Il
ministero del vescovo
La
frase di apertura della prima lettera pastorale del Guarino, che riporta la
stessa data della sua consacrazione, ci dà la consapevolezza di fede profonda
con cui egli visse quel momento:
Appena diffusa nel mio cuore la
carità di Dio per mezzo dello Spirito Santo, con amorosa impazienza mi presento
a voi per lettera, miei carissimi Fratelli, e Figlioli in Gesù
Cristo.12
Dopo
aver affermato che Dio si serve delle cose ignobili per far splendere la sua
gloria, fece quasi una dichiarazione programmatica sulla figura del vescovo,
citando il concilio tridentino che presenta l’episcopato non come un beneficio
di cui godere, ma come un servizio da prestare alla chiesa di Dio: "Non
son chiamati i vescovi al proprio vantaggio, alle ricchezze, al lusso, sì bene
al travaglio e alle sollecitudini”.
Seguendo
san Giovanni Crisostomo, i vescovi vengono definiti dal Guarino colonne della
chiesa, governatori che additano la via retta, pastori che disperdono i lupi e
salvaguardano le pecore, aratori che estirpano le spine dal campo della chiesa,
vignaiuoli che sradicano le lambrusche e piantano il seme della pietà. La
visione negativa del mondo moderno faceva del vescovo soprattutto un difensore
del gregge:
E perché riesca a rendervi
sicuri dagli agguati della perfidia di una filosofia menzognera e fatale, e dal
fascino di una vanità che seduce, uccide e passa [...] pregherò di continuo lo
Spirito Settiforme a concedermi il dono della sapienza per voi.13
Al
capitolo metropolitano, senato del pastore, raccomandava di essere luce per il
vescovo e per il popolo; ai parroci e curati chiedeva fortezza e coraggio e la
cura delle anime attraverso i sacramenti e la parola; ai preti zelo e scienza
per fare da diga all’ondata della miscredenza; alle vergini consacrate di
essere olocausti per la conversione dei peccatori e infine al popolo cristiano
di conservare intatto il deposito della fede.
Avviandosi
alla conclusione accennava alla devozione al Cuore di Gesù, alla Madre Maria, a
S. Giuseppe, ai Santi Marciano e Lucia. Chiedeva preghiere per Pio IX, per
l’arcivescovo Celesia, a cui rimaneva molto legato, e per se stesso onde
ottenere “lo zelo operoso di S. Carlo Borromeo, e la dolce pazienza di S.
Francesco di Sales, e il discernimento perfetto del S. Dottore Alfonso de
Liguori, tre modelli perfettissimi di vita pastorale”, che egli sceglieva per
protettori.
Guarino
delineava attraverso i suoi modelli episcopali (S. Carlo Borromeo, S.
Francesco di Sales, S. Alfonso de Liguori ai quali è da aggiungere S. Vincenzo
de Paoli, anche se non era un vescovo) i motivi ispiratori della sua azione
pastorale. Il modello pastorale è quello tridentino che si rifà soprattutto ai
canoni sinodali di S. Carlo Borromeo, ma lo spirito con cui vuole attuarli è la
dolcezza e la pazienza di S. Francesco di Sales unite alla pietà affettiva di
S. Alfonso de Liguori, aliena anche in campo morale da ogni atteggiamento
rigorista di origine giansenista e regalista. E d’altra parte era proprio del
suo carattere e della sua formazione il bisogno di razionalizzare il sistema
ecclesiastico diocesano secondo norme precise e rispettose del diritto
canonico, che evitassero eccessi di soggettività sia nelle interpretazioni sia
nelle forme di vita disciplinare e di pietà. Si doveva rendere più compatto e
omogeneo il clero che per tanti aspetti era indisciplinato e riottoso e
impegnarlo in attività pastorali senza lasciarlo traviare dalle nuove idee
politiche e senza asservirlo ai notabili del luogo, e c’era bisogno di nuove
forme di pietà e di nuove iniziative pastorali per salvaguardare e difendere la
fede del popolo e liberarlo da incrostazioni superstiziose e da abusi morali.
Il primo impatto con la diocesi, senza vescovo da quattro anni, fu penoso per
il Guarino:
Mons. R.mo - scriveva circa un
mese dopo a Celesia -, molto travaglio ho trovato qui. Per l’amor di Dio preghi
per me, onde ottenermi forza e pazienza. In certe congiunture ho innanzi agli
occhi l’esempio suo, e procuro d’imitare la sua dolcissima longanimità. [...]
Dei parroci nessuno faceva al popolo l’istruzione catechistica, né istruiva i
fanciulli nei rudimenti della fede cattolica. I preti tra buoni e cattivi son
vissuti alla buona di Dio, o meglio alla carlona. Mano mano procurerò
d’aggiustare ogni cosa. Sto formando un libro sullo stato della Diocesi, onde
avere una informazione preventiva, e poi aprire la visita con maggiore
facilità.
Sto attivandomi pel Seminario,
non ho trovato alcun chierico. Viva Dio. Confido nell’aiuto del Signore. Ma
deh! quanta distanza tra me e S. Marciano! E intanto V.E. R.ma mi chiama
degnissimo di lui successore! Sia fatta la volontà di Dio!14
E
qualche giorno dopo confidava sempre al suo caro maestro Celesia:
Quante spine trovo qui, Mons.
Ecc.mo! che ignoranza! V’ha dei comuni in Diocesi ove con dolore dee tollerarsi
che qualche prete dica messa. Dio mi ajuti.15
Il
27 aprile 1872 inviò la sua prima notificazione alla diocesi con la quale
invitava i fedeli a celebrare solennemente il mese di maggio in onore di Maria,
accostandosi alla mensa eucaristica:
Inteneriti e commossi dalle
dimostrazioni del vostro filiale affetto non sapremmo meglio manifestarvi la
nostra riconoscenza, che invitandovi a partecipare con Noi alla mensa del
divino Agnello, nella quale gusteremo il pane della vita e della intelligenza,
ed il vino soave che fa germogliare le Vergini. No, amatissimi figliuoli, non
avremo giammai nella vita giorni più lieti di quelli, nei quali ci sarà dato
vedervi attorno l’ara del Signore, per ricevere dalle nostre mani le Carni
immacolate dell’amoroso Gesù. [...] Deh! venga Gesù Sagramentato ne’ vostri
cuori a deporvi il germe della immortalità e della risurrezione, e a stabilirci
il trono della Clemenza, e della sua Bontà.16
Il
primo atto evidenziava chiaramente le sue scelte e la centralità che egli
intendeva dare alla Eucaristia e alla Madre di Dio nella cura della pietà
popolare.
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