveva Giarino a Celesia – assai minuti, i quali
danno seria importanza a piccole cose, e poca o nessuna a cose gravi, altri che
su qualsiasi idea e indirizzo di una diocesi trovano sempre da criticare ed
osservare e ne fanno materia dei loro discorsi ed anche parlamento, cosa che mi
ha spesso tanto amareggiato, altri, che si arrogano l’infallibilità, e sono
ottime che le cose da loro disposte soltanto. In diciannove anni di episcopato
ho acquistato molte esperienze.226
Guarino chiedeva a Celesia di fare il
presidente con fermezza per evitare chiacchiere e invece proporre qualcosa di
nuovo in comune:
Parmi
che non bisogna impegnarci che a conservare quel che abbiamo potuto fare
ciascuno nella propria diocesi. Ma tant’è, abbiamo tante e poi tante proposte,
tra le quali v’ha della minestra minuta, e v’ha delle altre che non varrà la
pena parlarne.227
Il discorso programmatico di Celesia
doveva servire come traccia per il dibattito e far capire agli altri vescovi
che era conveniente eliminare le minuzie. Il tono di Guarino diventa un po’
ironico su alcune proposte dei confratelli:
Se
i miei confratelli vorranno accorgersi, dovranno ritirare le proposte e
restringersi a quel tanto che da V. Em. sarà annunziato. Infine poi tutti
quanti ce ne andremo a farla da
prefettizi nel seminario nostro per tutta la Sicilia, il quale ci venne
proposto! e lì ci divertiremo, staremo benissimo, già s’intende, ornati di un
magnifico anello dottorale!228
La prima conferenza episcopale fu
celebrata con grande solennità a Palermo e si concluse con la pubblicazione di
una lettera pastorale collettiva Le
conferenze episcopali della regione Sicilia tenute in Palermo nell’aprile del
1891. Lettera pastorale, tip. Boccone del Povero, Palermo 1891.229
Anche se non si tennero conferenze
episcopali fino al 1898, i vescovi rimasero in contatto attraverso l’opera
dello stesso arcivescovo Guarino. Gli interventi più rilevanti erano indirizzi
di omaggio al papa il quale, a giudizio di Guarino, era contento
dell’episcopato siculo.230 La mobilitazione dell’episcopato, quando stava
per essere presentato il disegno di legge sul divorzio, fu compatta. Guarino
riteneva prematura però la stesura di una protesta dal momento che il disegno
di legge non era stato presentato, mentre il Card. Rampolla era dell’avviso di
intervenire dopo la lette del papa ai vescovi della Lombardia. Presentato il
progetto, la protesta dei vescovi siciliani era necessaria, anche se Guarino
era convinto che non sarebbe servita a nulla, ma solo per la storia e per
l’edificazione dei fedeli.231 Un nuovo indirizzo fu inviato al papa per
le lettere sull’unione con la chiesa greca. Un indirizzo analogo avrebbe
desiderato Guarino anche per il decreto sulla predicazione, tanto più che la
conferenza del 1891 aveva formulato un decreto analogo: “ma non osai scrivere a
solo, né pregarne V. Em. Rma, perché conscio della mia nullità, non ardisco
mettermi avanti, né far proposte, essendo sempre per me un mistero come mi
trovi elevato alla dignità cardinalizia. Parlo col cuore.232
Nel frattempo moriva il card. Dusmet e
si poneva il problema della successione a Catania. Il nunzio di Bruxelles il
siciliano Brancica Nava e il vescovo Guttadauro di Caltanissetta erano d’avviso
di escludere il nunzio e propendevano per il vescovo Blandini di Noto, ma
Guarino non fu d’accordo:
Non
credo affatto questa ultima una provvista indovinata. Egli è per altro legato
agli oppositori del cessato regime, comunque affezionatissimo al nostro
rimpianto amatissimo Cardinale.233
Le sue preoccupazioni per la successione
di Dusmet traspaiono dalle lettere a Celesia. Il clero si era diviso in due
partiti, tra chi sosteneva la nomina di Caff che era stato un collaboratore del card. Dusmet e chi
osteggiava questa nomina con ricorsi a Roma. Intanto proprio il nunzio Nava,
che inizialmente sembrava escluso, anche per la sua indisponibilità diventò il
nuovo arcivescovo di Catania.
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