Il clero e l’azione pastorale
Dalla
prima visita emerge un quadro non molto consolante dell’iniziativa pastorale nella
diocesi. Oltre alle 29 confraternite della città e alle 59 della diocesi, che
avevano scopo prevalentemente di preparazione alla buona morte, di suffragi, o
di favorire attività devote o feste, secondo modelli ancora settecenteschi, non
troviamo nessuna di quelle forme nuove dell’associazionismo cattolico moderno.
Spunterà una Pia Unione delle Figlie di Maria, una del S. Cuore, ma
nient’altro. La pratica pastorale si limitava alla amministrazione dei
sacramenti e anche di questa in qualche caso l’arcivescovo ne ribadiva
l’obbligatorietà sub gravi per i parroci.46 Era infatti diffusa la
concezione che solo i parroci erano obbligati al servizio pastorale per
giustizia, mentre gli altri preti solo per carità. Il Guarino confidava nel
1883 al suo amico p. Nunzio Russo:
Il
Clero non è stato mai operoso in queste parti. Fare qualche cosetta costa un
grandissimo stento: non ho mancato di spingerlo e con la parola e con
l’esempio: qui fo anche il Missionario: ma salvo rarissime eccezioni, rare
assai, canimus surdis. Promuovere feste e al più qualche atto di pietà è tutto
il lavoro dei pochi. Addentro non si va mai. Ecco perché ho tanto desiderato
nel mio Seminario i salesiani di D. Bosco, i quali sono un miracolo di
operosità, ed avrebbero fatto gran bene ai pochi chierici. Adesso almeno vedo un po’ di risveglio. Lodiamo il
Signore e preghiamo.47
La situazione del seminario
all’arrivo del Guarino era precaria.scrivendo qualche anno più tardi a Celesia
diceva:
Ho
dovuto a forza di enormi sacrifici quasi riedificare il Seminario. Trovai i
Seminaristi sotto le tegole! Trovai il seminario un orrore!48
La
prima cosa da fare era reperire i fondi per la ristrutturazione dell’edificio e
per il mantenimento dei chierici. Cercò i fondi attraverso la bolla di
Crociata.49 Si rivolse anche al clero perché devolvesse l’offerta della
messa per il seminario.50 In ogni caso la povertà rimaneva la
difficoltà più grave per l’ingresso dei giovani in seminario.51 Allora
Guarino chiese al papa di poter costituire il patrimonio sacro richiesto per
l’ordinazione con una rendita inferiore a quella stabilita dal concordato del
1818. desiderava sostituire la rendita con un vitalizio con rendita vincolata.
La Congregazione del Concilio concesse tale facoltà solo per venti casi che poi
diventarono un po’ di più.52 Problema ancora più rilevante era la
ricerca dei responsabili della formazione dei chierici e la scelta dei
professori. Scriveva al suo amico Pennino che il seminario affidato ai figli di
don Bosco era l’opera sua più importante:
Stabilito
il Seminario con Don Bosco potrò dire a Dio “opus consumavi quod dedisti mihi
ut faciam. Nunc dimitte servum tuum” e andrò al camposanto.53
Ma anche se non riuscì ad avere i
salesiani nel seminario, scelse le persone che erano più vicine al suo ideale
di prete per formare i chierici. Sul seminario scriveva molti anni più tardi il
p. Annibale Di Francia a don Orione:
Le dico
che il cardinal Guarino, di f. m., procurava di mettere nel seminario, o per
dirigere o per istruire, soggetti di spirito. Infatti aveva posto, come Padre
Spirituale, il canonico Francesco Vitale, oggi cantore della cattedrale,
giovane di eccezionali virtù, istruito in diverse scienze, perla del Clero di
Messina. Il D’Arrigo, appena fatto arcivescovo, anzi Vicario capitolare lo tolse subito.54
Formare i chierici alla nuova
pastoralità era un processo lento.questo clero, legato soprattutto alla vita di
culto e alle rendite delle istituzioni religiose municipali, poco avvertiva i
processi di cambiamento nella società e all’interno della chiesa. Inserito nel
tessuto degli interessi e della politica locali, sollecitato dalle strategie
familiari, questo clero non era stato investito dai cambiamenti della società
che avevano invece segnato il clero zelante palermitano di cui il Guarino era
stato uno dei più autorevoli protagonisti. Per questo Guarino soffriva di non
riuscire a comunicare ai suoi preti la sua ansia missionaria.
Per
ricondurre il clero sulla linea di una ecclesiologia romana che mettesse al
centro il legame con il papa e il vescovo e coinvolgesse nella pastoralità
tutto il clero, era necessario vincere le forti remore del sistema policentrico
devozionale e giuridico, che aveva favorito inattaccabili autonomie e privilegi
locali, e sganciare il clero dai legami e dagli interessi della famiglia e
delle fazioni comunali. Per questo Guarino veniva a volte in conflitto con
questo clero municipale che resisteva alle sollecitazioni e agli interventi
disciplinari dell’arcivescovo in difesa delle sue tradizionali autonomie e
privilegi.55 Guarino alla Congregazione dei Vescovi e Regolari per
spiegare i motivi di accuse contro di lui rivolte dal clero di Castroreale che
rivendicava l’amministrazione della deputazione parrocchiale ottenuta al tempo
della dittatura del 1860 e della quale era stato privato dal predecessore
Natoli e non reintegrato da Guarino, scriveva che la situazione del clero era
gravissima e che non sapeva come scegliere il titolare dell’arcipretura:
Le
condizioni del clero di Castroreale sono così infelici che se dovessi dar corso
ad un giusto rigore, dovrei chiudere le chiese tutte e lasciarne una sola,
perché non rimarrebbero in una città di Sotto- Prefettura abbastanza popolata a
poter celebrare che due preti secolari e due cappuccini!56
Per
liberare il clero da una cultura municipale e renderlo impegnato nell’azione
pastorale, Guarino si oppose anche a ogni forma di inserimento del clero
nell’attività dei consigli municipali e
nella partecipazione alle lotte di partito. Un prete dei Minori osservanti era
stato eletto al consiglio comunale di Venetico. Nonostante le assicurazioni del
vicario foraneo sulla sua condotta di vita, l’arcivescovo osservava in calce
alla lettera del vicario:
Si
risponda che non so concepire come un religioso possa far del Municipio. Con
permesso di quali Superiori? E i suoi voti religiosi? E la
ritiratezza?57
Egli
vedeva nella salvaguardia della specificità dell’azione pastorale del clero la
possibilità di sganciarlo dalla dipendenza dai notabili locali e dagli
interessi familiari. Per questo tentò la via del rigore. Scrisse infatti al
parroco di Venetico:
La
dimanda del sig. Inastasi sindaco di Venetico mi ha stranizzato. Al mio arrivo
in quel comune per la S. Visita egli mi narrò come il Sac. D. Giuseppe Sindoni
riuscisse di disturbo al consiglio comunale, e di inciampo agl’interessi del
Comune. Io per altro nei miei principii, e seguendo anche l’esempio di indsigni
Prelati, voglio il clero alieno da qualsiasi cosa pubblica e dedito soltanto
all’esercizio del suo altissimo ministero per glorificare Dio nella
santificazione del popolo, e non cesserò di insistere su questo finchè avrò
vita, per non mancare al mio ministero pastorale. Disposi quindi che il Sac.
Sindoni avesse dato le sue dimissioni, e furono date subito.
Non so concepire ora come indi a
poco lo stesso sig. Sindaco insista perché il rev. Sindoni ripigli l’ufficio di
consigliere. Si vorrebbe in una parola ch’io nel governo del clero mutassi, a
beneplacito di chi vuole, i miei principi, e dichiarassi lecito quel che ieri
proclamai illecito, e poi mutassi di nuovo secondoché i sindaci volessero.58
Era
chiaro che il problema più grave da affrontare era innanzitutto quello del
clero. Il suo modello di prete era quello del prete pastore e catechista, uomo
dedito alla preghiera e al silenzio dell’altare più che alla caccia59 o
alla frequentazione dei circoli civili o all’esercizio di professioni estranee
al ministero.60 Scriveva con dolore nel 1894 a un curato sul conto del
quale erano arrivate lamentele da parte del popolo:
Si
lamenta un fare aspro ed opprimente contro la povera gente e con opere e con
consigli che dà. Si aggiunge che, celebrata la Messa all’aurora, va via in
campagna tutto dedito alla coltura dei campi, senza tener conto della cura
delle anime.
Io
debbo avvertirla ancora una volta che a noi Sacerdoti altamente conviene
seguire l’umiltà, la pazienza, la dolcezza e la mansuetudine del Divino
Maestro: che le nostre funzioni e le nostre occupazioni si consumano nella
carità e nel procurare la salvezza delle anime. Eccoli quali sono i nostri
campi da coltivare.
Si conclude che il di lei modo
di agire aliena i fedeli dalle contribuzioni per culto della chiesa e dai
sacramenti. Dicesi che in questo anno fu assai scarso il numero dei fedeli che
adempirono il precetto pasquale. Io insisto perché ella col zelo parrocchiale,
coll’assidua cura, e colle buone maniere, che sono necessarie in un curato, si
attiri la benevolenza generale e faccia bene nel suo ministero. Iddio sa e vede
tutto e riserva o il premio eterno e l’eterno castigo.61
L’invito ad accostarsi all’altare con le debite disposizioni “della
santità dei costumi e degli interni sentimenti di pietà” era accompagnato dalla
raccomandazione a prendere coscienza della dignità sacerdotale:
Il popolo scandalizzato alza la
voce e reclama continuamente, e l’animo nostro si è vivamente commosso. O
sacerdoti, siete voi la lucerna che deve illuminare il popolo; se la luce è
spenta, i fedeli al buio correranno a certa rovina per vostra colpa, e l’Eterno
giudice ve ne punirà severamente […] Voi siete cooperatori di Gesù nell’opera
della redenzione del mondo, perché applicate alle anime i tesori del sangue
divino sparso a comune salvezza […] Voi siete altrettanti Dii sulla terra : vos
Dii estis (2 Cor. V,20). Ma deh! Pensate che così alta potestà colla comunicazione
dello Spirito Santo vi venne trasfusa in edificazione del mistico corpo di Gesù
Cristo, che sono i fedeli.62
Non
solo la vita del prete doveva essere coerente, ma doveva anche realizzarsi in
un vero impegno pastorale. Ai canonici di Castroreale che lamentavano la poca
rendita della pensione governativa dopo l’abolizione dei capitoli,
l’arcivescovo raccomandava di prestarsi al servizio della chiesa madre come
cappellani e di riceverne l’emolumento, senza che questo servizio pastorale
dovesse essere avvertito come disdicevole per le dignità di un canonico:
Noi
stessi – scriveva nei decreti – ci reputeremmo altamente onorati e fortunati,
se nelle più piccole cose ci fosse dato rendere servigio a Sua Divina Maestà. E
per altro non è piccola cosa servire Gesù Cristo Signore Nostro nella cura
degli infermi, nella cristiana educazione dei fanciulli, nell’amministrazione
dei sacramenti. In questo triplice altissimo ministero noi stessi, sebbene
senza alcun merito elevati alla sommità del Sacerdozio, abbiamo dato l’esempio
ai nostri Sacerdoti.63
Dai
decreti di visita lasciati dal Guarino nelle varie chiese si può capire la sua
preoccupazione disciplinare e pastorale, come già si era manifestata nella
visita pastorale di Siracusa. Al primo posto stabiliva l’obbligo della
catechesi di cui delineava i temi secondo il Catechismo Romano, insistendo
inoltre sugli aspetti morali, “sulla onestà de’ contratti, sulle usure da
sfuggirsi, sulla restituzione”. Per i bambini voleva una catechesi affidata ai
sacerdoti, ai chierici e anche ai laici, nella quale si allettassero i più
diligenti con premi di vario genere, ma sempre a carattere religioso: immagini
sacre, medaglie, rosari. Né mancava la raccomandazione alla assistenza degli
infermi. Categorico era l’arcivescovo per l’osservanza delle rubriche
liturgiche,64 delle regole ecclesiastiche, per la conservazione delle
scritture giuridiche delle chiese e dei libri parrocchiali.
Se
egli si preoccupava di mettere anche sul piano economico delle chiese,
eliminando gli abusi che permettevano di tenere nelle case di privati
argenterie, libri contabili e altre scritture della chiesa, non mancava di
attenzione per la situazione economica del clero, e anche per quella dei
sacristi per i quali chiedeva a volte che fosse aumentato il salario.
L’opera
del vescovo tendeva a riportare la disciplina all’interno del clero e a
regolarizzare le situazioni di illegalità e di censura in cui parte del clero
era incorso. E’ interessante in questo senso la delega che il Guarino dà al
vicario generale di S. Lucia del Mela per assolvere dalle censure. Tra questi
c’erano al primo posto i preti che avevano acquisito beni ecclesiastici delle
corporazioni soppresse sia per compra che per enfiteusi, sia in qualunque altro
modo, anche da terze persone, purché depositassero nella curia la dichiarazione
voluta dalla Penitenzieria, e i preti che avevano fatto contratti di gabella
sui beni della chiesa senza approvazione della S. Sede,i preti che avevano
sottoscritto l’indirizzo Passaglia sull’abolizione del potere temporale o il
voto nazionale dell’Italia e che erano incorsi nelle censure. Inoltre
rientravano tra coloro che dovevano essere assolti dalle censure i preti che
erano stati ordinati fuori diocesi senza lettere discessorie del proprio
ordinario e coloro che erano incorsi in altre censure.65
Ma
la sua dolcezza non sempre riusciva a risolvere i casi di gravi
insubordinazioni disciplinari o di gravi scandali. In questi casi si sentiva
costretto, dopo aver fatto tutti i tentativi, ad usare la forza del diritto.
Scriveva al card. Celesia:
Fra i
142 Parrochi e cappellani Curati è facile creder che non tutti stiano al posto.
V. Em. conosce bene queste contrade, ed rammenterà Patti per compatirmi! E
nella stessa città quanti mali! Quanto abbandono!66
E
al canonico Pennino di Palermo confidava:
Aiutatemi
a ringraziare il Signore. Quante grazie! Quante misericordie! Mi ha liberato di
un altro Arciprete, ch’era il Garibaldi del Clero, ed arciprete della più vasta
ed importante Arcipretura della Diocesi […] Mi sento tolto dalle spalle metà
peso di tutta la diocesi.67
Ma era per lui una sofferenza dover
intervenire a norma di diritto canonico:
Questi
due esempi (di deposizione di arcipreti) intanto hanno messo qualche altro in
salutare timore. Divengo a tali atti con estremo dolore e me ne infermo: ma
esauriti per anni tutti i mezzi della persuasione e della dolce carità, è anche
carità venire agli atti della giustizia, io non devo perdere per loro l’anima
mia.68
Tuttavia
non era precipitoso o arrogante, perché aveva un forte senso della giustizia ed
era aiutato dalla conoscenza dei canoni ecclesiastici.69 Se prima non
risultava con certezza la verità dell’accusa il vescovo non interveniva. Per
questo chiedeva informazioni o istruiva veri processi informativi in base ai
quali poi regolava le sue indicazioni e la difesa dell’onore del suo prete.
Esemplare il caso del cappellano di Rodì, frazione di Castroreale, accusato di
aver messo incinta una donna. Nonostante fosse intervenuto il Prefetto di
Messina per motivi di ordine pubblico, l’arcivescovo dopo un processo
informativo, resosi conto della innocenza del prete, pur con la prudenza del
caso in quanto erano interessati i partiti locali, volle che il prete fosse
reintegrato nel suo posto.70 Quando i suoi preti erano fatti bersaglio
di persecuzioni, Guarino li consolava con richiami spirituali:
Si
risponda – dettava per la lettera al parroco di S. Pietro – che mi affligge
assai sentirlo non molto ben trattato. E’ la condizione di noi ecclesiastici
nei tempi fortunosi che corrono, e bisogna soffrire la mala gente con pazienza
[…] E’ la via di tutti noi, ma ci consola il sapere che giova molto all’anima,
e facilita l’ingresso nel Paradiso.71
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