Arcivescovo
di Siracusa
L’elezione
Alla
fine del 1871 la Santa Sede passò alla nomina delle sedi vacanti siciliane.
Furono scelti nomi di provata fede romana nella cerchia del clero palermitano:
per la sede di Girgenti (Agrigento), Domenico Turano, per quella di Noto, Benedetto
La Vecchia Guarneri, per Caltagirone, Antonino Morana, per la sede di Siracusa
fu nominato il nostro Giuseppe Guarino.
Con
queste nomine la Santa Sede approfittava delle leggi delle Guarentigie per
procedere alla elezione dei vescovi nelle sedi vacanti alle quali, per evitare
di riconoscere il nuovo governo italiano e una sua possibile intromissione, non
si era provveduto. Queste nomine si facevano ora con libera designazione da
parte della Santa Sede, senza riconoscere il diritto di patronato del governo
italiano che succedeva al governo borbonico, il quale aveva diritto di
presentazione dei vescovi, sancito anche dal concordato del 1818. Pur non
essendo accettate dal Vaticano, le Guarentigie ispiravano il comportamento del
governo italiano e da questa situazione il Vaticano ne voleva trarre tutti i
vantaggi possibili per la sua autonomia nelle nomine dei vescovi, soprattutto
perché il governo con questa legge aveva ufficialmente rinunziato a rivendicare
i diritti di Legazia Sicula e del Tribunale di Monarchia in Sicilia, dopo che
ufficialmente erano stati soppressi dalla Santa Sede nel 1867. Ma non era così
chiaro che lo stato italiano volesse rinunziare ai diritti di regalia
soprattutto per le nomine dei vescovi e per il controllo delle mense vescovili.
La tradizione regalista era ancora forte nella tradizione meridionale e poteva
servire come elemento di pressione nei confronti della politica vaticana.
Dopo
circa quattro anni di sede vacante della diocesi di Siracusa per la morte di
mons. Angelo Robino, la successione di Siracusa non era facile. Siracusa era
diocesi molto vasta e anche molto tormentata dai cambiamenti rivoluzionari. La
diocesi aveva 21 città e paesi, nonché due villaggi, con circa 160 mila
abitanti. Oltre al capitolo metropolitano esistevano 6 collegiate e una
“comunia”. Le parrocchie erano 30, alle quali erano da aggiungere 265 chiese
non curate. I conventi maschili, che prima della soppressione erano 46, non
esistevano più; dei 20 monasteri femminili ne rimanevano 12 e dei 5 collegi di
Maria ne rimanevano 4. Non mancavano le opere pie (7 ospedali, 4 orfanotrofi, 1
monte di pietà, 2 eremi), che ricadevano sotto la giurisdizione delle
Congregazioni di carità regolate dal governo regio, dopo che era stato sciolto
il Consiglio degli Ospizi, istituito dai Borboni1. La città di Siracusa
nella relazione della congregazione dei vescovi viene presentata come una città vastissima con circa tremila case e
15.000 abitanti; cattedrale e palazzo arcivescovile in buone condizioni e ricchi
di reliquie specialmente quelle di S. Lucia e di S. Marciano vescovo. La
parrocchia della cattedrale era curata da preti eletti dal capitolo. Altre sei
parrocchie, undici conventi maschili, ormai disciolti, e sette monasteri
femminili, molte confraternite di laici, due conservatorii, un ospedale, un
monte di pietà e un seminario completavano la geografia religiosa della
città2. Ma esistevano in diocesi altri centri non meno grandi di
Siracusa: Augusta, Ragusa, Comiso, Vittoria, Lentini.
A
questa diocesi venne proposto Giuseppe Guarino che, secondo il processo, curato
dall’uditore Salvatore Maria Segretti, era persona degna di essere consacrata
arcivescovo perché si era segnalato, oltre che per il suo curriculo di servizio
presso la Monarchia Sicula e il Ministero del culto, da cui si era dimesso, per
l’impegno nella predicazione, nelle confessioni, per dottrina, prudenza,
probità di costumi3.
Nei
primi di dicembre 1871 l’arcivescovo di Palermo mons. Michelangelo Celesia
consegnava al Guarino la lettera di nomina ad arcivescovo di Siracusa che
recava la data del 3 dicembre. Interessante per capire l'animo del Guarino, il
racconto fatto nel 1897 da mons. Bernardo Cozzucli, vescovo di Nicosia, che al
tempo della nomina del Guarino ad arcivescovo di Siracusa era segretario
dell'arcivescovo Michelangelo Celesia:
Da Roma arrivò il biglietto
dell'Uditore Sanctissimi , che al
canonico Guarino partecipava l'elezione fattane dal S. Padre alla Sede
Arcivescovile di Siracusa. Un mio biglietto per incarico avutone dal Celesia
invitava il Guarino a favorire per un affare che lo riguardava. La dimane il
Guarino fu dall'arcivescovo, e sentito di che si trattava ne ebbe grande
sconforto, e dopo aver lottato per la rinunzia, ma invano, venne di presenza da
me che me ne stava a scrivere nella modesta cameretta del Seminario ove allora
io abitava. Io che faceva bene a confidenza con lui e che molto aveva da fare
non cessai di scrivere, ed egli ritenendo bene o male non so, che io avessi
avuto qualche particina di complicità nella cosa, e tacciarmi di falso amico e di traditore perché ne
volli l'eterna rovina, essendo lui immeritevole della carica di Pastore. E ci
volle del bello e del buono perché io lo avessi calmato, richiamandolo a
considerare ciò che nella sua umiltà più non comprendeva, che cioè chi viene
chiamato da Dio riceve da Dio le grazie necessarie per l'ufficio cui viene
destinato.4
Guarino, pur ringraziando e rinnovando
fedeltà, scrisse però al papa l’11 dicembre che “per impellenti e personali
motivi” della sua coscienza non poteva accettare quell’ufficio pastorale.
Sperava che “l’Infallibile del cielo colle sue ispirazioni potesse far
conoscere “all’Infallibile della terra che non affatto per indocilità di mente,
la quale sarebbe intollerabile delitto, ma per vera necessità”, egli
rinunziava. “Ma è una necessità ineluttabile e precisa della mia coscienza alla
quale non posso resistere” precisava poi all’uditore di S.S. che aveva
comunicato a Celesia la notizia della nomina: gli doleva di aver scelto una
condotta che in quei tempi poteva essere interpretata in modo diverso dalle
vere motivazioni che l’avevano suggerita. Alludeva forse al fatto che per il
suo passato, legato al giudice di monarchia sicula e al governo italiano,
potesse essere interpretato il suo gesto come un rifiuto per motivi ideologici
e non per motivi di coscienza?5. Più apertamente espresse il motivo
delle sue titubanze di fronte alla elezione al vescovado nella prima pastorale
rivolta al capitolo, al clero e al popolo di Siracusa:
Al primo annunzio inatteso di
questo tratto di clemenza del Beatissimo Padre, Rettore Supremo della Chiesa di
Dio, caddi in isgomento inesprimibile; e la mia coscienza così aspramente
rimproverava a me stesso la mia indegnità, da riuscirmi impossibile il
resistere [...] Era mestieri, dilettissimi, che venisse dall’alto la pace al
mio cuore; e non venne che per la voce autorevole di Colui, che sostenendo
sulla terra le vesti del Dio del cielo, m’impose di sottomettermi con cieca obbedienza alla volontà del Signore.6
Infatti
il 31 dicembre la risposta del segretario di Stato card. Antonelli era stata
chiara:
La Santità Sua peraltro non
crede di dover recedere dalla presa risoluzione e confida che sottomettendosi
con cieca obbedienza alla volontà del Signore, potrà Ella sostenere con
vantaggio della chiesa e pel bene dei fedeli il grave e difficile incarico che
Le si volle affidare.7
L’8
gennaio 1872 Guarino si sottomise all’obbedienza:
Resistere al volere supremo del
Vicario di Gesù Cristo sarebbe una indegna e scandalosa temerità; né saprei,
anche a costo della morte, menomamente contristare il cuore amabilissimo del
Padre comune dei fedeli. Mi rassegno adunque ben volentieri alla volontà del
Beatissimo Padre, che reputo volontà di Dio, e supplico l’Eminenza Sua R.ma a
farmi grazia di umiliare al trono augusto di Sua Santità l’atto della mia cieca
sommissione colla preghiera di mandarmi l’apostolica benedizione.8
Qualche
anno dopo egli stesso, ricordando, dichiarava che “l’animo avvilito e stanco
non trovò forza e tranquillità che nell’obbedienza alla voce di Colui che
annunziava gli oracoli del Cielo”9.
L’1
marzo inviò un indirizzo di piena sottomissione alla Sede Apostolica, mettendo
se stesso e il suo passato sotto la protezione del card. Antonelli, “perché si
degni confortarmi - scriveva - nel promuovere la gloria di Dio, la cieca
amorosa obbidienza dovuta alla S. Sede apostolica, e l’indipendente libertà
della Chiesa”, secondo le disposizioni ricevute da Roma sui rapporti che i
vescovi, consacrati dopo le Guarentigie, dovevano tenere verso il
governo10.
La
consacrazione episcopale avvenne in Palermo il 17 marzo 1872 dalle mani di
mons. Michelangelo Celesia, arcivescovo di Palermo e dei concelebranti mons.
Blundo, vescovo di Cefalù e mons. Cirino, vescovo titolare di Derby. Con lui
vennero consacrati mons. Domenico Turano, vescovo di Girgenti (Agrigento),
mons. Benedetto La Vecchia Guarneri, vescovo di Noto, mons. Antonino Morana,
vescovo di Caltagirone.
Il
22 marzo prese possesso della sua diocesi per procura al ciantro don Gaetano
Bonanno, che era stato vicario capitolare. Il 17 aprile fece il suo ingresso in
diocesi accolto alla stazione dal capitolo, dal clero, dalle confraternite e da
numerosa popolazione. Nell’allocuzione al clero e al popolo, secondo quanto
veniva riferito dal ministro degli interni, il nuovo arcivescovo manifestò di
“volersi tenere strettamente nel terreno della religione e della
morale”.11
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