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Francesco Michele Stabile Il Card. Giuseppe Guarino IntraText CT - Lettura del testo |
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Ufficiale di prima classe Quando al governo borbonico si sostituì la dittatura garibaldina, Guarino rimase al suo posto presso il ministero, insostituibile per la sua competenza. E' lui che scrive a nome del ministro segretario i biglietti di incoraggiamento e di elogio per i buoni cittadini che organizzavano i funerali “dei nostri prodi liberatori”23. Godette egli la stima del can. Gregorio Ugdulena che fu ministro per gli affari del culto nella prodittatura e anche la stima del ministro Raeli24. Il posto di ufficiale capo del ramo ecclesiastico però non fu dato a lui. Con decreto di Garibaldi del 12 luglio 1860 il sac. Agostino Rotolo, che era stato uno dei preti garibaldini più impegnati nella rivoluzione al comando di gruppi di insorti, fu nominato capo divisione del dipartimento culto e incaricato della commissione per le provviste ecclesiastiche. Il Guarino invece venne promosso con decreto prodittatoriale dell’ottobre 1860 “capo sezione proprietario” presso lo stesso dicastero25. La promozione conferma le testimonianze di stima che il Guarino godeva anche presso gli uomini del nuovo corso. Il cambiamento di regime portò parecchie innovazioni nel rapporto chiesa e stato in Sicilia. Vennero eliminate le restrizioni alla propaganda degli altri culti, soprattutto valdesi. La legge diventò più permissiva nel campo della prostituzione, della pornografia, degli spettacoli. La chiesa non fu più considerata una società privilegiata, rimaneva però intatta l’impalcatura giurisdizionalista con cui lo stato liberale intendeva controllare la vita della chiesa. Garibaldi si sedette in trono nella cattedrale durante la festa di s. Rosalia nel luglio 1860, rivendicando il titolo di legato papale e lo stesso fece in seguito Vittorio Emanuele. Il Tribunale di Regia Monarchia riprendeva maggiore consistenza, mentre il governo rafforzava nuovamente, con l’abolizione del breve Peculiaribus, il controllo sugli atti ecclesiastici dei vescovi, sui benefici vacanti, sulle nomine ai benefici ecc. In questo modo il governo poteva favorire e proteggere i preti liberali da qualunque intervento disciplinare soprattutto dopo che il papa aveva comminato la scomunica nei confronti dei violatori dello stato pontificio. Ora però diventava più stridente il contrasto tra le affermazioni del principio "libera chiesa in libero stato" e l’esperienza quotidiana che vedeva la struttura ecclesiastica bloccata da un istituto giuridico come la Legazia e da una infinità di controlli in nome del diritto di patronato o della tradizione giurisdizionalista. Il governo borbonico aveva tenuto la maschera del bigottismo, soprattutto negli ultimi anni, il governo liberale invece non garantiva più e non appoggiava la chiesa siciliana nelle sue istituzioni e nel prestigio delle sue leggi presso il popolo e tuttavia pretendeva di tenerla legata e controllata senza neanche le garanzie dei diritti comuni. Ancor più sembrava stridente il contrasto, perché molti elementi del clero secolare e regolare, a differenza di altre regioni d’Italia, avevano preso parte attiva alla rivoluzione. E tuttavia, ancora durante il periodo della prodittatura, il governo, retto da siciliani, manteneva rispetto nei confronti della tradizione religiosa e del clero. La situazione divenne più insostenibile quando alla prodittatura garibaldina seguì il governo della Luogotenenza dopo che il plebiscito annesse in modo incondizionato la Sicilia al Piemonte. L’arrivo dei funzionari piemontesi che, ignari del paese, ritennero di essere i civilizzatori, portò a un rafforzamento di una concezione più laica e liberale dello stato che si differenziava da quella più giurisdizionalista dei funzionari meridionali. Pur mantenendo una parvenza di governo locale con l’impianto dei suoi ministeri, gli anni della Luogotenenza furono anni difficili perché si voleva riportare a solo cambiamento politico un movimento che aveva espresso anche forti rivendicazioni sociali. Nei confronti del clero deluso dalla rivoluzione la nuova classe dirigente, che non riusciva a controllare la situazione siciliana, preferì la linea dura. Il clero fu ritenuto troppo tiepido, se non proprio la causa del malcontento popolare. Il clero non poteva essere tranquillo quando si parlava di abolizione delle corporazioni religiose, di enfiteusi forzata solo dei beni ecclesiastici, quando veniva messo alla berlina nella stampa e nei teatri per influsso delle forti logge massoniche che si erano istallate a Palermo sotto il patrocinio di Garibaldi. Ci furono i primi interventi repressivi e le prime accuse nell’estate del 1862. Dopo il fallimento dell’impresa garibaldina in Aspromonte, la repressione si fece più violenta sia contro il partito d’azione sia contro il clero sospettato di borbonismo e di alleanza borbonico-repubblicana. In questo contesto va collocata la testimonianza del nipote del Guarino il quale afferma che lo zio riuscì a evitare l’arresto di mons. Giovanni Guttadauro, vescovo di Caltanissetta, ritenuto molto tiepido nei confronti del nuovo regime. Il luogotenente Alessandro De La Rovere chiamò a Palermo il Guttadauro che si era rifiutato di cantare il Te Deum per la festa dello Statuto. Le persone che vollero patrocinare la sua causa, secondo il giornale cattolico “Il Presente”, furono accolte malissimo col pretesto della libertà di coscienza26. L’azione del Guarino poté allora essere determinante nella soluzione di quel problema. La sua moderazione e prudenza, oltre che l’assoluta onestà di vita gli attiravano un particolare rispetto. Nei Ricordi storici si racconta un episodio significativo dal quale emerge la preoccupazione esclusivamente religiosa e morale nel rapporto del Guarino con gli uomini del governo luogotenenziale:
L’avvocato Malattesi [Maltesi?], allora Ministro e Vice Direttore di Grazia e Giustizia, ammirando nel Canonico Guarino le belle qualità morali e dottrinali, che preziosamente l’ornavano, gli entrò in affettuosa dimestichezza. Un giorno gli disse: «Sig. Canonico, venga qualche volta a Palazzo, se non altro in segno di gradimento degli inviti del Luogotenente». «E a che fare? - rispose il Canonico - Verrei ad un solo patto, che mi facciate trovare una cotta con la stola e col secchietto dell’acqua benedetta per cacciarvi tutti i diavoli, perché lei, che è galantuomo, deve averne almeno dieci; poi chi sa quanti, gli altri!». Il ministro, che lo stimava d’antico tempo, sin da quando frequentavalo per affari di sua professione, vi rise sopra, ed avendone avuta la occasione, narrò tale aneddoto al Della Rovere, encomiando il candore e la fermezza di carattere del Canonico Guarino. Di qui la curiosità del Luogotenente di volerlo conoscere, e la visita del Guarino in compagnia del ministro Malattesi. Venuto al Palazzo fu ricevuto dal De La Rovere in atteggiamento militare all’impiedi. «Eccellenza, son venuto per ringraziarla delle cortesie fattemi con i suoi inviti per intervenire alle soirées; ma mi permetta una franca parola! La santità di quest’abito, (mettendo le dita al petto), mi ha ricordato il dovere di non profittarne». A tali parole il De La Rovere, facendo un passo indietro, e, figgendo gli occhi al Guarino, ruppe così il silenzio: «Vi ammiro!... È venuto qualche prete, ma eh!... Avete ragione, fate bene a starvene in casa, facendomi arrivare i bei rapporti, che leggo sempre con piacere. Ma avreste difficoltà, Sig. Canonico ad onorarmi domani a pranzo?». Legato con modi così cortesi, il domani vi si recò col Ministro. Gl’invitati erano dodici, tutti uomini, e durante il pranzo non si parlò d’altro che delle belle processioni di Palermo e delle belle stole dei Parroci. Finalmente il De La Rovere disse da solo al Ministro: «Vi raccomando di non dare argomenti di gridare al Canonico; quando grida, grida per la Giustizia. Guardategli la fronte». E d’allora in poi cominciò a rimettere a lui le pratiche colla puntata «Al Canonico pel suo parere»; e quando costui vi scriveva urta coi Canoni, il Luogotenente scriveva sotto: «Si conservi".27
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23 Per i funerali dei morti della guerra d’indipendenza a Bivona, 3.7.1860, ASP, Ministero e real segreteria di Stato presso il luogotenente generale, Ministero di grazia e giustizia, b. 621. 24 “Fu parimenti stimato e consultato dall’Ugdulena e dal Raeli, ministri della rivoluzione del 1860 come lo era stato sotto il governo borbonico”, F. Parlati sulla “Libertà” di Napoli, 27-28.7.1897, riportato in Ricordi storici, cit., p. 44. 25 Quadro del sac. Guarino del 16.9.1863, ASP, Ministero e real segreteria di stato presso il luogotenente generale, b. 2115, fasc. Dichiarazione degli impiegati dei dicasteri. 26 Cfr. F.M. Stabile, Il clero palermitano nel primo decennio dell’unità d’Italia (1860-1870), Palermo 1978, vol. 1, p. 107. La testimonianza del nipote sull’intervento del Guarino a favore di mons. Guttadauro, in De Gregorio, Il card. G. Guarino, cit., p. 39. 27 Ricordi storici, cit., p. 15. |
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