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Francesco Michele Stabile
Il Card. Giuseppe Guarino

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  • Arcivescovo di Siracusa
    • Il vescovo come modello
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Il vescovo come modello

            Non voleva il Guarino solo modellare i suoi preti e la sua chiesa secondo lo spirito del concilio di Trento, ma egli stesso voleva essere esempio vivo del vescovo tridentino. Volle esercitare il ministero pastorale, e non solo quello di governo. Tenne spesso esercizi spirituali al clero e al popolo, curò le missioni popolari, predicò nella sua cattedrale e nelle chiese. Guarino stesso nel 1875 così delineava il suo impegno di predicazione:

 

                Non ho mai trascurato di predicare personalmente la parola di Dio sia in città sia nella archidiocesi, che anzi nell’anno passato per l’intera Quaresima ogni giorno ho tenuto discorsi al popolo, come spesso durante l’anno non tralascio di fare sia nella Chiesa Metropolitana sia nelle altre chiese della città.32

 

            Ciò che predicava lo voleva testimoniare. Un aspetto importante del suo ministero pastorale era dato infatti dal suo disinteresse sul piano economico. Guarino vi annetteva molta importanza come testimonianza da offrire al clero. Aveva infatti abolito alcune tasse dovute all’arcivescovo, e durante la visita non prendeva alimenti e denaro, come si era soliti. Dove riceveva un contributo per le spese, detratte quelle per il vitto, il resto lo distribuiva ai poveri del luogo e alle chiese povere; dove invece gli davano il vitto, allora distribuiva denaro proprio. Nella città di Siracusa, poiché conosceva bene la povertà delle parrocchie e dei monasteri, non volle accettare nessuna offerta né in denaro né in viveri durante la visita delle chiese. Poiché non riceveva molto dagli introiti della mensa arcivescovile, ridusse le spese dell’episcopio e anche quelle della carrozza per potere dare di più ai poveri. Memore dell’impegno che aveva profuso nel Boccone del Povero di Palermo, fondato dal beato Giacomo Cusmano, così esprimeva la sua amarezza di fronte alla povertà:

 

                Desidererei infatti alleviare i bisogni di tutti, contenendo questa città moltissimi poveri spessissimo di alto rilievo: ma essendo povero anch’io, contento di una servitù modestissima e solo necessaria, nonché di una mensa molto frugale, ed escluso inoltre qualsiasi ornamento della carrozza e dei cavalli, divido i miei proventi con gli indigenti.33

 

            Si affermava in Sicilia un nuovo modello di vescovo, più pastore e meno signore, più vicino al clero e al popolo. Ciò era dovuto innanzitutto ai criteri di scelta dei candidati, che rispecchiavano preoccupazioni eminentemente religiose da parte della Santa Sede, al cambiamento di cultura e alle nuove istanze religiose, ma anche influiva l’estrazione sociale dei nuovi vescovi, non più provenienti dalla nobiltà, ma dalla media e piccola borghesia, se non proprio da ceti artigianali. Da questi ceti sociali provenivano i nuovi vescovi siciliani consacrati nel 1872. E gli effetti si erano subito notati, tanto che Guarino poteva scrivere a mons. Celesia:

 

                Certamente non possono sentirsi senza intima compiacenza dell’intero Episcopato le benedizioni che per le cure de’ nostri confratelli Iddio sparge nelle diocesi: e le dico di cuore che mentre tanto mi consola  il gran bene che operano per  la gloria del Signore, perché la sollecitudine per la Chiesa di Gesù Cristo l’abbiamo comune e solidale, altrettanto poi mi affanna vedermi così inutile ed inetto, e deploro questa povera diocesi, alla quale è toccato un Pastore così miserabile.

 

            Il sentire la propria incapacità non era per lui solo una formale attestazione di sentire nulla di sé, secondo moduli ascetici, ma era sincero bisogno di sentirsi aiutato e corretto dagli altri vescovi, convinto com’era di avere con essi comune, e quasi collegialmente, la sollecitudine per la Chiesa di Cristo:

 

                Verranno qui ad onorarmi i degnissimi vescovi di Noto e di Caltanissetta. Io di cuore approfitterò di questa felice opportunità per rendere conto ai medesimi del mio operato sin dal primo ingresso in Diocesi, per riceverne direzione, correzione, e consiglio.34

 

 




32 Relatio, cit., II/IX.



33 Ivi.



34 Lett. a Celesia, 13.10.1873, ASAP, Cesi 1891.






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