Il
vescovo come modello
Non
voleva il Guarino solo modellare i suoi preti e la sua chiesa secondo lo
spirito del concilio di Trento, ma egli stesso voleva essere esempio vivo del
vescovo tridentino. Volle esercitare il ministero pastorale, e non solo quello
di governo. Tenne spesso esercizi spirituali al clero e al popolo, curò le
missioni popolari, predicò nella sua cattedrale e nelle chiese. Guarino stesso
nel 1875 così delineava il suo impegno di predicazione:
Non ho mai trascurato di
predicare personalmente la parola di Dio sia in città sia nella archidiocesi,
che anzi nell’anno passato per l’intera Quaresima ogni giorno ho tenuto
discorsi al popolo, come spesso durante l’anno non tralascio di fare sia nella
Chiesa Metropolitana sia nelle altre chiese della città.32
Ciò
che predicava lo voleva testimoniare. Un aspetto importante del suo ministero
pastorale era dato infatti dal suo disinteresse sul piano economico. Guarino vi
annetteva molta importanza come testimonianza da offrire al clero. Aveva
infatti abolito alcune tasse dovute all’arcivescovo, e durante la visita non
prendeva alimenti e denaro, come si era soliti. Dove riceveva un contributo per
le spese, detratte quelle per il vitto, il resto lo distribuiva ai poveri del
luogo e alle chiese povere; dove invece gli davano il vitto, allora distribuiva
denaro proprio. Nella città di Siracusa, poiché conosceva bene la povertà delle
parrocchie e dei monasteri, non volle accettare nessuna offerta né in denaro né
in viveri durante la visita delle chiese. Poiché non riceveva molto dagli
introiti della mensa arcivescovile, ridusse le spese dell’episcopio e anche
quelle della carrozza per potere dare di più ai poveri. Memore dell’impegno che
aveva profuso nel Boccone del Povero
di Palermo, fondato dal beato Giacomo Cusmano, così esprimeva la sua amarezza
di fronte alla povertà:
Desidererei infatti alleviare i
bisogni di tutti, contenendo questa città moltissimi poveri spessissimo di alto
rilievo: ma essendo povero anch’io, contento di una servitù modestissima e solo
necessaria, nonché di una mensa molto frugale, ed escluso inoltre qualsiasi
ornamento della carrozza e dei cavalli, divido i miei proventi con gli
indigenti.33
Si
affermava in Sicilia un nuovo modello di vescovo, più pastore e meno signore,
più vicino al clero e al popolo. Ciò era dovuto innanzitutto ai criteri di
scelta dei candidati, che rispecchiavano preoccupazioni eminentemente religiose
da parte della Santa Sede, al cambiamento di cultura e alle nuove istanze
religiose, ma anche influiva l’estrazione sociale dei nuovi vescovi, non più
provenienti dalla nobiltà, ma dalla media e piccola borghesia, se non proprio da
ceti artigianali. Da questi ceti sociali provenivano i nuovi vescovi siciliani
consacrati nel 1872. E gli effetti si erano subito notati, tanto che Guarino
poteva scrivere a mons. Celesia:
Certamente non possono sentirsi
senza intima compiacenza dell’intero Episcopato le benedizioni che per le cure
de’ nostri confratelli Iddio sparge nelle diocesi: e le dico di cuore che
mentre tanto mi consola il gran bene
che operano per la gloria del Signore,
perché la sollecitudine per la Chiesa di Gesù Cristo l’abbiamo comune e
solidale, altrettanto poi mi affanna vedermi così inutile ed inetto, e deploro
questa povera diocesi, alla quale è toccato un Pastore così miserabile.
Il
sentire la propria incapacità non era per lui solo una formale attestazione di
sentire nulla di sé, secondo moduli ascetici, ma era sincero bisogno di
sentirsi aiutato e corretto dagli altri vescovi, convinto com’era di avere con
essi comune, e quasi collegialmente, la sollecitudine per la Chiesa di Cristo:
Verranno qui ad onorarmi i degnissimi
vescovi di Noto e di Caltanissetta. Io di cuore approfitterò di questa felice
opportunità per rendere conto ai medesimi del mio operato sin dal primo
ingresso in Diocesi, per riceverne direzione, correzione, e
consiglio.34
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