La
visita pastorale
Preparatosi
con cura, il nuovo arcivescovo il 10 settembre iniziava la sua prima visita
pastorale della diocesi. Il pastore che va in visita - scriveva - è
continuatore dell’azione di Cristo liberatore dell’umanità: promulgare il
Vangelo e convertire alla fede e alla vita cristiana. Per imitare Gesù, Guarino
volle che la visita fosse preceduta dalla predicazione al popolo e al clero di
due sacerdoti missionari, i quali, come i 72 discepoli del Salvatore, dovevano
catechizzare i fedeli “sul regno di Dio e sulla pace cristiana”.
Il
solenne canto del Te Deum in cattedrale preceduto dalla consacrazione della
diocesi al Cuore Sacratissimo di Gesù, consacrazione che poi venne ripetuta in
ogni parrocchia, furono i primi atti della visita di Guarino alla sua chiesa
siracusana17.
Preferì
incontrare per prime le parrocchie dei paesi della diocesi e in ultimo quelle della città di Siracusa. Non curiale
sembra il tema iniziale con cui si apre il diario di visita, nel quale si dice
che l’arcivescovo Guarino, costituito sposo e custode della chiesa siracusana e
speculator super muros eius, rivolse
il suo cuore alle pecore a lui affidate, non tanto per comandare, quanto per
mostrare anche in questi tempi la giusta e vera via18.
Il
primo centro visitato fu Melilli, poi Sortino, Monterosso, Chiaramonte. La
prima parte della visita
venne chiusa a Ragusa l’11 dicembre 1872. Riprese
poi la visita il 22 aprile 1873 da Lentini, Francofonte, Carlentini, Augusta,
Comiso, Santa Croce fino a Floridia dove arrivò nel mese di luglio. Non andò a
Vittoria per una epidemia che si era diffusa tra la popolazione e poi per gravi
delitti che erano successi per cui si temeva per l’ordine pubblico. A settembre
riprese la visita da Siracusa fino all’aprile 1874. A maggio, finita la visita,
si recò a Milano per la traslazione delle reliquie dei santi Gervasio e
Protasio e di S. Ambrogio e, al ritorno da Milano, si fermò ancora una volta a
Roma per una nuova visita ad limina.
Guarino
nella visita pastorale viaggiva in treno fin dove era possibile, ma spesso anche
a dorso di mulo, dovunque acclamato dal popolo al grido di viva la Religione, viva Pio IX, viva l’Arcivescovo. Era
accompagnato dal vicario generale, dal cancelliere, da un cerimoniere. Visitò
chiese e monasteri, predicò al popolo, amministrò a migliaia di persone la
cresima. Teneva sempre presente, da buon canonista, i canoni del tridentino e
le regole delle visite di San Carlo Borromeo. La visita alle chiese e agli
arredi era minuziosissima. Controllava le tovaglie perché fossero di lino e non
di cotone, le grate dei confessionali, i calici e i paramenti sacri.
Era
dal 1727 che non si convocava un sinodo della chiesa siracusana a causa
dell’eccessiva ingerenza del potere monarchico nella vita interna della chiesa
siciliana, rivendicata in nome della Legazia, e si sentiva il bisogno di nuove
regole per la vita della chiesa locale. Ma Guarino non ritenne opportuna la
convocazione di un sinodo a pochi mesi dal suo episcopato, perché voleva prima
conoscere i bisogni della diocesi e poi riunire il sinodo. Né mancava in questa
decisione una certa diffidenza verso un possibile intervento del governo.
Infatti, pur avendo rinunziato il governo italiano ai privilegi della Legazia
apostolica e del Tribunale di regia monarchia con la legge delle Guarentigie, i
vescovi siciliani non si sentivano ancora sicuri di fronte a possibili
interventi del potere civile. Non che il governo proibisse l’esercizio del
ministero pastorale, e su questo i vescovi nelle loro relazioni erano concordi,
ma esisteva ancora una legislazione regalista che non cessava di essere
riproposta, anche dopo le Guarentigie e che inceppava la libertà dei vescovi,
soprattutto nell’amministrazione dei beni ecclesiastici. Spesso ritorna nei
suoi scritti il richiamo alla nequizia dei tempi in riferimento alla
legislazione espropriatrice del governo verso gli enti religiosi e al clima
aggressivo contro il mondo ecclesiastico, diffuso in molti ambienti. Per questo
ci teneva a ribadire che egli voleva rimanere solo nell’ambito religioso e che
il suo compito era salvare le anime.
I
decreti di visita costituivano perciò il primo passo per la codificazione di
regole ecclesiastiche che dovevano provvisoriamente sostituire le leggi
sinodali, mentre l’incontro con luoghi, persone, mentalità permetteva al nuovo
arcivescovo di conoscere sempre più i problemi della sua diocesi per procedere
in un secondo momento alla celebrazione di un sinodo19.
|