La prima lettera pastorale ai
messinesi
Da
Siracusa mons. Guarino inviò la sua prima lettera pastorale ai messinesi il 16
luglio 1875. L’imbarazzo del prelato era evidente perché per un verso rimaneva
grato ai Siracusani per l’affetto con cui lo avevano accompagnato nel suo
peregrinare per la diocesi, per altro doveva ora presentarsi a una nuova
comunità di cui poco conosceva e i cui problemi erano certamente pari, se non
più gravi di quelli di Siracusa. Il richiamo a S. Paolo che riunisce i
presbiteri a Mileto per il saluto di commiato era quanto mai adatto ad
esprimere i sentimenti di affetto e di stima che in soli tre anni si erano
intrecciati tra lui e la chiesa siracusana.
Nella
consapevolezza del suo limite di uomo e di prete, egli, con l’esperienza già
maturata a Siracusa, ci teneva a delineare ai suoi nuovi diocesani, quale
immagine di vescovo voleva incarnare. Uno stile semplice quello della lettera,
che risente del linguaggio patristico, soprattutto nella prima parte,
esortativa e parenetica, quasi un parlare a cuore aperto di sé e delle sue
difficoltà e del bisogno della loro carità e preghiera per compiere il suo
ministero.
Com’è
terribile – scriveva citando S.
Gregorio – il pensiero che il Vescovo
vien tratto per obbligo ad esser l’esemplare di una vita ben composta e la
norma irreprensibile della vita evangelica.22
Ma
come delineare la figura di questo pastore? Un uomo dalla parola dolce che
moltiplica gli amici e calma i nemici, secondo l’Ecclesiastico. Di carità
paziente e benigna:
E’ mite
se corregge, semplice se carezza, non suole inasprirsi che con benignità, non
adirarsi che con pazienza, non isdegnarsi che con umiltà […] Il Vescovo terrà
scolpito in cuore quel che di Dio disse il Profeta: non sarà melanconico, né
turbolento; non disprezzerà la canna fessa, né ammorzerà il lucignolo che
fuma.23
Questa via mediana che contempera
dolcezza e severità era la strada che gli aveva insegnato il suo maestro S. Francesco
di Sales. E anche allo stesso santo sembra da ricondurre il tentativo di
Guarino di conciliare l’operosità del pastore e il bisogno di contemplazione,
anche se prevedeva in questo molte difficoltà.
Guarino sapeva di essere per indole
sua più portato alla condiscendenza, riconosceva però che anche l’eccessiva
condiscendenza aveva i suoi pericoli, perché il vescovo doveva essere fedele
alla verità, capiva tuttavia che il rischio più grande nella vita del vescovo
era l’esercizio del potere. La sua proposta, al di là di ogni riforma
strutturale del sistema ecclesiastico, comunque necessaria, coglie lo spirito
profondo dell’autorità nella chiesa, non intesa come potere giuridico che
afferma il diritto dell’istituzione e il trionfo dei suoi ordinamenti, ma come
aiuto al fratello in Cristo, nella comune consapevolezza di essere da Cristo
giudicati e salvati, sia colui che serve il fratello con l’autorità sia colui
che riceve l’ammonizione fraterna. E’ l’umiltà che deve dare al vescovo questa
consapevolezza e la giusta misura nell’esercizio del potere, altrimenti
l’autorità si trasforma in dominio. E la garanzia sta nel sentirsi più
peccatore degli erranti:
Or
anche nel punire gli eccessi, nel duro bisogno di far uso dell’impero della sua
potestà, dev’essere umile il vescovo, credendosi in cuor suo da meno degli
erranti, di modo che esercitar debba il potere sui vizii, non affatto sui
fratelli, e godere soltanto nel recar giovamento, non mica nella sua
preminenza: vitiis potius quam fratibus dominetur …non gaudeat
praeesse, sed dumtaxat prodesse.24
Segue alla delineazione
dell’immagine del vescovo, che è anche suo programma di vita, una
raccomandazione ai vari ordini ecclesiali, ai capitolari, ai parroci, ai
religiosi e alle religiose, ai fedeli. Il tema più bello è quello del valore
della preghiera corale come preghiera del popolo cristiano, della chiesa:
La
Divina Salmodia riunisce tutti gli ecclesiastici del mondo in un sol cuore, in
una sola preghiera, in sol sospiro, per richiamar dal Cielo la misericordia e
la grazia … è la voce nel mar tempestoso … è il pianto di Rachele … è il
lamento della Chiesa … è lo strazio della vedova di Naim … è il ponte gettato
negli abissi … è la scala misteriosa di Giacobbe … è il laccio d’oro che trae
dal Cielo il Paracleto.25
Ai
parroci e preti ripropone due modelli sacerdotali, S. Francesco di Sales e S.
Vincenzo de Paoli, il primo attento agli errori del secolo, l’altro esempio di
carità. L’esortazione ai sacerdoti e ai regolari si muove soprattutto sul piano
della riforma di vita, più ancora che sull’impegno pastorale. Alle monache
richiama l’ascolto della parola di Dio e l’essere vittima per i peccatori. Al
popolo augura la pace, chiede di fuggire la bestemmia, ormai comune e popolare
nelle città e nelle campagne, di osservare il riposo nei giorni festivi, come
rispetto della stessa spiritualità dell’uomo, di aver riverenza per la casa di
Dio; e ricorda poi gli obblighi morali: fuggire l’usura, i furti, le rapine, le
ingiustizie, i falsi giuramenti, i costumi disonesti, l’avarizia,
l’irreligione. La proposta cristiana, ricordava il pastore Guarino, si realizza
nell’amore reciproco, per essere, come i primi cristiani, un cuor solo e
un’anima sola.
|