Fasci siciliani
Il rapporto della chiesa con il mondo operaio nel Messinese era
mediato ancora dalle vecchie confraternite che spesso svolgevano anche compiti
di mutuo soccorso. A partire dal 1860 si erano diffuse le società operaie che
avevano carattere di mutuo soccorso, ma in molti casi erano solo organizzazioni
di supporto ai partiti locali nella guerra per la conquista dei comuni. Per
questo motivo era possibile che alcune di queste società operaie fossero
controllate dalla massoneria, anche se i soci operai non erano iscritti alla
massoneria. La lotta della chiesa contro le sette massoniche suggeriva una certa
diffidenza da parte della gerarchia verso queste forme associative, per cui si
contrapponeva spesso alle società operaie la congregazione con scopo di mutuo
soccorso, controllata dalla gerarchia.
Non era tuttavia facile nel contesto
del cattolicesimo municipale creare una chiarificazione netta tra appartenenza
cattolica e altre appartenenze per cui sembrava normale che anche associazioni
legate alla massoneria partecipassero poi ai riti collettivi nei quali la
comunità civile e religiosa si identificava. Nel giugno 1881 un prete di
Furnari scrisse all’Arcivescovo che la società operaia del paese, legata,
secondo il prete, alla massoneria, aveva partecipato alla processione del Corpus Domini. L’Arciprete spiegò
all’arcivescovo che il municipio e la società operaia, dopo aver accolto il
deputato Sciacca con la banda musicale, erano andati alla chiesa matrice per
partecipare alla processione. L’Arciprete si era limitato a chiedere al
presidente della società operaia di non intervenire con la bandiera, ma la società
vi partecipò con la bandiera. Ora chiedeva se doveva impedire in ogni caso la
partecipazione, perché era stato accusato di essere codardo, mentre egli aveva
cercato la pace voluta dall’Arcivescovo. Guarino rispose che non si doveva
tollerare che la società intervenisse in corpo con la bandiera, non essendo una
confraternita e non avendo una approvazione dalla chiesa.246 Lo stesso
prete di Furnari comunicava all’arcivescovo che i confrati di S. Antonio erano
iscritti alla società operaia e chiedeva se doveva cancellarli da confrati.
Guarino rispose che erano da tenere d’occhio come sospetti e che se fossero
avvenuti nuovi fatti si doveva avvertire l’arcivescovo.247 A Gualtieri
invece l’arcivescovo seguì la linea dura che portò allo scioglimento della
confraternita di S. Nicolò di Bari: “per l’esperienza che ho di 21 anni di
vescovado – scriveva – cosiffatte confraternite più che scopo religioso hanno
scopo elettorale nelle mani dei partiti”.248 Il caso di Milazzo è
significativo di questa situazione. Il 21 agosto 1882 l’Arcivescovo scrisse che
gli affiliati alla massoneria non dovevano ricevere i sacramenti senza
ritrattazione. L’arciprete di Milazzo allora volle applicare la norma ai soci
della società operaia, nata nel 1880:
Si
contano – scriveva l’arciprete di Milazzo – operai, macellari, bettolieri,
bottegai. Si inculca l’osservanza dei propri doveri, onestà, rispetto,
istruzione dei figli, non delinquere, ma non la religione cattolica.249
Il fatto poi che la bandiera tricolore
aveva una stella e due mani e che si tributavano onori a Garibaldi deponeva per
il carattere massonico della società, per cui l’arciprete aveva deciso di non
ammettere ai sacramenti i soci. Il clero comunque non era compatto su questa
scelta dell’arciprete perché i soci si dichiaravano cattolici e quindi non
c’era motivo di creare una frattura.250 L’arciprete infatti nella
confessione richiedeva la ritrattazione e quando uno dei soci che doveva
sposare fu assolto da un altro prete senza ritrattazione, l’arciprete non volle
amministrare il sacramento.251 Lo stesso presidente della società si
lamentò direttamente con l’Arcivescovo di questi contrasti con il
clero.252
La direttiva dell’Arcivescovo comunque
non era rigida, ma teneva conto delle situazioni personali. Alla richiesta di
qualche altro parroco che chiedeva come comportarsi nel confessionale con gli
appartenenti alle società operaie, Guarino rispose chiarendo la linea ufficiale
della Chiesa:
Le
società operaie non sono direttamente proibite e colpite di scomunica, ma sono
colpite le società segrete e notoriamente antisociali e anticattoliche, come la
Massoneria, il Nichilismo e simili. Per gli affiliati alla società operaia
bisogna esaminare nei singoli casi dal confessore se sia oppure no il penitente
ascritto alla Massoneria. Nella ipotesi affermativa, non può assolverlo senza
chiedere da me le facoltà necessarie, avendole io dalla S. Sede. Nella negativa
può assolverlo perché non ha affatto censura qualora nella società abbia
soltanto l’intendimento del mutuo soccorso. Però è in dovere il confessore di
avvertirlo e di persuaderlo a sciogliersi perché tali società sono assai
sospette, e vanno a finire alla Massoneria.253
Nel 1884 Guarino, facendo seguito alla
Humanum genus del 20 aprile 1884
sulla massoneria, invitò i parroci a incrementare e fondare società operaie
cattoliche per contrastare quelle laiche, a inserire nelle fratellanze e nelle
confraternite il metodo delle società di mutuo soccorso, facendo obbligo ai
confrati di non partecipare a società operaie legate più o meno occultamente
alla massoneria.254
Dalle lettere di risposta
all’arcivescovo sappiamo che qualche parroco si attivò per la costituzione
delle società operaie cattoliche.255 Il parroco di Giampilieri si
mostrava preoccupato per la nascita di una società operaia civile alla quale
voleva contrapporre una di carattere confessionale e, nonostante non ci fossero
massoni, temeva il pericolo dell’errore. Si sentiva come un caporale senza
soldati che con chiarezza mette in guardia dai pericoli, per questo aveva
ricevuto minacce.256 Non pare però che la risposta fosse corale da
parte del clero, nonostante l’Arcivescovo avesse chiesto ai parroci una
relazione sulle iniziative intraprese per frenare l’avanzata della massoneria.
La crisi che aveva coinvolto
l’agricoltura siciliana provocava la nascita spontanea di fasci di contadini e
operai delle miniere,che sotto la direzione di alcuni socialisti cominciarono a
rivendicare la revisione dei patti agrari, l’accesso alle terre incolte e nuovi
rapporti di lavoro. In pochi mesi, nel 1893, i fasci si diffusero con rapidità
in tutta la Sicilia centro occidentale.
Il 10-11 novembre 1893 il giornale “La
Sicilia cattolica” di Palermo cominciò a pubblicare una serie di articoli sulla
condizione dei lavoratori delle città e delle campagne. Secondo il giornale
palermitano invece di spingere contro il governo e chiedere riforme i mestatori
avevano voluto scatenare la lotta di classe; non credeva che i fasci in questo
modo avrebbero potuto risollevare la condizione dei contadini. L’11-12 novembre
lo stesso giornale pubblicava un avviso Non
emigrate con il quale si dava notizia di una lettera dell’Arcivescovo di
New York all’Arcivescovo di Messina con la quale si consigliava agli emigranti
di non partire per il momento per l’America a causa di una grave crisi che
attraversava quel paese, per cui sarebbe stato difficile trovare lavoro per
coloro che non parlavano la lingua inglese. L’arcivescovo Guarino aveva
trasmesso questa lettera al marchese di Spedalotto, presidente
dell’Associazione S. Michele, che era nata a Palermo per l’assistenza agli
emigranti. Ma la situazione proprio in quel periodo degenerò e le truppe
spararono in diversi luoghi contro i contadini. E furono stragi e
insurrezioni.257
All’Arcivescovo do Palermo, Card.
Michelangelo Celesia, costretto a cedere alcune chiese per l’alloggio delle
truppe che il governo mandava in Sicilia per rafforzare la repressione delle rivolte
contadine dei Fasci, il 10 gennaio 1894 il segretario di stato card. Rampolla
scriveva che il papa era amareggiato e preoccupato per le condizioni attuali
della Sicilia. Soprattutto aveva “cagionato disgusto a Sua Santità – scriveva –
l’accusa che in gran parte della stampa si è voluta fare al Clero Siciliano di
non adoperarsi a trattenere le plebi da disordini ed eccessi, e di rimanere
incerti innanzi alle straordinarie commozioni tumulti uccisioni ed incendi, che
vanno accadendo”. Pur sapendo il papa che si trattava di odiosità della stampa
liberale contro il clero, riteneva opportuno che i vescovi siciliani
pubblicassero “un atto collettivo non solo per rivendicare se stessi ed i loro
subalterni del Clero dall’odiosa taccia ma per aggiungere anche altre
esortazioni alle loro greggi, onde non si lascino traviare da perfidi consigli
e non ricorrano per aver ragione delle loro legittime lagnanze a mezzi violenti
ed illegali”.258 Si rimandava comunque al prudente zelo e alla
conoscenza delle circostanze locali dei vescovi stabilire l’opportunità per
ottenere “il doppio scopo di sollevare i sofferenti, e di evitare ulteriore
spargimento di sangue ed offese alla proprietà privata e alle
persone”.259
La risposta del card. Celesia fu di
rifiuto dell’accusa contro la gerarchia e il clero sul “preteso silenzio sopra
i luttuosi avvenimenti in taluni (e non molti) Comuni dell’Isola”. Secondo
Celesia le accuse non venivano dalla stampa liberale siciliana. I vescovi di
Caltanissetta, di Agrigento, di Piazza, nelle cui diocesi si erano verificati
gli episodi di violenza erano intervenuti. La stampa cattolica non aveva
mancato “con opportuni articoli nei rispettivi giornali a dichiarare che gli
Anarchici, i Socialisti, i Radicali non hanno altro intento che demolire tutto
e tutti. Scopo principale di detti articoli – scriveva ancora Celesia – era di
raccomandare la calma, predicandosi che nel richiedersi il necessario discarico
delle tasse municipali, le quali gravitano sulla povera gente, si debba fare
uso dei mezzi legali ed onesti”.260
Sulla opportunità di un atto
collettivo dell’episcopato, Celesia, dopo essersi consultato con gli altri due
cardinali siciliani, Dusmet di Catania e Guarino di Messina, scriveva che a
loro giudizio non sembrava opportuno un tale atto per diversi motivi. Non erano
stati molti i comuni dove si erano verificati gravi fatti di violenza, la calma
già stava tornando “sia per più matura riflessione, sia per la compressione
della forza armata”.261 I cardinali erano però d’accordo che ogni
singolo vescovo nella lettera pastorale per la quaresima del 1894 avrebbe
dovuto affrontare il problema tenendo conto delle singole realtà di ogni
diocesi.262 Questa proposta ebbe l’approvazione di Roma.263
Il 14 gennaio 1894 l’Arcivescovo
Guarino, che aveva sentito da Celesia del dispiacere del Papa, scrisse al card.
Rampolla una lettera che fosse anche un motivo di consolazione per il Sommo
Pontefice. Poteva infatti annunziare che nella sua diocesi e nella provincia di
Messina non c’era stata nessuna sommossa popolare, nonostante le presenza di un
“mestatore” che aveva tentato di “catechizzare i contadini in senso
socialista”.264 Attribuiva all’azione pastorale della chiesa se non si
erano verificati i disordini che altrove avevano provocato lutti.
Io
fui sollecito – scriveva – a dare le opportune istruzioni ai curati, i quali da
loro parte fecero di tutto per disilludere gli ingenui, e la pace non è stata
turbata. A meglio poi confermarli nella buona condotta ho eretto una grande
quantità di congregazioni religiose sotto la dipendenza dei curati, i quali
hanno raccolto molta gente. Ho annesso alle congregazioni l’opera del mutuo
soccorso, e molti che prima avevano dato il nome ai così detti fasci degli operai con intendimenti
semplici, son passati alle mie Congregazioni.
Questo
espediente mi è sembrato più efficace di una Lettera Pastorale al pubblico, la
cui parola va dispersa e non bene s’intende dai contadini e dagli operai
volgari: ma per via di fatto e con istruzioni orali ai parroci e coll’aiuto
dell’associazione alla pia pratica della Sacra Famiglia si è ottenuto il bene
della pubblica quiete.265
La scelta di un intervento, mirato
alla organizzazione dei contadini e operai sotto il patrocinio della Chiesa,
poteva avere certamente la sua efficacia, a l’arcivescovo Guarino non poteva
non rendersi conto che i fattori che avevano risparmiato il Messinese dalle
agitazioni contadine e operaie erano da ricercare ancor più nella diversa
distribuzione della proprietà della terra e nei diversi rapporti tra
proprietari e contadini.
Devo
altresì questo bene – aggiungeva – alla buona indole pacifica degli abitanti di
queste contrade, dove non lamentiamo brigantaggio, sequestri di persone ed
altro simile, ed all’uso antichissimo di concedersi le terre a colonie, per le
quali la proprietà è divisa fra il proprietario ed il colono, di modo che sono
interessati a conservarla amendue: fra noi raramente un contadino non ha un
fondo da coltivare per dividere i frutti con il padrone.266
Per questi motivi Guarino diceva di
essersi astenuto dallo scrivere una pastorale, “onde non aprire troppo gli
occhi a chi li ha chiusi”.267 In ogni caso il pericolo per la sua
diocesi per ora era lontano, in quanto la propaganda socialista si era fermata
con l’arresto di alcuni esponenti del partito; esistevano tuttavia reali
problemi di miseria del popolo minuto e la malattia dell’influenza provocava
ancora mortalità.
La testimonianza dell’Arcivescovo
Guarino è molto interessante per capire come in quella occasione una fascia di
borghesia anticlericale e indifferente sul piano religioso, a causa della paura
della rivolta sociale, si avvicinava a posizioni più moderate e si poneva in un
nuovo atteggiamento nei confronti della religione e della Chiesa che venivano
visti come possibili strumenti di conservazione sociale. I Vescovi però erano
più propensi a guardare a questi cambiamenti come a una svolta positiva per la
ripresa della vita religiosa della borghesia:
In
ultimo – concludeva infatti Guarino – rassegno a V. Em. che i disturbi avvenuti
in molti comuni delle altre Provincie han prodotto il bene del rinsavimento di
parecchi rivoluzionari ed atei, i quali pronunziano il salutare ergo erravimus.268
Il Segretario di Stato, card.
Rampolla, ritenne le notizie fornite di “particolare importanza”, per cui
chiese al Guarino di poter divulgare attraverso la stampa il contenuto della
lettera che per altro poteva “essere vantaggiosa per confermare ognor meglio
che l’Episcopato ed il Clero siciliano” non erano venuti meno ai loro
doveri.269 Guarino chiese solo che per la pubblicazione venissero
eliminati i riferimenti più particolari ai “mestatori socialisti” per evitare
contraccolpi verso le opere cattoliche. La lettera così purgata venne
pubblicata da “L’Osservatore Romano” del 6 febbraio 1894 con la motivazione
espressa di richiamare i lettori “sulla ingiustizia delle accuse mosse
all’attitudine del Clero Siciliano nelle recenti commozioni di quell’isola”.
Guarino, commosso dell’approvazione
del Papa al suo metodo “per neutralizzare le insidie dei socialisti” e convinto
sempre più “che il popolo si istruisce meglio coi modi pratici anziché con le
teorie”, si sentiva ora pronto a pubblicare un riferimento a questa
problematica nella lettera pastorale della vicina quaresima.270 Nella
notificazione al clero e ai fedeli della diocesi per la quaresima infatti
scrisse:
Fra
tanti dolori intanto ci è riuscito un soave conforto vedere che il vostro buon
senso non vi ha fatto trascorrere negli eccessi che altrove abbiamo
profondamente deplorato, i quali nel furore delle accese passioni han prodotto
incendii, disastri e sangue.siate bene accorti, miei direttissimi, a non
lasciarvi illudere dalle insidie dei sobillatori maligni con false promesse di
fallace prosperità in un socialismo esiziale e in un comunismo
ruinoso.271
Più dura fu la nota del settembre
dello stesso anno, ma questa volta, oltre alla condanna dei socialisti, c’era
una condanna della bramosia di arricchimento della borghesia che era
conseguenza dell’abbandono della religione, “unica fonte di benessere e di
retta morale”:
Fa
poi spavento vedere una setta infernale, che minaccia di sconvolgere e
distruggere l’intera società. Fa orrore vedere i figli ribelli per fino
all’autorità paterna […] e darsi sfortunatamente ai vizi più abominevoli. E’
assai scoraggiante vedere il buon senso interamente spento e le idee tutte
pervertite. La cupidigia dell’oro è elevata ad altissimo grado e non si mette
scrupolo ad usare tutti i mezzi inonesti per ottenerlo.272
Anche gli altri vescovi seguirono
nelle loro lettere pastorali della quaresima 1894 i suggerimenti della
Segreteria di Stato che venivano riassunti dal card. Celesia nel dovere “di
ammonire, quietare gli animi dopo i sommovimenti popolari che erano avvenuti
qua e là di queste nostre Provincie, trattando la materia sì dal lato religioso che dal lato
sociale”273
La gioia del Papa, che la Sicilia era
tornata nella calma, veniva comunicata ai vescovi siciliani dal Segretario di
Stato.274 Che la calma fosse tornata era chiaro anche dal ritiro
dell’esercito dall’isola, per cui Celesia poteva comunicare la restituzione
delle chiese confiscate.275
La gerarchia ecclesiastica riceveva un
ringraziamento da parte del generale Morra che aveva condotto l’opera di
repressione e da tutte le autorità civili, che facevano notare “il modo
corretto e spassionato” con cui avevano trattato i Vescovi l’argomento nelle
loro lettere pastorali.276
Tuttavia è interessante, ai margini di
questa vicenda, raccogliereuna testimonianza sintomatica che vedeva i fasci
siciliani coinvolti in una rivendicazione popolare religiosa. Scriveva
all’arcivescovo il notabile N. Petrina che da Pistunina, un villaggio di 240
abitanti della diocesi di Messina, era venuta a lui una delegazione
rappresentante tutte le classi sociali per proporre la costituzione di un
Fascio di lavoratori. Uno degli obiettivi che si proponevano gli abitanti del
villaggio era quello di rimuovere con mezzi legali il cappellano. Il Petrina
raccontava che egli aveva fatto capire che questo non rientrava negli scopi del
Fascio, che anzi era proibita severamente ogni discussione riguardante
argomenti religiosi. Ma il fatto era che 4/5 della popolazione ritenevano
esiziale la presenza di quel cappellano. L’Arcivescovo stava per contentarli,
“quando bugiardamente le vennero additati – scriveva il Petrina all’Arcivescovo
– pacifici ed onesti giovani, come volgari malfattori ed oppressori della
chiesa”. La manovra presso l’Arcivescovo era stata organizzata da alcuni
proprietari che avevano terreni da quelle parti, i quali volevano svuotare
l’iniziativa politica e sociale dei lavoratori per affermare che niente si doveva
cambiare nel villaggio senza il loro consenso, “dimenticando che il vescovo
deve fare giustizia senza guardare a blasoni o a ricchezze, e che quando un
ministro della chiesa non è ben visto, la miglior cosa che possa fare è di
scuotere la polvere dei calzari e di andar via dimenticando che il fare una
questione di partito di una questione religiosa significa togliere alla
religione la sua vera essenza”.277
Guarino ringraziò il Petrina, scrisse
però di essersi convinto che si trattava di “appicchi capricciosi”. La
destituzione del cappellano sarebbe stata una sua prepotenza che gli avrebbe
cagionato infamia, per cui il cappellano avrebbe avuto il diritto di appellarsi
alla S. Sede: “ed io mi credo in capacissimo di prepotenza e di ingiustizia”.
278
E però in questo caso Guarino la
giusta preoccupazione giuridica sembrava prevalere su una soluzione pastorale
della questione.
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