Il Boccone del Povero
Una predilezione particolare il
Guarino l'aveva certamente per Giacomo Cusmano. Bisogna leggere gli appunti
scritti dal Guarino come testimonianza sulla vita del Cusmano per renderci
conto dei legami profondi che univano questi due uomini101.
La situazione creatasi dopo la
rivoluzione del 66 e il colera del 1867
evidenziò le piaghe di una città che non riusciva ancora a decollare,
nonostante le promesse della vigilia dell’unificazione. La povertà era tale in
alcuni strati della popolazione che i casi di morte per fame diventarono tanto
frequenti che la stampa non poteva non segnalarli. Il giovane medico, che era
diventato prete, Giacomo Cusmano, il quale sentiva la vocazione a donarsi ai
poveri, finalmente ottenne dal suo direttore spirituale il can. Domenico Turano
di poter iniziare il suo ministero fondando l’Associazione
del Boccone del Povero. Il voler tornare alla carità dei primi
cristiani, il coinvolgimento di tutte le componenti ecclesiali nella carità
come soluzione dei problemi ecclesiali e civili, la condivisione tra ricchi e
poveri entusiasmarono il Cusmano e con lui un gruppo di preti che lo aiutarono
con la benedizione dello stesso arcivescovo Naselli102. Un ruolo non
certamente secondario ebbe il canonico Guarino in questa associazione:
Allo zelo delle anime accoppiava bellamente la carità
verso i poveri - scriverà più tardi uno di quei preti, il can. Pennino -. Si
accompagnò quindi e diede efficacissimo aiuto a quel servo di Dio che fu il p.
Giacomo Cusmano, fondatore della benemerita Associazione del “Boccone del
Povero” [...]. Era bello vedere il nostro Guarino, nei primordi di quella pia
Istituzione, aggirarsi per le botteghe de’ mercati, per le case delle agiate
famiglie a dimandare il boccone pe’ poveri, e fare così una buona colletta di
generi alimentari per essere distribuita in sulla sera, ai poveri
derelitti.103
Lo stesso Guarino scriverà:
Io non era soltanto Consigliere, ma uno dei sacerdoti
addetti al servizio materiale di questa grande Opera. Il giorno del mio
servizio era la domenica, e in questo tempo avvenne un fatto che mi sorprese;
presentandomi per fare la divisione ai poveri, una delle mie domeniche, trovai
che in quel dì nulla, affatto nulla i famuli avevano trovato per i Poveri nelle
loro ricerche, la qual cosa il Sac. Cusmano mi annunziava dolente. Dunque - esclamai
afflitto - oggi i poveri rimarranno digiuni? È un dolore - rispose il fondatore
- ma come si fa? Chiamai i famuli e fattili inginocchiare innanzi l’umilissimo
P. Cusmano, lo pregai di benedirli e mandarli in nome di Dio. Egli riluttava
nella sua grande umiltà e voleva li avesse benedetti io. Ripregato da me,
condiscese. Attesi una oretta appena, e tornarono i famuli così carichi da non
portare di più, e distribuii abbondante cibo a ben 120 famiglie. Io era sicuro
dell’esito, perché aveva gran fede nella singolare virtù del P. Cusmano, e
Iddio volle che quella volta ne fossi il testimonio.104
Nel 1869 il Guarino era ancora
consigliere dell’Associazione, ma godeva tale prestigio che il consiglio lo
invitava a presiedere le riunioni settimanali in assenza del
vicepresidente105.
Nel 1870 si era aperta da tre mesi
la casa dei poveri, ma il Cusmano era rammaricato che ancora il nome di S.
Giuseppe non risuonava nella loro bocca, perché la casa non era stata ancora
dedicata e posta sotto la protezione del Santo. Invitò perciò il Guarino come
la persona “più adatta e più degna”, a farsi carico di raccogliere fondi e
organizzare la solennità con messa, panegirico e pranzo per i poveri.
La squisita devozione che verso questo santo la distingue,
- gli scriveva - l’impegno che ha di promuovere l’opera nascente, il nome
bellissimo che fu imposto nel santo battesimo sono la guarentigia più sicura
che la cosa andrà senza stenti e senza straordinaria fatica di V.
R..106
Il Guarino preparò una circolare da
inviare a un gruppo di commercianti e benefattori, ma non pare che si
ottenessero i fondi necessari. Allora la vigilia stessa della festa invitò i
preti questuanti dell’Associazione a recarsi l’indomani per la questua del
pesce per non rischiare di vanificare il pranzo dei poveri107.
L’amicizia con Giacomo Cusmano durò
per tutta la vita. L’esperienza del Boccone del Povero lasciò il segno nella
vita del Guarino e a questa esperienza bisogna guardare per capire le scelte
che farà da arcivescovo di Messina. Nel 1887 scrisse al suo "amatissimo P.
Jacuzzu, come chiamava affettuosamente il p. Cusmano, che aveva già fondato i
Missionari Servi dei Poveri:
L'anima mia è piena di gioia, né so come esprimerla.
La benedizione dell'Eminentissimo Card, Arcivescovo [Celesia] nella casa dei
suoi Missionari mi ha prodotto una impressione così viva e profonda che il mio
cuore ribocca di allegrezza. Ah! potessi benedire anch'io i cari Missionarii:
ma le gioie del vescovado non sono per me: io non devo che portare una croce
pesante, vivere di amarezza e camminare sulle spine. Però di tutto lodo e
ringrazio il Signore, perché è grande misericordia tenermi in continua
penitenza. [...] lasci , mio dolce amico, ch'io l'abbracci col più tenero affetto
coi singoli suoi Missionari, e che a tutti dia il bacio della consolazione e
della pace. Benedica Iddio la loro vocazione e la confermi! benedica le loro
opere sante, la loro povertà evangelica, i loro viaggi, i loro stenti, il loro
zelo, la loro operosità! 108
Dopo aver affermato di invidiare il
canonico Francesco Mammana che aveva lasciato il capitolo della cattedrale di
Palermo per seguire il Cusmano, Guarino esprimeva con una punta di nostalgia:
Dica un poco: la Congregazione dei Missionari del Boccone del Povero riceve vescovi, i quali non stanchi del Cholera, ma riconoscendosi
inutili nel vescovado e forse anche
nocivi, vogliono addirsi alle missioni e cedere il vescovado? E nella ipotesi
affermativa, potrei sperare un voto favorevole del Fondatore e dei Padri?
Amerei meglio cingere ai fianchi una corda e prendere in mano il bordone, e
deporre il Pastorale e la croce di oro, anziché regere e governare. Come le
sembra? Padre Jacuzzu miu veda che può
fare: mi raccomando a Lei.109
E continuando con il tono scherzoso, giocava
con i suoi amici di un tempo:
Non senta quel birbante di Pennino, perché
guasterebbe tutto. Intorno a me non
prenda da lui informazioni, mel faccia per carità - mi rovinerebbe senza buone
ragioni: e sa perché? Perché gli ho dato or ora quattro palmate, e mi fa
impertinenze senza fine anche faccia a faccia. Un pò dell'antico P. Guarino ci
vuol sempre: non è vero? Costui non invecchia mai ad onta di tutti i cholerosi
del mondo. Ma sta ai patti ed ubbidisce: ella non tema ad accettarlo. Stia in parola.110
La risposta del Cusmano si fece
attendere, ma fu pari all'affetto del Guarino. Diceva che la lettera del suo
"padre" aveva fatto scuotere dal letargo in cui era sprofondata
l'anima sua "come stupefatta dalle divine misericordie e annientata per le
continuate ingratissime corrispondenze":
Ribbocca di allegrezza il Suo cuore, ed io la sento
perché è arrivata sino al cuor mio, a questo cuore paralitico per l'amore di
Dio, mentre per se stesso mostra vere ancora molta attività: l'ho sentita direi
nella causa che l'ha prodotta nello aggraziato cuor Suo per avere concorso col
Suo zelo verace a generare nello spirito del Signore. Si allieti adunque, o
Padre nostro carissimo, guardandoci come frutto del Suo zelo per la grazia di
Dio che ci ha portato fin qui, ma non ci guardi da lontano, da dove tutto
sembra bello ed ammirevole. Ella vede in noi quello che ha fatto e che fa Dio,
ma non può vedere quello che siamo noi e quanto bisogno abbiamo delle Sue paterne
premure. Venga, si avvicini un momento; venga per poco a rinfrancare la Sua
casa, donde per arcana disposizione di Dio si è dovuto materialmente
allontanare, affidandola a colui che non ha saputo custodirla. Non siamo noi
che dobbiamo conservarle una cella, ma è L'Ecc. V. che deve esaminarci se siamo
degni di salirne le scale. Una sua visita , in questo momento di formazione,
non che utile ma necessaria devo chiederla dinnanzi al Signore, ed io ne lascio
tutto il peso alla Sua intemerata coscienza. [...] Sua è questa casa, Sua è
l'opera che ammira in noi, Suoi siam noi stessi, e potrebbe dirsi un vero
abbandono se pur ritarda a venire.111
La grande capacità di ascolto e di comprensione
e il prestigio culturale del Guarino ridavano pace e serenità al Cusmano e a
quei giovani preti palermitani che si scontravano con una dura realtà. Di essi
ebbe sempre stima e venerazione, ammirazione ed affetto. Alla morte del p.
Cusmano non ebbe dubbi a paragonarlo a don Bosco.112 E qualche anno
dopo la morte scriveva:
Io che lo seguii con grande attenzione in tutti gli
stadii della sua purissima vita, confesso che non mai conobbi un Sacerdote più
zelante, più amabile, più santo di Lui.113
Il Cusmano è stato dichiarato beato.
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