Una chiesa per una scelta religiosa
La lettera pastorale della quaresima del 1881 era un invito al clero per
un maggiore impegno nella cura pastorale: “Non si adempie abbastanza ai doveri
della cura, se il Parroco si limiti ad offrire sacrificio pel popolo, ad
amministrare i sacramenti e a predicare”. Il ministero doveva esser assunto
come un impegno totale per la salvezza del popolo affidato, perciò richiedeva
“vigilanza continua ed operosa” da parte del pastore. Al primo posto stava il
buon esempio perché le opere del pastore erano il libro aperto dove il popolo
poteva leggere i propri doveri. E Guarino delineava il modello di pastore:
“Quanto è amato un Parroco circospetto, disinteressato, casto, raccolto,
caritatevole, paziente, laborioso, pieno di santo amore e di bontà”. Il parroco
doveva correggere a viva voce anche con pericolo della vita, doveva vivere e
far vivere una vita di pietà, raccomandando la partecipazione alla messa, la
visita al SS. Sacramento, la devozione a Maria, la recita del Rosario, il mese
di maggio, le novene, secondo le modalità devote che si erano affermate nello
scorcio del secolo. E soprattutto il parroco doveva guidare la comunità nella
fraternità, componendo le animosità tra il clero, tra parroco e clero e tra
parroco e fedeli.
Ai
suoi parroci Guarino ribadiva quello che aveva già detto del suo ministero
episcopale: un servizio di amore e non un potere:
I
titolo del nostro Apostolato, secondo S. Paolo, non sono la nostra autorità
sopra le Chiese, ma le pene e i travagli che sopportiamo per l’accrescimento
del Vangelo: non per altro siamo innalzati sopra gli altri che per essere loro
più debitori: la nostra autorità non è che una servitù più universale: i nostri
titoli sono le nostre funzioni e le nostre funzioni sono tutte racchiuse nella
carità.114
All’interno di una visione ecclesiologica fortemente giuridica e fondata
sul principio di autorità, l’arcivescovo tentava una armonia tra questa visione
giuridica dell’esercizio del potere nella chiesa e quella carismatica di
comunione del servizio pastorale che a Palermo certamente aveva conosciuto
attraverso l’ecclesiologia del Moheler nell’amicizia con Melchiorre
Galeotti.115
Guarino
cercava in questo modo di avvicinare il clero al vescovo, rendendolo partecipe
di un unico ministero sacerdotale, eliminando quella distanza che lungo i
secoli si era creata tra preti e vescovi e che aveva le sue radici nella
concezione che considerava il vescovo quasi un signore feudale un padrone. Nelle lettere all’arcivescovo i
preti si firmavano infatti come sudditi e servitori, e lo apostrofavano col
nome di signore. A loro volta parroci e preti riportavano questo schema nei
confronti dei fedeli, convalidando una scala sociale che non aveva rapporto con
le istanze evangeliche.
Il
vescovo pastore tridentino con questa sua insistenza sul servizio pastorale
contestava un modello di prete, non infrequente nel mondo religioso siciliano,
puntiglioso e in lotta per le preminenze. Guarino fu egli stesso esempio al suo
clero di distacco. Secondo la tradizione, la sede arcivescovile di Messina
doveva avere il secondo posto dopo quella di Palermo, invece nella firma
di alcune petizioni era risultata al
terzo posto dopo quella di Catania e ciò aveva creato malumori tra il clero
messinese. Egli voleva che il suo nome restasse dopo quello di Catania: “Sono
pettegolezzi messinesi, che disonorano. Io me ne vergogno e Le assicuro che me
ne disturbo”.116
Il
modello di parroco che si rende amabile, disposto a cedere anche i suoi
privilegi per vivere in armonia con gli altri preti e con i fedeli, pieno di
dolcezza e di disinteresse era il modello di prete che Guarino come pastore
voleva per primo realizzare nella sua vita sulla scia del santo vescovo di
Ginevra. E, come per Francesco di Sales la dolcezza era l’unica strada per
arrivare al cuore degli eretici, così nella società moderna questa via era la
strada per non rendere la chiesa invisa all’uomo moderno e per convincere a
tornare alla casa comune chi da essa si era allontanato.
Io mi
addoloro profondamente quando avvieni sentire che vi tocchi soffrire
impertinenze ed oltraggi: ma i trasporti, l’alterigia e la durezza, che
talvolta in noi scorgono ed incontrano, rende loro odiose le nostre istruzioni
non men che le nostre persone, ed è ciò che più mi amareggia ed affanna.
L’asprezza ed il rigore pei nostri interessi spesso sì ordinarii ed insieme sì
disdicevoli ad un Pastore, son cagione che ci credano più solleciti d’un
piccolo guadagno terreno, che nell’acquisto delle loro anime, e pensano
piuttosto a contenderci i nostri dritti, che a disfarsi dei loro
vizii.117
Non solo da interessi personali disdicevoli il parroco e il prete
dovevano tenersi lontani per essere credibili, ma anche da schieramenti di
partito che in Sicilia erano consorterie di interessi familiari più che
progetti politici a favore della comunità.
Perché poi la vostra parola –
scriveva – riesca proficua, deve soprattutto essere accolta dai parrocchiani
come non punto sospetta. L’ignoranza o la malignità in un tempo di universali
divisioni di animi faran credere ai più sempre sospette le vostre salutari ammonizioni
e la vostra predicazione, se sceglierete un qualunque dei partiti e delle
fazioni, che per sistemi elettivi de’ tempi presenti lacerano le popolazioni.
Non vi augurate in tal caso che il vostro ministero operi la gloria di Dio e la
salute delle anime. Questo stesso diciamo su questo punto a tutti i nostri
sacerdoti. E’ una verità che vienci contestata da continua esperienza. Noi non
conosciamo altrimenti l’avvicinarsi del tempo delle elezioni sia politiche sia
amministrative che dall’abbondanza dei richiami che ci arrivano contro i nostri
amatissimi fratelli del Clero, e potrete ben immaginare con qual vivezza di
dolore dell’animo nostro per le contumelie, le ingiurie e le accuse che si
lanciano contro i nostri Parrochi e i nostri Sacerdoti, i quali vorremmo in
ogni tempo circondati dell’amore e della riverenza universali.118
La scelta religiosa della chiesa messinese doveva essere totale.
Rifacendosi al vescovo di Bordeaux, mons. Chevrus, affermava che li clero
doveva essere scevro di passioni politiche sotto qualsiasi forma di governo
perché ministro di pace e di carità: “niun partito né presente né futuro deve
riguardarci nemico perché siamo chiamati a salvare gli uomini d’ogni
partito”.119
Ma
non solo il clero doveva astenersi dalla vita politica, ma anche le
associazioni cattoliche e i comitati cattolici. In questa scelta religiosa
Guarino si allontanava da quelle che erano le direttive del movimento cattolico
italiano che vedeva positivamente l’inserimento dei cattolici nella vita
amministrativa. Alla vigilia delle elezioni amministrative del 1891 al cav.
Pietro Pennini, presidente del Comitato cattolico, il quale aveva chiesto di
potere costituire un comitato elettorale cattolico, scrisse che aveva vietato
che ufficialmente i cattolici partecipassero alla formazione delle liste, salvo
a partecipare sul piano individuale come cittadini, e motivava il suo diniego
per conservare la dignità del Comitato diocesano, dei comitati parrocchiali,
del Circolo di Gioventù cattolica e delle altre associazioni e anche per
salvaguardare la dignità del nome cattolico. La richiesta del Pennini di
costituire il comitato elettorale venne respinta nonostante nel frattempo fosse
arrivata una lettera del presidente dell’Opera dei Congressi che invitava a
costituire questi comitati. Di fronte al divieto di Guarino, Paganizzi dovette
ammettere che il giudice era il vescovo e quindi la sua decisione aveva valore
per l’Opera.120 Era evidente che Guarino temeva una frattura con il
mondo liberale e le autorità locali dalla presenza ufficiale di cattolici nella
vita amministrativa e anche il pericolo che l’inserimento nelle lotte di parte
logorasse il prestigio religioso che egli aveva cercato di dare alla chiesa
messinese.
|