Difensore dei diritti della chiesa
Maturava in questo periodo nel
Guarino la convinzione di un possibile suo ruolo di mediazione come ufficiale
nell’amministrazione civile per salvaguardare il più possibile le libertà della
Chiesa. L’analisi delle carte firmate dal Guarino presso il Dipartimento per il
culto confermano le testimonianze che lo presentano come difensore della
libertà della chiesa e in modo particolare dell’autorità dei vescovi e dei beni
ecclesiastici.
Non è possibile riferire su tutta
l’attività svolta dal Guarino durante i due anni che egli passò al Ministero e
real segreteria di stato nel dipartimento ecclesiastico. Passarono sotto le sue
mani le problematiche più disparate che abbracciavano il contenzioso
ecclesiastico, la disciplina del clero, l’amministrazione dei beni
ecclesiastici, le concessioni di esecutoria alle dispense e agli atti
pontifici, le richieste di intervento per fare osservare le norme
ecclesiastiche.
Uno dei problemi più dibattuti a
partire dalla seconda metà del settecento era in Sicilia quello riguardante i
beni ecclesiastici. La monarchia borbonica, incamerando i beni gesuitici dopo
la soppressione della Compagnia di Gesù, aveva aperto la strada
all’accaparramento di essi da parte della borghesia emergente. Si trattava di
mettere in circolazione di mercato beni di manomorta, ma si trattava anche di
trovare appoggio in una borghesia capace di contrastare a favore della corona
il predominio baronale. Anche la nobiltà poteva avere interessi su quei beni se
non altro per evitare che le attenzioni della borghesia convergessero sui loro
immensi possedimenti.
Le grandi riforme non sortirono
effetti consistenti, ma corrosero di fatto il grande patrimonio ecclesiastico.
Con la venuta di Garibaldi si riapriva la lotta per la terra e molte furono le
promesse fatte ai contadini poi non mantenute. A parte le requisizioni di
chiese per alloggio dei soldati, Garibaldi impose una tassa del 2% sul capitale
della rendita imponibile degli immobili posseduti dagli enti religiosi, che
significava di fatto una forma di incameramento. L’impegno del Guarino fu
quello di non far rientrare nella tassa alcuni immobili di congregazioni dedite
alla beneficenza28.
Il compito comunque più delicato e
più rilevante in cui Guarino mostrò tutta la sua fermezza fu lo sforzo di
convincimento presso il nuovo regime prodittatoriale ad appoggiare l’autorità
dei vescovi e la disciplina ecclesiastica in un momento in cui nel clima di
libertà portato dalla rivoluzione sembrava non reggessero gli antichi vincoli
di obbedienza gerarchica e si rompevano gli equilibri della vita delle varie
comunità religiose.
Poichè a causa della mentalità
indotta dalla presenza del tribunale di monarchia sicula era normale che il
clero chiedesse l’intervento del governo per risolvere i problemi interni alle
case religiose, diventava risolutivo l’atteggiamento del nuovo
governo29. Nell’estate del 1860 la classe dirigente locale, che aveva
fatto la rivoluzione, aveva interesse ad accreditare il nuovo regime,
secondando la religiosità popolare ed evitando attriti con le autorità
ecclesiastiche. In questo clima gli interventi del Guarino trovarono più facile
accoglienza presso il governo.
Di ispirazione del Guarino dovette
essere la nota inviata all’arcivescovo Naselli di Palermo in risposta alla sua
lamentela sull’atteggiamento di parte del clero a favore della costituzione di
una legione ecclesiastica che doveva seguire l’esercito garibaldino alla
conquista di Napoli.
“Io come persona - aveva scritto
l’arcivescovo al segretario di stato Vincenzo Errante - sono disposto a soffrir
tutto, ma come arcivescovo voglio che non sia menomato il rispetto dovuto alla
podestà ecclesiastica diocesana”.
“I mutati ordini politici - rispose
Vincenzo Errante - non che guastare l’opera di nostra santa religione, mirano
all’esaltamento di essa e però al mantenimento de’ legami gerarchici che tanta
parte ne sono”30.
Questa linea era già del Guarino
prima dello sbarco di Garibaldi. Infatti nel marzo di quello stesso anno due
preti, laureati in medicina, avevano protestato presso il governo perché nella
chiesa del Gran Cancelliere veniva richiesto l’uso della veste talare per la
celebrazione della messa. Per loro una tale richiesta era solo rigorismo
giansenista. Il Guarino, seguendo la prassi, dopo aver chiesto informazioni
all’arcivescovo di Palermo sulla legislazione vigente in diocesi, scrisse al
Luogotenente perché intervenisse a tutelare il diritto ecclesiastico, dal
momento che quelle norme erano state volute dai vescovi nella congregazione
generale del 1850 e approvate dal re:
Vostra Eccellenza nella sua saviezza comprenderà di
leggieri che essendo quelle statuizioni sancite dalla Maestà del Re, essendo
alla Sovranità confidato il debito d’invigilare sulla scrupolosa osservanza di
ogni maniera di Sacri Canoni, sarebbe grandemente opportuno che si richiamasse
in vigore la regola [della veste talare] sì che i contravventori vi si
sottoponessero, né i restii avessero adito a richiamarsene.31
E qualche tempo dopo, a nome del
governo prodittatoriale, quando il giudice di monarchia chiese l’intervento del
governo, lamentando la indisciplina dei frati minori conventuali di Trapani, “i
quali - scriveva - profittando della natura dei tempi si impegnano senza alcun
freno di vivere liberi della libertà del secolo”, Guarino fece rispondere dal
segretario di stato di “apprendere con grave rincrescimento i disordini di
coloro, che destinati dal cielo alla morale educazione del popolo, se ne fanno
invece corruttori coll’esempio tristissimo di riluttare alla legge e
all’autorità”32.
Così pure a un frate crocifero che
accusava di arbitrio i frati della sua provincia monastica, faceva scrivere dal
segretario di stato al governatore della provincia di Girgenti che “il governo
non tollera[va] l’insubordinazione”. Che il frate quindi prima si recasse al
luogo dove era stato designato e dopo muovesse ricorso contro i superiori
presso il giudice di monarchia33.
La difesa dell’autorità dei vescovi
e dei superiori religiosi non era però senza discernimento. Egli indirizzava
l’intervento del governo come elemento di equilibrio e di giustizia. Il 3 marzo
1860 il direttore di polizia borbonica Maniscalco inviò al direttore del
dipartimento di grazia e giustizia per gli affari ecclesiastici una richiesta
dell’arcivescovo di Siracusa contro tre preti accusati di aver pubblicato
libelli infamatori contro l’arcivescovo e due parroci, nella quale chiedeva per
due di essi la relegazione nel convento di Gibilmanna. La bozza di risposta
dell’8 marzo, scritta dal Guarino, è interessante: libelli e fatti descritti
nella richiesta dell’arcivescovo meritano punizione, “ma non posso tacerle -
scriveva il Guarino - come la mia coscienza non possa tranquillamente ritenere
con assoluta certezza reo di quelle indegne cose il Sac.te d. Benedetto
Monforte dappoiché venia egli ammesso dall’ordinario Diocesano ad un concorso
parrocchiale, e non ebbe la prima sospensione a divinis, che quando mosse
reclamo al Real Governo per richiamarsi gli originali del concorso. Da quell’incidente
in poi cominciarono le varie voci della condotta del Monforte e i di lui
castighi”. Riteneva inoltre il Guarino che da prove esistenti nel dipartimento
su svariate materie c’erano forti ragioni per ritenere che l’arcivescovo fosse
condizionato da gente che l’accerchiava. D’altra parte se la polizia aveva
elementi di prova, la pena della reclusione a Gibilmanna era poco
rilevante34.
Indipendentemente quindi dal regime politico,
il Guarino perseguiva all’interno della sua concezione regalista un piano di
consolidamento del sistema ecclesiastico. A suo modo portava avanti una sua
riforma disciplinare del clero secondo un modello tridentino, ma riteneva
ancora indispensabile compito del governo “d’invigilare sulla scrupolosa
osservanza di ogni maniera di Sacri canoni”35.
Nel 1862 veniva approvata la legge
proposta da Simone Corleo per la censuazione forzata e redimibile dei beni
ecclesiastici, che, pur rimettendo in circolazione i beni di manomorta,
escludeva i contadini a favore dei possessori di capitali. Nell’estate la crisi
di Aspromonte favoriva gli interventi repressivi del governo nei confronti
delle opposizioni, tra le quali veniva ora compreso il clero.
Si concludeva ormai l’esperienza di
autonomia limitata espressa dalla Luogotenenza. Si indeboliva così anche la
tradizione giuridica ecclesiastica e dei suoi istituti quali il ministero del
culto e il tribunale della regia monarchia. Il centralismo italiano della
destra applicava ormai criteri genericamente nazionali che allentavano i
controlli più squisitamente religiosi, accentuando invece quelli politici. Alla
fine del 1862 la Luogotenenza veniva infatti abolita e le province siciliane
venivano equiparate a tutte le altre nella diretta dipendenza dal governo
centrale del paese che era ancora a Torino. Gli uffici dei vari ministeri
siciliani vennero smobilitati; gli impiegati nel febbraio 1863 in parte vennero
trasferiti, in parte vennero messi in disponibilità o buttati nel lastrico.
Tra gli impiegati del ministero di
grazia e giustizia e del culto messi in disponibilità troviamo il nostro
canonico Guarino. In una nota del 14 settembre di quell’anno troviamo infatti
elencato senza destinazione il Guarino al quale come capo sezione spettava uno
stipendio annuo di £ 4.000 che però gli veniva pagato solo per metà, essendo
messo in disponibilità36.
Guarino tuttavia nel settembre 1863
prestava servizio nella procura generale del re presso la corte di appello di
Palermo nell’ufficio di nuova creazione dell’exequatur.
Quella destinazione, voluta dal ministero di grazia e giustizia, era
un’assegnazione provvisoria in attesa di una sistemazione definitiva. Alla
richiesta del prefetto di Palermo sulle possibili assegnazioni degli impiegati
dell’ex ministero di grazia e giustizia e del culto nei ruoli di magistrati o
di segretari presso la corte di appello, il procuratore generale N. Maurigi
rispose di essere propenso a un inserimento di questi impiegati nel ruolo di
segretari per le loro capacità e professionalità, ma eccettuava il Guarino per
le sue qualità intellettuali.
Beninteso - continuava - che siffatte mie
osservazioni non si estendono al can. Guarino di cui son note abbastanza le
eminenti qualità intellettuali, e le positive conoscenze in diritto canonico
per le quali è stato dal R. Governo addetto esclusivamente all’importante
servizio del R. Exequatur.37
Dal quadro di servizio del Guarino
che accompagnava la lettera del procuratore risulta che in quel periodo egli
già viveva con la madre settuagenaria. Nella colonna “desideri dell’impiegato”
leggiamo: “Rimanere all’ufficio in cui trovasi destinato con Regio Decreto”. Il
desiderio del Guarino veniva appoggiato dal procuratore generale presso la
corte di appello N. Maurigi, come risulta dalla lettera al prefetto e come
viene ripetuto nella colonna informativa sulle attitudini del
Guarino38.
Che succede dopo? Perchè lascia
definitivamente l’impiego? Che altri fatti sono sopravvenuti? Che valore ha la
testimonianza del nipote su promesse di pensioni o abbazie e sul rifiuto di
andare a Torino? da dove risulta?
Sappiamo solo che in sei anni vide
morire diversi suoi familiari. Scriveva nel 1883 al sac. Vincenzo Mucoli che
aveva perduto la madre:
Ne sono afflittissimo, e posso ben considerare
l'amarezza del suo cuore io che in sei anni vidi sparire la mia famiglia,
padre, madre, sorella, fratello, tutti gli zii paterni e materni! Ma che fare,
mio caro figlio? Si adoperi a trarne abbondante conforto dalle Piaghe amorose
del Signor nostro Crocifisso e dalla nostra cara Madre Addolorata. La dipartita
della madre lascia più profonde nel nostro cuore le impressioni del dolore: è
quella della madre la figura più
amabile che resta impressa nel nostro spirito: ma Iddio non fa eccezioni alle
sue leggi, e ci è mestieri adorare in silenzio e con umile e dolce
rassegnazione la sua adorabile volontà sempre santa, sempre provvida, sempre
amorosa, perché Egli è per essenza santo, provvido, amoroso, e non cerca che il
nostro meglio e la nostra santità.39
|