Arcivescovo di Messina e cardinale
Nomina e ingresso a Messina
Il
27 febbraio 1875 il Capitolo della chiesa metropolitana di Messina comunicava
ufficialmente al papa la morte dell’arcivescovo Luigi Natoli avvenuta tre
giorni prima.1 Il 17 giugno l’arcivescovo di Siracusa mons. Guarino
veniva traslato nella sede di Messina, mons La Vecchia, vescovo di Noto gli
succedeva a Siracusa e a Noto veniva eletto mons. Giovanni Blandini di Palagonia.
I
giudizi del processo informativo della Dataria su Guarino non erano puramente
d’occasione, ma potevano attingere all’azione di pastore del Guarino a
Siracusa. Il testo fondamentale è dato dalla lettera testimoniale del Capitolo
metropolitano di Siracusa, riassunta poi nell’Interrogatorio del can. Francesco
Saverio Lanolina dei chierici Regolari Teatini e di Tommaso Segalini, condotto
dall’uditore Francesco Latoni. Vengono sottolineati lo “zelo prudente
illuminato”, l’esemplarità e decoro, la visita pastorale, l’accoglienza
ricevuta da parte di tutti i ceti sociali, la sua predicazione nelle chiese
della città e della diocesi con omelie tratte “sempre dal Vangelo corrente”,
gli esercizi spirituali da lui predicati al clero e al popolo, il suo amore per
i poveri, la sua cultura.2 Nel concistoro del 5 luglio veniva
ufficialmente proclamata la nuova nomina del Guarino alla sede di Messina. Gli
scriveva due giorni dopo il card. De Luca:
La
nuova diocesi di Messina richiede una mano esperta a poterla tornare all’antico
suo lustro ed il S. Padre non poteva fare una scelta più opportuna e più
consentanea al bisogno.3
Guarino,
dopo aver ringraziato il pontefice, si poneva il problema dell’exequatur regio per la nomina a Messina
dopo che era stato cacciato fuori dall’episcopio di Siracusa. Desideroso di
seguire le direttive della segreteria di stato nel rapporto con il governo,
scrisse al card. Antonelli per chiedere come comportarsi, dal momento che
l’episcopio di Messina era già in mano al subeconomo dei benefici vacanti e che
anche il seminario, che era contiguo all’episcopio, rischiava di essere
incamerato dal governo a causa della scarsità di alunni.4
Antonelli
gli rispose di osservare le istruzioni che già aveva ricevuto quando era stato
nominato arcivescovo di Siracusa. Se non fosse stato possibile prendere una
stanza nel seminario proprio per impedire che finisse nelle mani del governo,
allora poteva cercarsi un alloggio in
una abitazione privata.5
Il
15 luglio, mentre era ancora a Siracusa, il nuovo arcivescovo prendeva possesso
per procura della diocesi di Messina e ne dava notizia ad Antonelli perché la
comunicasse al papa. Il 16 veniva a forza estromesso dall’episcopio di Siracusa
per evitare che il successore potesse prenderne possesso. Seguendo le
istruzioni della segreteria di stato, Guarino scrisse allora una lettera al
ministro dei culti per comunicargli la sua nomina ad arcivescovo di Messina, ma
senza formale richiesta di exequatur. Dava notizia dell’avvenuta traslazione,
esprimendo fiducia che il governo avrebbe dato gli opportuni provvedimenti a
rimuovere qualunque ostacolo potesse impedire il pieno esercizio del suo
pastorale ufficio.6 La lettera veniva passata al ministero attraverso
la stessa segreteria di stato, “affinché – scriveva Antonelli – non si possa
allegare ignoranza della sua traslazione all’arcivescovado di Messina”.
7
Il
governo intimava alle amministrazioni locali di ignorare il nuovo arcivescovo, che
non aveva chiesto nelle dovute forme il civile riconoscimento, creando disagio
nelle autorità locali che per motivi personali o altro volevano invece
esprimere le congratulazioni al Guarino. Egli allora inviò una lettera al
sindaco, rammaricandosi perché il municipio non si era unito alle
manifestazioni di simpatia che dai diversi ceti sociali della città gli erano
pervenuti. Il sindaco, barone Silipigni, aveva chiesto consiglio al procuratore
generale del re sul comportamento da adottare, dovendo scegliere tra il
desiderio suo personale di far visita all’arcivescovo e la ragione politica. Il
ministero invece rimaneva fermo nell’opporsi a ogni manifestazione ufficiale e
anche privata del sindaco.8
Il
28 luglio il marchese di Cassibile, deputato al Parlamento, che conosceva già
la grande personalità di Guarino, essendo le sue terre nella diocesi di
Siracusa, scriveva al Guardasigilli a favore del Guarino, facendosi interprete,
come italiano e come cattolico, delle lagnanze generali per l’esclusione del
nuovo arcivescovo dal suo episcopio. D’altra parte non capiva perché
coll’arcivescovo Natoli, eletto nel 1867, il governo non aveva usato la durezza
che invece ora usava con il Guarino. Il Cassibile ricordava che con le
Guarentigie del 13 maggio 1871 era stato abolito l’exequatur e il placet regio, anche se poi era stato aggiunto un
comma di proroga per fare cosa gradita alla sinistra giurisdizionalista. Tutti
i nuovo vescovi siciliani e calabresi, a suo parere, volevano mettersi in
regola con il governo, ma dovevano pure obbedire alle direttive della Santa
Sede. Che l’arcivescovo Guarino fosse disposto a riconoscere i poteri legittimi
risultava chiaro dalla lettera che aveva inviato al sindaco e che aveva
meritato una risposta di consenso da parte del consiglio comunale, compresi
evangelici metodisti ed altri non cattolici che sedevano nel consiglio. La
proposta di mediazione di cui il Cassibile si faceva portatore presso il
ministro – non sappiamo però con chi l’avesse concordata – chiedeva che il ministero
accettasse la presentazione delle bolle da parte del Capitolo metropolitano o
del già Vicario Capitolare. Infine a rafforzare il suo intervento dichiarava
che il Guarino era più italianissimo di tanti che strombazzano ai quattro venti
di essere tali.9
Una
seconda lettera del Cassibile del 2 agosto denunziava il cedimento del governo
alle richieste della sinistra contro l’episcopato, lo zelo eccessivo del
subeconomo di Siracusa che aveva ingiunto all’arcivescovo di lasciare
l’episcopio entro 24 ore e poi l’intervento della polizia per metterlo fuori
con la forza. Per dimostrare invece i sentimenti di attenzione al governo del
Guarino, il Cassibile inviava al Guardasigilli la prima lettera pastorale di
Guarino ai Messinesi, scritta da Siracusa.10 Ma ancora una volta la
risposta del ministero fu senza compromessi. Il Guarino doveva chiedere il
riconoscimento civile secondo le regole stabilite:”il Ministero non può
ammettere le teorie sostenute da Mons. Guarino nella sua qualità di vescovo di
Siracusa circa il diritto di avere l’episcopio come mezzo per l’esercizio della
giurisdizione spirituale”.11
Il
7 agosto l’arcivescovo Guarino fece il suo ingresso in Messina alle 5.45 del
pomeriggio con il treno proveniente da Catania. Alla stazione, oltre al clero,
erano ad attenderlo “molto popolo” e “alcuni cospicui cittadini”. Salì sulla
carrozza del senatore del regno Cianciafara, seguito da 24 carrozze di privati.
Si avviò al duomo dove furono cantati i vespri e poi tra una fitta ala di
popolo entrò nel seminario dove prese dimora. Non ci furono disordini di nessun
genere, secondo la relazione del procuratore generale Morena.12 Il 9
fece visita al prefetto e al presidente della corte d’appello che era suo amico
fin da quando era funzionario al ministero di giustizia e dei culti di Palermo,
ma nessuno gli poteva restituire la visita in forma ufficiale a causa del
divieto ministeriale.13 Il suo non era solo un gesto di gentilezza del
pastore, ma anche un atto politico, perché la visita costituiva riconoscimento
delle autorità locali e del governo. Toccava allora al governo romano dover
spiegare il suo accanimento sulla questione dell’exequatur.
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