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Francesco Michele Stabile
Il Card. Giuseppe Guarino

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  • Arcivescovo di Messina e cardinale
    • Fasci siciliani
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Fasci siciliani

Il rapporto della chiesa con il mondo operaio nel Messinese era mediato ancora dalle vecchie confraternite che spesso svolgevano anche compiti di mutuo soccorso. A partire dal 1860 si erano diffuse le società operaie che avevano carattere di mutuo soccorso, ma in molti casi erano solo organizzazioni di supporto ai partiti locali nella guerra per la conquista dei comuni. Per questo motivo era possibile che alcune di queste società operaie fossero controllate dalla massoneria, anche se i soci operai non erano iscritti alla massoneria. La lotta della chiesa contro le sette massoniche suggeriva una certa diffidenza da parte della gerarchia verso queste forme associative, per cui si contrapponeva spesso alle società operaie la congregazione con scopo di mutuo soccorso, controllata dalla gerarchia.

Non era tuttavia facile nel contesto del cattolicesimo municipale creare una chiarificazione netta tra appartenenza cattolica e altre appartenenze per cui sembrava normale che anche associazioni legate alla massoneria partecipassero poi ai riti collettivi nei quali la comunità civile e religiosa si identificava. Nel giugno 1881 un prete di Furnari scrisse all’Arcivescovo che la società operaia del paese, legata, secondo il prete, alla massoneria, aveva partecipato alla processione del Corpus Domini. L’Arciprete spiegò all’arcivescovo che il municipio e la società operaia, dopo aver accolto il deputato Sciacca con la banda musicale, erano andati alla chiesa matrice per partecipare alla processione. L’Arciprete si era limitato a chiedere al presidente della società operaia di non intervenire con la bandiera, ma la società vi partecipò con la bandiera. Ora chiedeva se doveva impedire in ogni caso la partecipazione, perché era stato accusato di essere codardo, mentre egli aveva cercato la pace voluta dall’Arcivescovo. Guarino rispose che non si doveva tollerare che la società intervenisse in corpo con la bandiera, non essendo una confraternita e non avendo una approvazione dalla chiesa.246 Lo stesso prete di Furnari comunicava all’arcivescovo che i confrati di S. Antonio erano iscritti alla società operaia e chiedeva se doveva cancellarli da confrati. Guarino rispose che erano da tenere d’occhio come sospetti e che se fossero avvenuti nuovi fatti si doveva avvertire l’arcivescovo.247 A Gualtieri invece l’arcivescovo seguì la linea dura che portò allo scioglimento della confraternita di S. Nicolò di Bari: “per l’esperienza che ho di 21 anni di vescovadoscrivevacosiffatte confraternite più che scopo religioso hanno scopo elettorale nelle mani dei partiti”.248 Il caso di Milazzo è significativo di questa situazione. Il 21 agosto 1882 l’Arcivescovo scrisse che gli affiliati alla massoneria non dovevano ricevere i sacramenti senza ritrattazione. L’arciprete di Milazzo allora volle applicare la norma ai soci della società operaia, nata nel 1880:

 

Si contanoscriveva l’arciprete di Milazzooperai, macellari, bettolieri, bottegai. Si inculca l’osservanza dei propri doveri, onestà, rispetto, istruzione dei figli, non delinquere, ma non la religione cattolica.249

 

Il fatto poi che la bandiera tricolore aveva una stella e due mani e che si tributavano onori a Garibaldi deponeva per il carattere massonico della società, per cui l’arciprete aveva deciso di non ammettere ai sacramenti i soci. Il clero comunque non era compatto su questa scelta dell’arciprete perché i soci si dichiaravano cattolici e quindi non c’era motivo di creare una frattura.250 L’arciprete infatti nella confessione richiedeva la ritrattazione e quando uno dei soci che doveva sposare fu assolto da un altro prete senza ritrattazione, l’arciprete non volle amministrare il sacramento.251 Lo stesso presidente della società si lamentò direttamente con l’Arcivescovo di questi contrasti con il clero.252

La direttiva dell’Arcivescovo comunque non era rigida, ma teneva conto delle situazioni personali. Alla richiesta di qualche altro parroco che chiedeva come comportarsi nel confessionale con gli appartenenti alle società operaie, Guarino rispose chiarendo la linea ufficiale della Chiesa:

 

Le società operaie non sono direttamente proibite e colpite di scomunica, ma sono colpite le società segrete e notoriamente antisociali e anticattoliche, come la Massoneria, il Nichilismo e simili. Per gli affiliati alla società operaia bisogna esaminare nei singoli casi dal confessore se sia oppure no il penitente ascritto alla Massoneria. Nella ipotesi affermativa, non può assolverlo senza chiedere da me le facoltà necessarie, avendole io dalla S. Sede. Nella negativa può assolverlo perché non ha affatto censura qualora nella società abbia soltanto l’intendimento del mutuo soccorso. Però è in dovere il confessore di avvertirlo e di persuaderlo a sciogliersi perché tali società sono assai sospette, e vanno a finire alla Massoneria.253

 

Nel 1884 Guarino, facendo seguito alla Humanum genus del 20 aprile 1884 sulla massoneria, invitò i parroci a incrementare e fondare società operaie cattoliche per contrastare quelle laiche, a inserire nelle fratellanze e nelle confraternite il metodo delle società di mutuo soccorso, facendo obbligo ai confrati di non partecipare a società operaie legate più o meno occultamente alla massoneria.254

Dalle lettere di risposta all’arcivescovo sappiamo che qualche parroco si attivò per la costituzione delle società operaie cattoliche.255 Il parroco di Giampilieri si mostrava preoccupato per la nascita di una società operaia civile alla quale voleva contrapporre una di carattere confessionale e, nonostante non ci fossero massoni, temeva il pericolo dell’errore. Si sentiva come un caporale senza soldati che con chiarezza mette in guardia dai pericoli, per questo aveva ricevuto minacce.256 Non pare però che la risposta fosse corale da parte del clero, nonostante l’Arcivescovo avesse chiesto ai parroci una relazione sulle iniziative intraprese per frenare l’avanzata della massoneria.

La crisi che aveva coinvolto l’agricoltura siciliana provocava la nascita spontanea di fasci di contadini e operai delle miniere,che sotto la direzione di alcuni socialisti cominciarono a rivendicare la revisione dei patti agrari, l’accesso alle terre incolte e nuovi rapporti di lavoro. In pochi mesi, nel 1893, i fasci si diffusero con rapidità in tutta la Sicilia centro occidentale.

Il 10-11 novembre 1893 il giornale “La Sicilia cattolica” di Palermo cominciò a pubblicare una serie di articoli sulla condizione dei lavoratori delle città e delle campagne. Secondo il giornale palermitano invece di spingere contro il governo e chiedere riforme i mestatori avevano voluto scatenare la lotta di classe; non credeva che i fasci in questo modo avrebbero potuto risollevare la condizione dei contadini. L’11-12 novembre lo stesso giornale pubblicava un avviso Non emigrate con il quale si dava notizia di una lettera dell’Arcivescovo di New York all’Arcivescovo di Messina con la quale si consigliava agli emigranti di non partire per il momento per l’America a causa di una grave crisi che attraversava quel paese, per cui sarebbe stato difficile trovare lavoro per coloro che non parlavano la lingua inglese. L’arcivescovo Guarino aveva trasmesso questa lettera al marchese di Spedalotto, presidente dell’Associazione S. Michele, che era nata a Palermo per l’assistenza agli emigranti. Ma la situazione proprio in quel periodo degenerò e le truppe spararono in diversi luoghi contro i contadini. E furono stragi e insurrezioni.257

All’Arcivescovo do Palermo, Card. Michelangelo Celesia, costretto a cedere alcune chiese per l’alloggio delle truppe che il governo mandava in Sicilia per rafforzare la repressione delle rivolte contadine dei Fasci, il 10 gennaio 1894 il segretario di stato card. Rampolla scriveva che il papa era amareggiato e preoccupato per le condizioni attuali della Sicilia. Soprattutto aveva “cagionato disgusto a Sua Santitàscriveva – l’accusa che in gran parte della stampa si è voluta fare al Clero Siciliano di non adoperarsi a trattenere le plebi da disordini ed eccessi, e di rimanere incerti innanzi alle straordinarie commozioni tumulti uccisioni ed incendi, che vanno accadendo”. Pur sapendo il papa che si trattava di odiosità della stampa liberale contro il clero, riteneva opportuno che i vescovi siciliani pubblicassero “un atto collettivo non solo per rivendicare se stessi ed i loro subalterni del Clero dall’odiosa taccia ma per aggiungere anche altre esortazioni alle loro greggi, onde non si lascino traviare da perfidi consigli e non ricorrano per aver ragione delle loro legittime lagnanze a mezzi violenti ed illegali”.258 Si rimandava comunque al prudente zelo e alla conoscenza delle circostanze locali dei vescovi stabilire l’opportunità per ottenere “il doppio scopo di sollevare i sofferenti, e di evitare ulteriore spargimento di sangue ed offese alla proprietà privata e alle persone”.259

La risposta del card. Celesia fu di rifiuto dell’accusa contro la gerarchia e il clero sul “preteso silenzio sopra i luttuosi avvenimenti in taluni (e non molti) Comuni dell’Isola”. Secondo Celesia le accuse non venivano dalla stampa liberale siciliana. I vescovi di Caltanissetta, di Agrigento, di Piazza, nelle cui diocesi si erano verificati gli episodi di violenza erano intervenuti. La stampa cattolica non aveva mancato “con opportuni articoli nei rispettivi giornali a dichiarare che gli Anarchici, i Socialisti, i Radicali non hanno altro intento che demolire tutto e tutti. Scopo principale di detti articoliscriveva ancora Celesiaera di raccomandare la calma, predicandosi che nel richiedersi il necessario discarico delle tasse municipali, le quali gravitano sulla povera gente, si debba fare uso dei mezzi legali ed onesti”.260

Sulla opportunità di un atto collettivo dell’episcopato, Celesia, dopo essersi consultato con gli altri due cardinali siciliani, Dusmet di Catania e Guarino di Messina, scriveva che a loro giudizio non sembrava opportuno un tale atto per diversi motivi. Non erano stati molti i comuni dove si erano verificati gravi fatti di violenza, la calma già stava tornando “sia per più matura riflessione, sia per la compressione della forza armata”.261 I cardinali erano però d’accordo che ogni singolo vescovo nella lettera pastorale per la quaresima del 1894 avrebbe dovuto affrontare il problema tenendo conto delle singole realtà di ogni diocesi.262 Questa proposta ebbe l’approvazione di Roma.263

Il 14 gennaio 1894 l’Arcivescovo Guarino, che aveva sentito da Celesia del dispiacere del Papa, scrisse al card. Rampolla una lettera che fosse anche un motivo di consolazione per il Sommo Pontefice. Poteva infatti annunziare che nella sua diocesi e nella provincia di Messina non c’era stata nessuna sommossa popolare, nonostante le presenza di un “mestatore” che aveva tentato di “catechizzare i contadini in senso socialista”.264 Attribuiva all’azione pastorale della chiesa se non si erano verificati i disordini che altrove avevano provocato lutti.

 

Io fui sollecitoscriveva – a dare le opportune istruzioni ai curati, i quali da loro parte fecero di tutto per disilludere gli ingenui, e la pace non è stata turbata. A meglio poi confermarli nella buona condotta ho eretto una grande quantità di congregazioni religiose sotto la dipendenza dei curati, i quali hanno raccolto molta gente. Ho annesso alle congregazioni l’opera del mutuo soccorso, e molti che prima avevano dato il nome ai così detti fasci degli operai con intendimenti semplici, son passati alle mie Congregazioni.

Questo espediente mi è sembrato più efficace di una Lettera Pastorale al pubblico, la cui parola va dispersa e non bene s’intende dai contadini e dagli operai volgari: ma per via di fatto e con istruzioni orali ai parroci e coll’aiuto dell’associazione alla pia pratica della Sacra Famiglia si è ottenuto il bene della pubblica quiete.265

 

La scelta di un intervento, mirato alla organizzazione dei contadini e operai sotto il patrocinio della Chiesa, poteva avere certamente la sua efficacia, a l’arcivescovo Guarino non poteva non rendersi conto che i fattori che avevano risparmiato il Messinese dalle agitazioni contadine e operaie erano da ricercare ancor più nella diversa distribuzione della proprietà della terra e nei diversi rapporti tra proprietari e contadini.

 

Devo altresì questo beneaggiungeva – alla buona indole pacifica degli abitanti di queste contrade, dove non lamentiamo brigantaggio, sequestri di persone ed altro simile, ed all’uso antichissimo di concedersi le terre a colonie, per le quali la proprietà è divisa fra il proprietario ed il colono, di modo che sono interessati a conservarla amendue: fra noi raramente un contadino non ha un fondo da coltivare per dividere i frutti con il padrone.266

 

Per questi  motivi  Guarino diceva di essersi astenuto dallo scrivere una pastorale, “onde non aprire troppo gli occhi a chi li ha chiusi”.267 In ogni caso il pericolo per la sua diocesi per ora era lontano, in quanto la propaganda socialista si era fermata con l’arresto di alcuni esponenti del partito; esistevano tuttavia reali problemi di miseria del popolo minuto e la malattia dell’influenza provocava ancora mortalità.

La testimonianza dell’Arcivescovo Guarino è molto interessante per capire come in quella occasione una fascia di borghesia anticlericale e indifferente sul piano religioso, a causa della paura della rivolta sociale, si avvicinava a posizioni più moderate e si poneva in un nuovo atteggiamento nei confronti della religione e della Chiesa che venivano visti come possibili strumenti di conservazione sociale. I Vescovi però erano più propensi a guardare a questi cambiamenti come a una svolta positiva per la ripresa della vita religiosa della borghesia:

 

In ultimoconcludeva infatti Guarinorassegno a V. Em. che i disturbi avvenuti in molti comuni delle altre Provincie han prodotto il bene del rinsavimento di parecchi rivoluzionari ed atei, i quali pronunziano il salutare ergo erravimus.268

 

Il Segretario di Stato, card. Rampolla, ritenne le notizie fornite di “particolare importanza”, per cui chiese al Guarino di poter divulgare attraverso la stampa il contenuto della lettera che per altro poteva “essere vantaggiosa per confermare ognor meglio che l’Episcopato ed il Clero siciliano” non erano venuti meno ai loro doveri.269 Guarino chiese solo che per la pubblicazione venissero eliminati i riferimenti più particolari ai “mestatori socialisti” per evitare contraccolpi verso le opere cattoliche. La lettera così purgata venne pubblicata da “L’Osservatore Romano” del 6 febbraio 1894 con la motivazione espressa di richiamare i lettori “sulla ingiustizia delle accuse mosse all’attitudine del Clero Siciliano nelle recenti commozioni di quell’isola”.

Guarino, commosso dell’approvazione del Papa al suo metodo “per neutralizzare le insidie dei socialisti” e convinto sempre più “che il popolo si istruisce meglio coi modi pratici anziché con le teorie”, si sentiva ora pronto a pubblicare un riferimento a questa problematica nella lettera pastorale della vicina quaresima.270 Nella notificazione al clero e ai fedeli della diocesi per la quaresima infatti scrisse:

 

Fra tanti dolori intanto ci è riuscito un soave conforto vedere che il vostro buon senso non vi ha fatto trascorrere negli eccessi che altrove abbiamo profondamente deplorato, i quali nel furore delle accese passioni han prodotto incendii, disastri e sangue.siate bene accorti, miei direttissimi, a non lasciarvi illudere dalle insidie dei sobillatori maligni con false promesse di fallace prosperità in un socialismo esiziale e in un comunismo ruinoso.271

 

Più dura fu la nota del settembre dello stesso anno, ma questa volta, oltre alla condanna dei socialisti, c’era una condanna della bramosia di arricchimento della borghesia che era conseguenza dell’abbandono della religione, “unica fonte di benessere e di retta morale”:

 

Fa poi spavento vedere una setta infernale, che minaccia di sconvolgere e distruggere l’intera società. Fa orrore vedere i figli ribelli per fino all’autorità paterna […] e darsi sfortunatamente ai vizi più abominevoli. E’ assai scoraggiante vedere il buon senso interamente spento e le idee tutte pervertite. La cupidigia dell’oro è elevata ad altissimo grado e non si mette scrupolo ad usare tutti i mezzi inonesti per ottenerlo.272

 

Anche gli altri vescovi seguirono nelle loro lettere pastorali della quaresima 1894 i suggerimenti della Segreteria di Stato che venivano riassunti dal card. Celesia nel dovere “di ammonire, quietare gli animi dopo i sommovimenti popolari che erano avvenuti qua e di queste nostre Provincie, trattando la materia dal lato religioso che dal lato sociale273

La gioia del Papa, che la Sicilia era tornata nella calma, veniva comunicata ai vescovi siciliani dal Segretario di Stato.274 Che la calma fosse tornata era chiaro anche dal ritiro dell’esercito dall’isola, per cui Celesia poteva comunicare la restituzione delle chiese confiscate.275

La gerarchia ecclesiastica riceveva un ringraziamento da parte del generale Morra che aveva condotto l’opera di repressione e da tutte le autorità civili, che facevano notare “il modo corretto e spassionato” con cui avevano trattato i Vescovi l’argomento nelle loro lettere pastorali.276

Tuttavia è interessante, ai margini di questa vicenda, raccogliereuna testimonianza sintomatica che vedeva i fasci siciliani coinvolti in una rivendicazione popolare religiosa. Scriveva all’arcivescovo il notabile N. Petrina che da Pistunina, un villaggio di 240 abitanti della diocesi di Messina, era venuta a lui una delegazione rappresentante tutte le classi sociali per proporre la costituzione di un Fascio di lavoratori. Uno degli obiettivi che si proponevano gli abitanti del villaggio era quello di rimuovere con mezzi legali il cappellano. Il Petrina raccontava che egli aveva fatto capire che questo non rientrava negli scopi del Fascio, che anzi era proibita severamente ogni discussione riguardante argomenti religiosi. Ma il fatto era che 4/5 della popolazione ritenevano esiziale la presenza di quel cappellano. L’Arcivescovo stava per contentarli, “quando bugiardamente le vennero additatiscriveva il Petrina all’Arcivescovopacifici ed onesti giovani, come volgari malfattori ed oppressori della chiesa”. La manovra presso l’Arcivescovo era stata organizzata da alcuni proprietari che avevano terreni da quelle parti, i quali volevano svuotare l’iniziativa politica e sociale dei lavoratori per affermare che niente si doveva cambiare nel villaggio senza il loro consenso, “dimenticando che il vescovo deve fare giustizia senza guardare a blasoni o a ricchezze, e che quando un ministro della chiesa non è ben visto, la miglior cosa che possa fare è di scuotere la polvere dei calzari e di andar via dimenticando che il fare una questione di partito di una questione religiosa significa togliere alla religione la sua vera essenza”.277

Guarino ringraziò il Petrina, scrisse però di essersi convinto che si trattava di “appicchi capricciosi”. La destituzione del cappellano sarebbe stata una sua prepotenza che gli avrebbe cagionato infamia, per cui il cappellano avrebbe avuto il diritto di appellarsi alla S. Sede: “ed io mi credo in capacissimo di prepotenza e di ingiustizia”. 278

E però in questo caso Guarino la giusta preoccupazione giuridica sembrava prevalere su una soluzione pastorale della questione.

 

 




246 La corrispondenza in ASF, b. XXXVII, f. associazioni sciolte, società operaie.



247 Ivi.



248 Lett. dell’arcivescovo Guarino, 17.7.1893, ivi, f. Gualtieri.



249 Lett. all’arcivescovo, 4.8.1882, ASF, XXXVII, f. Milazzo. Società Operaia Mutuo Soccorso.



250 Lett. del sac. Stefano Mantineo, 12.9.1882, ivi.



251 Lett. dell’arciprete a Guarino, 5.9.1882, ivi.



252 Lett. all’arcivescovo, 8.9.1882, ivi.



253 Lett. all’arciprete di Castroreale, che gli aveva inviato una lettera il 22.4.1883, ASF, XLV, b. 280, f. Castroreale 1. Lett. all’arciprete di Milazzo, 7.9.1882, ASF, b. XXXVII, f. associazioni sciolte.



254 Lettera pastorale del 10 agosto 1884



255 Lettere dei parroci di S. Pier Niceto, 7.9.1884, Gazzi, 9.9.1884, Tripi, 9.9.1884, ASF, b. XXX, f. 2a



256 Lett. del parroco di Giampilieri, 18.9.1884, ivi.



257 S.F. Romano, Storia dei Fasci Siciliani, Laterza, Bari 1959; F. Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, Vol II, Sellerio, Palermo 1985, pp. 192-213; S. Tramontin, L’incidenza delle agitazioni del Fasci nel movimento cattolico siciliano, in “Civitas”, 1975, n. 2, pp. 3-34.



258 Lett. del card. Rampolla al card. Celesia, 10.1.1894, Archivio Vaticano, Segreteria di stato, Rubrica 3, fasc. 1, anno 1894, foglio 139. Sulla requisizione delle chiese, lett. del card. Celesia a Rampolla, 11.1.1894, ivi, foglio 141



259 Lett. del card. Rampolla, cit.



260 Lett. del card. Celesia a Rampolla, 18.1.1894, ivi, foglio 165



261 Ivi.



262 Ivi, foglio 166.



263 Minuta di lett. Rampolla a Celesia, 20.1.1894, ivi, foglio 147



264 Lett. di Guarino a Rampolla, 14.1.1894, ivi, foglio 156.



265 Ivi.



266 Ivi, foglio 157.



267 Ivi.



268 Ivi.



269 Minuta del card. Rampolla, 24.1.1894, ivi, foglio 148.



270 Let. Di Guarino a Rampolla, 26.1.1894, ivi, fogli 154-155.



271 Notificazione per la quaresima del 1894.



272 Notificazione del 18.9.1894.



273 Lett del card Celesia a Rampolla, 2.2.1894; cf. ancora lett. dell’arcivescovo di Monreale, mons. Lancia di Brolo a Rampolla, 5.2.1894, AV., Segreteria di Stato, Rubrica 3, fasc.1, fogli 151, 158.



274 Minuta di Rampolla a Celesia, 8.2.1894, ivi, foglio 152; a Lancia di Brolo, ivi, foglio 159



275 Lett. di Celesia a Rampolla, 10.2.1894, ivi, foglio 152.



276 Lett. di Celesia a Rampolla, 11.2.1894, ivi, foglio 161.



277 Lett. di N. Petrina all’arcivescovo, datata 30.8.1893, ma di fatto del 30.7.1893, ASF, b. XXXVII,f. Associazioni sciolte, fasci siciliani.



278 Lett. 2.8.1893, ivi.






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