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Francesco Michele Stabile Il Card. Giuseppe Guarino IntraText CT - Lettura del testo |
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Difensore dei diritti della chiesa Maturava in questo periodo nel Guarino la convinzione di un possibile suo ruolo di mediazione come ufficiale nell’amministrazione civile per salvaguardare il più possibile le libertà della Chiesa. L’analisi delle carte firmate dal Guarino presso il Dipartimento per il culto confermano le testimonianze che lo presentano come difensore della libertà della chiesa e in modo particolare dell’autorità dei vescovi e dei beni ecclesiastici. Non è possibile riferire su tutta l’attività svolta dal Guarino durante i due anni che egli passò al Ministero e real segreteria di stato nel dipartimento ecclesiastico. Passarono sotto le sue mani le problematiche più disparate che abbracciavano il contenzioso ecclesiastico, la disciplina del clero, l’amministrazione dei beni ecclesiastici, le concessioni di esecutoria alle dispense e agli atti pontifici, le richieste di intervento per fare osservare le norme ecclesiastiche. Uno dei problemi più dibattuti a partire dalla seconda metà del settecento era in Sicilia quello riguardante i beni ecclesiastici. La monarchia borbonica, incamerando i beni gesuitici dopo la soppressione della Compagnia di Gesù, aveva aperto la strada all’accaparramento di essi da parte della borghesia emergente. Si trattava di mettere in circolazione di mercato beni di manomorta, ma si trattava anche di trovare appoggio in una borghesia capace di contrastare a favore della corona il predominio baronale. Anche la nobiltà poteva avere interessi su quei beni se non altro per evitare che le attenzioni della borghesia convergessero sui loro immensi possedimenti. Le grandi riforme non sortirono effetti consistenti, ma corrosero di fatto il grande patrimonio ecclesiastico. Con la venuta di Garibaldi si riapriva la lotta per la terra e molte furono le promesse fatte ai contadini poi non mantenute. A parte le requisizioni di chiese per alloggio dei soldati, Garibaldi impose una tassa del 2% sul capitale della rendita imponibile degli immobili posseduti dagli enti religiosi, che significava di fatto una forma di incameramento. L’impegno del Guarino fu quello di non far rientrare nella tassa alcuni immobili di congregazioni dedite alla beneficenza28. Il compito comunque più delicato e più rilevante in cui Guarino mostrò tutta la sua fermezza fu lo sforzo di convincimento presso il nuovo regime prodittatoriale ad appoggiare l’autorità dei vescovi e la disciplina ecclesiastica in un momento in cui nel clima di libertà portato dalla rivoluzione sembrava non reggessero gli antichi vincoli di obbedienza gerarchica e si rompevano gli equilibri della vita delle varie comunità religiose. Poichè a causa della mentalità indotta dalla presenza del tribunale di monarchia sicula era normale che il clero chiedesse l’intervento del governo per risolvere i problemi interni alle case religiose, diventava risolutivo l’atteggiamento del nuovo governo29. Nell’estate del 1860 la classe dirigente locale, che aveva fatto la rivoluzione, aveva interesse ad accreditare il nuovo regime, secondando la religiosità popolare ed evitando attriti con le autorità ecclesiastiche. In questo clima gli interventi del Guarino trovarono più facile accoglienza presso il governo. Di ispirazione del Guarino dovette essere la nota inviata all’arcivescovo Naselli di Palermo in risposta alla sua lamentela sull’atteggiamento di parte del clero a favore della costituzione di una legione ecclesiastica che doveva seguire l’esercito garibaldino alla conquista di Napoli. “Io come persona - aveva scritto l’arcivescovo al segretario di stato Vincenzo Errante - sono disposto a soffrir tutto, ma come arcivescovo voglio che non sia menomato il rispetto dovuto alla podestà ecclesiastica diocesana”. “I mutati ordini politici - rispose Vincenzo Errante - non che guastare l’opera di nostra santa religione, mirano all’esaltamento di essa e però al mantenimento de’ legami gerarchici che tanta parte ne sono”30. Questa linea era già del Guarino prima dello sbarco di Garibaldi. Infatti nel marzo di quello stesso anno due preti, laureati in medicina, avevano protestato presso il governo perché nella chiesa del Gran Cancelliere veniva richiesto l’uso della veste talare per la celebrazione della messa. Per loro una tale richiesta era solo rigorismo giansenista. Il Guarino, seguendo la prassi, dopo aver chiesto informazioni all’arcivescovo di Palermo sulla legislazione vigente in diocesi, scrisse al Luogotenente perché intervenisse a tutelare il diritto ecclesiastico, dal momento che quelle norme erano state volute dai vescovi nella congregazione generale del 1850 e approvate dal re:
Vostra Eccellenza nella sua saviezza comprenderà di leggieri che essendo quelle statuizioni sancite dalla Maestà del Re, essendo alla Sovranità confidato il debito d’invigilare sulla scrupolosa osservanza di ogni maniera di Sacri Canoni, sarebbe grandemente opportuno che si richiamasse in vigore la regola [della veste talare] sì che i contravventori vi si sottoponessero, né i restii avessero adito a richiamarsene.31
E qualche tempo dopo, a nome del governo prodittatoriale, quando il giudice di monarchia chiese l’intervento del governo, lamentando la indisciplina dei frati minori conventuali di Trapani, “i quali - scriveva - profittando della natura dei tempi si impegnano senza alcun freno di vivere liberi della libertà del secolo”, Guarino fece rispondere dal segretario di stato di “apprendere con grave rincrescimento i disordini di coloro, che destinati dal cielo alla morale educazione del popolo, se ne fanno invece corruttori coll’esempio tristissimo di riluttare alla legge e all’autorità”32. Così pure a un frate crocifero che accusava di arbitrio i frati della sua provincia monastica, faceva scrivere dal segretario di stato al governatore della provincia di Girgenti che “il governo non tollera[va] l’insubordinazione”. Che il frate quindi prima si recasse al luogo dove era stato designato e dopo muovesse ricorso contro i superiori presso il giudice di monarchia33. La difesa dell’autorità dei vescovi e dei superiori religiosi non era però senza discernimento. Egli indirizzava l’intervento del governo come elemento di equilibrio e di giustizia. Il 3 marzo 1860 il direttore di polizia borbonica Maniscalco inviò al direttore del dipartimento di grazia e giustizia per gli affari ecclesiastici una richiesta dell’arcivescovo di Siracusa contro tre preti accusati di aver pubblicato libelli infamatori contro l’arcivescovo e due parroci, nella quale chiedeva per due di essi la relegazione nel convento di Gibilmanna. La bozza di risposta dell’8 marzo, scritta dal Guarino, è interessante: libelli e fatti descritti nella richiesta dell’arcivescovo meritano punizione, “ma non posso tacerle - scriveva il Guarino - come la mia coscienza non possa tranquillamente ritenere con assoluta certezza reo di quelle indegne cose il Sac.te d. Benedetto Monforte dappoiché venia egli ammesso dall’ordinario Diocesano ad un concorso parrocchiale, e non ebbe la prima sospensione a divinis, che quando mosse reclamo al Real Governo per richiamarsi gli originali del concorso. Da quell’incidente in poi cominciarono le varie voci della condotta del Monforte e i di lui castighi”. Riteneva inoltre il Guarino che da prove esistenti nel dipartimento su svariate materie c’erano forti ragioni per ritenere che l’arcivescovo fosse condizionato da gente che l’accerchiava. D’altra parte se la polizia aveva elementi di prova, la pena della reclusione a Gibilmanna era poco rilevante34. Indipendentemente quindi dal regime politico, il Guarino perseguiva all’interno della sua concezione regalista un piano di consolidamento del sistema ecclesiastico. A suo modo portava avanti una sua riforma disciplinare del clero secondo un modello tridentino, ma riteneva ancora indispensabile compito del governo “d’invigilare sulla scrupolosa osservanza di ogni maniera di Sacri canoni”35. Nel 1862 veniva approvata la legge proposta da Simone Corleo per la censuazione forzata e redimibile dei beni ecclesiastici, che, pur rimettendo in circolazione i beni di manomorta, escludeva i contadini a favore dei possessori di capitali. Nell’estate la crisi di Aspromonte favoriva gli interventi repressivi del governo nei confronti delle opposizioni, tra le quali veniva ora compreso il clero. Si concludeva ormai l’esperienza di autonomia limitata espressa dalla Luogotenenza. Si indeboliva così anche la tradizione giuridica ecclesiastica e dei suoi istituti quali il ministero del culto e il tribunale della regia monarchia. Il centralismo italiano della destra applicava ormai criteri genericamente nazionali che allentavano i controlli più squisitamente religiosi, accentuando invece quelli politici. Alla fine del 1862 la Luogotenenza veniva infatti abolita e le province siciliane venivano equiparate a tutte le altre nella diretta dipendenza dal governo centrale del paese che era ancora a Torino. Gli uffici dei vari ministeri siciliani vennero smobilitati; gli impiegati nel febbraio 1863 in parte vennero trasferiti, in parte vennero messi in disponibilità o buttati nel lastrico. Tra gli impiegati del ministero di grazia e giustizia e del culto messi in disponibilità troviamo il nostro canonico Guarino. In una nota del 14 settembre di quell’anno troviamo infatti elencato senza destinazione il Guarino al quale come capo sezione spettava uno stipendio annuo di £ 4.000 che però gli veniva pagato solo per metà, essendo messo in disponibilità36. Guarino tuttavia nel settembre 1863 prestava servizio nella procura generale del re presso la corte di appello di Palermo nell’ufficio di nuova creazione dell’exequatur. Quella destinazione, voluta dal ministero di grazia e giustizia, era un’assegnazione provvisoria in attesa di una sistemazione definitiva. Alla richiesta del prefetto di Palermo sulle possibili assegnazioni degli impiegati dell’ex ministero di grazia e giustizia e del culto nei ruoli di magistrati o di segretari presso la corte di appello, il procuratore generale N. Maurigi rispose di essere propenso a un inserimento di questi impiegati nel ruolo di segretari per le loro capacità e professionalità, ma eccettuava il Guarino per le sue qualità intellettuali.
Beninteso - continuava - che siffatte mie osservazioni non si estendono al can. Guarino di cui son note abbastanza le eminenti qualità intellettuali, e le positive conoscenze in diritto canonico per le quali è stato dal R. Governo addetto esclusivamente all’importante servizio del R. Exequatur.37
Dal quadro di servizio del Guarino che accompagnava la lettera del procuratore risulta che in quel periodo egli già viveva con la madre settuagenaria. Nella colonna “desideri dell’impiegato” leggiamo: “Rimanere all’ufficio in cui trovasi destinato con Regio Decreto”. Il desiderio del Guarino veniva appoggiato dal procuratore generale presso la corte di appello N. Maurigi, come risulta dalla lettera al prefetto e come viene ripetuto nella colonna informativa sulle attitudini del Guarino38. Che succede dopo? Perchè lascia definitivamente l’impiego? Che altri fatti sono sopravvenuti? Che valore ha la testimonianza del nipote su promesse di pensioni o abbazie e sul rifiuto di andare a Torino? da dove risulta? Sappiamo solo che in sei anni vide morire diversi suoi familiari. Scriveva nel 1883 al sac. Vincenzo Mucoli che aveva perduto la madre:
Ne sono afflittissimo, e posso ben considerare l'amarezza del suo cuore io che in sei anni vidi sparire la mia famiglia, padre, madre, sorella, fratello, tutti gli zii paterni e materni! Ma che fare, mio caro figlio? Si adoperi a trarne abbondante conforto dalle Piaghe amorose del Signor nostro Crocifisso e dalla nostra cara Madre Addolorata. La dipartita della madre lascia più profonde nel nostro cuore le impressioni del dolore: è quella della madre la figura più amabile che resta impressa nel nostro spirito: ma Iddio non fa eccezioni alle sue leggi, e ci è mestieri adorare in silenzio e con umile e dolce rassegnazione la sua adorabile volontà sempre santa, sempre provvida, sempre amorosa, perché Egli è per essenza santo, provvido, amoroso, e non cerca che il nostro meglio e la nostra santità.39
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28 Intervento a favore dei regolari Benefratelli dell’ospedale di Palermo, 31.8.1860; a favore della parrocchia di Giardini, (ASP, Ministero e real segreteria di stato, Ministero di grazia e giustizia, bb. 617, 620). 29 A titolo di esempio: il capitolo dei Riformati francescani chiese al governo rivoluzionario di inviare una persona autorevole a presiedere il capitolo per garantire la libertà ed evitare il prevalere di interessi di parte, 13.9.1860, ivi, b. 621. 30 Lett. di mons. G.B. Naselli al ministro V. Errante e risposta del ministro, 9.8.1860, ASAP, Carte Naselli, vol. 3, f. 610, Cfr. F.M. Stabile, Il clero palermitano, cit., pp. 58-59. 31 Sui preti Ricca e Tripi, ASP, Ministero e real segreteria di stato, presso il luogotenente generale, Ecclesiastico, b. 620. 32 Lett. 27.8.1860, ivi. 33 Lett. 3.11.1860, ivi, b. 621. 34 Libelli contro l’arcivescovo di Siracusa, ivi, b. 617. 35 Cfr. nota 29. 36 Quadro del sac. Guarino: “Sac. Giuseppe Guarino, capo di sezione. Stipendio: £ 4.000 annue. Uffizio nel quale presta servizio: Procura Generale del Re presso la Corte di Appello in Palermo, e segnatamente per Regio Exequatur come il Ministero ha per lui disposto. Stato di servizio: nominato segretario del Tribunale della Regia Monarchia ed Apostolica Legazia nel marzo 1855. Promosso uffiziale di prima classe e di carico (capo sezione) presso il Dicastero degli Affari Ecclesiastici della Segreteria reale in Sicilia nel 1859. Promosso a capo sezione proprietario presso lo stesso Dicastero con decreto prodittatoriale di ottobre 1860. Stato di famiglia: convive con la madre settuagenaria. Desideri dell’impiegato: rimanere all’ufficio in cui trovasi destinato con Regio Decreto. Informazione sull’attitudine ai detti posti: il Procuratore Gen.le presso la Corte di Appello in Palermo ha riferito che son note abbastanza le eminenti qualità intellettuali e le positive conoscenze in diritto canonico del Sig. Canonico Guarino per le quali è stato dal Regio Governo addetto esclusivamente all’importante servizio del Regio Exequatur. Visto: il reggente Proc.re Gen.le N. Maurigi” (ASP, Ministero e real segreteria di stato presso il luogotenente generale, Ministero di grazia e giustizia, b. 2115, fasc. Dichiarazioni degli impiegati dei dicasteri di grazia e giustizia e dei culti). 37 Lett. del reggente procuratore generale del re Nicola Maurigi al prefetto di Palermo, 25.9.1863, ivi. 38 Ivi. 39 Lett. al p. Vincenzo Mucoli, 29.4.1883, ASF, b. LXIII, f. 5g. |
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