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Francesco Michele Stabile
Il Card. Giuseppe Guarino

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  • Guarino a Palermo
    • Il clero zelante e la libertà della chiesa
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Il clero zelante e la libertà della chiesa

            Dall’autunno del 1860, quando il clero aveva collaborato al giornale “Religione e Patria” e aveva creduto a una possibile armonia tra la tradizione religiosa cattolica e il nuovo stato unitario, era maturata a poco a poco la convinzione che questo accordo non fosse possibile, non tanto per rifiuto del clero, ma per la politica oppressiva del nuovo regime nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche. Nel 1863 serpeggiava una grande delusione nel clero:

 

                Dunque - si chiedevano i preti zelanti - nel nuovo regno non possono accoppiarsi libertà e giustizia? [...] o finalmente dobbiam credere che non si potrà mai ottenere o rassodare l’indipendenza e l’unità d’Italia senza una fiera persecuzione contro i dommi, la morale, tutte le istituzioni della sola religione dello stato e contro tutti i ministri del santuario, dal sovrano pontefice fino al più umile fraticello? 40

 

            Poichè lo stato non garantiva più la chiesa o una società permeata di cattolicesimo, anzi venivano attaccate pesantemente non solo dagli interventi governativi, ma ancor più dalla propaganda massonica e laicista, questi giovani preti capirono che bisognava essere presenti nella società con idee proprie, con programmi propri per essere pronti a quella che si cominciò a considerare soprattutto come una lotta religiosa.

            Maturava in quegli anni una svolta in tanta parte del clero che orientava a una nuova pastoralità non più ancorata all’appoggio del potere statale e che nasceva da un intenso bisogno di evangelizzazione e di organizzazione del laicato cattolico. Questa pastoralità, nonostante le vecchie remore giurisdizionaliste alla istituzione ecclesiastica, trovava nel regime liberale una stagione di più libera iniziativa e di maggiori stimoli nella salvaguardia della fede del popolo quando sembrava quasi che la fine dell’unità religiosa della società siciliana fondata sulla monarchia, potesse segnare anche la fine della fede del popolo e l’allontanamento di esso dalla chiesa istituzionale.

            Ci si rendeva conto ormai che i tempi erano cambiati, che in regime liberale di separazione tra chiesa e stato non reggeva più l’impalcatura regalista della cultura ecclesiastica siciliana, che diventava sempre più, e molti lo avevano capito anche prima, una giustificazione per la limitazione della libertà della chiesa.

            L’ecclesiologia romana sembrava necessaria ormai per ritrovare nel papa il polo unificante della chiesa, anziché nella monarchia. Eliminando le ultime ambigue interferenze laicali della monarchia, si accentuava maggiormente il ruolo del clero nella chiesa siciliana e si favoriva una più viva forza spirituale del clero attraverso una riforma disciplinare e spirituale che lo rendesse idoneo a una nuova presenza nella società secolare. Si affermava una chiesa più viva, ma più clericale. Il laicato cattolico faceva grande fatica ad esprimersi a causa della tradizione regalista che gli impediva di accettare il progetto di una società cristiana sotto una guida papale per un verso e della preoccupazione e il sospetto con cui era guardata dai vescovi e dal clero ogni sua iniziativa per paura della sua mentalità di indipendenza dalla gerarchia per altro verso.

            Questo itinerario interiore verso una nuova cultura e pastoralità si manifesta pure nel Guarino proprio in quegli anni. La sua formazione regalista che giustificava l’intervento diretto dello stato nella vita interna della chiesa subì un ripensamento. La sua esperienza nel ministero di grazia e giustizia e del culto, l’affermarsi della mentalità laicista convinse anche Guarino che nella fedeltà dell’isola alla chiesa romana, anche sul piano giuridico, dopo secoli di lontananza, c’era la possibilità di salvaguardare la libertà della chiesa e la fede del popolo. Scriverà più tardi al p. Cirino, teatino:

 

                Sono intimamente convinto, e mi permetto dirlo alla buona, che l'ira del cielo fu da noi medesimi provocata. Il clero secolare e regolare, almeno di queste contrade, era fuorviato: la Bontà divina era stanca di tollerarci e venne la bufera da tanto tempo preveduta e attesa. Ai miei amici io era solito dire a Palermo nei momenti dei rovesci di ogni genere, delle soppressioni, degl'incameramenti , dello sfacelo generale: fratelli miei guardiamo il cielo, non guardiamo Torino: i governanti non sono che strumenti della Divina Giustizia: [...]. Dovendo dunque riedificare le rovine, bisogna incitare Giuda Maccabeo a chiamare persone adatte "voluntatem habentes in lege Dei" e capaci. Che vale rialzare un convento sulle basi medesime che produssero le rovine? E' mestieri, adunque, che si cominci, ma sul serio; che si edifichi, ma solidamente; che si ricostruisca, ma su altre basi. I conventi han bisogno di uomini di Dio, di uomini di orazione, di uomini di abnegazione, di uomini atti a divenire dotti. Senza di questo è tempo ed opera sprecata continuare coi sistemi antichi.41

 

            La conclusione della carriera impiegatizia nella struttura statale sancisce quindi la svolta più rilevante della sua vita: Guarino può esprimere con più libertà il suo pensiero e fare la sua battaglia come uomo di fede e di cultura. La collaborazione con il giornale “Il Presente” nell’autunno del 1863 fu il primo segnale di questa svolta che era già maturata.

            Il giornale “Il Presente”, voluto dal marchese Vincenzo Mortillaro, non voleva porsi in difesa del passato, rifiutava la retorica del futuro, ma richiamava all’attenzione del presente, un’attenzione critica all’operato del governo in Sicilia dopo lo stato d’assedio condotto durante l’estate del 1863 dal generale Govone nella Sicilia occidentale: contro i renitenti alla leva - si disse -, in realtà per prostrare le opposizioni politiche al governo. In primo piano c’era la difesa appassionata della Sicilia e della sua religione42.

            Il Mira nella sua Bibliografia sicula ci dà alcuni titoli di articoli scritti dal Guarino per “Il Presente”. Nel primo intervento Guarino commenta la formula “Libera Chiesa in libero Stato” per iniziare la sua battaglia antiregalista. Come già accennavo, era ancora vivo il desiderio del clero di fare sintesi e armonia tra il positivo progresso della storia e la fede cristiana. Il clero zelante palermitano e siciliano non aveva dimenticato la lezione di libertà di Gioacchino Ventura, attenta sia alla libertà della chiesa dal potere civile sia alla libertà dei popoli dai governi assoluti. Questa reciproca libertà, secondo il Guarino, era stata sempre l’aspirazione delle popolazioni sinceramente cattoliche, perché la chiesa senza la libertà non può dare “svolgimento” ai suoi principi disciplinari. Ma storia e fede però si muovono su binari diversi che però non devono estraniarsi: le opere di Dio infatti sono distinte da quelle dell’uomo.

           

                Quanto all’opre dell’uomo - scriveva - il mondo cammina; chi si voglia fermare, sarà calpestato dalle sue ruote, non bisogna arrestarsi.

 

            Il mondo delle opere dell’uomo cioè la storia, che ha una sua linea di progresso o meglio di cambiamento, rimane tuttavia nell’effimero, carico di incertezze del futuro e disorientamento di vita:

 

                E la storia colle sue lezioni, l’esperienza coi suoi disinganni, la rivoluzione con le sue esigenze, l’antico che cade a pezzi, il nuovo che invade, che avanza, e che trabocca - tutto vi persuade essere il mondo in continuo spettacolo or di una novità, che sorprende, or di una complicazione, che sbalordisce, or di una grandezza, che o entusiasma o intimorisce.43

 

            Perciò il Guarino si chiedeva: “Siamo noi in progresso morale?”44. E per non suscitare malintese interpretazioni precisò che il suo era un giudizio morale sul mondo moderno e non una valutazione politica sul nuovo assetto liberale. E comunque anche lui da giovane non si sarebbe sognato di porsi questo interrogativo, perché l’entusiasmo per il progresso era senza condizioni. Però già da molti anni era diventato critico nei confronti dell’idea di progresso, quando si era accorto che, a una analisi più attenta, alcune idee moderne di fondo erano immorali. Non si dichiarava contrario al progresso in quanto tale, ma al progresso senza istanza religiosa e morale o meglio senza la chiesa: “Sol può salvarlo [il mondo] il maritaggio dello spirito del progresso con la religione”45.

            In lui poi, uomo profondamente conservatore e amante dell’ordine, il nuovo indirizzo romantico, con il suo richiamo a una religione meno istituzionalizzata, sembrava tradimento del vangelo e suo scadimento in un sentimentalismo sensuale, che apriva la strada dell’edonismo e del materialismo, oltre che alla superstizione delle tavole parlanti.

            L’angolazione esclusivamente morale della sua valutazione, limitata ad alcuni aspetti della vita e della cultura moderna, lo portavano a giudicare fallimentari le opere dell’uomo: “Il mondo è stato sempre una vera tragi-commedia”46. Perciò la storia diventa puro spettacolo se non è coniugata con la fede e la morale che, sole immutabili ed eterne, sono in grado di darle consistenza e verità. Ma come deve avvenire questa coniugazione? Accettando i principi cristiani. E, anche sul piano istituzionale, riconoscendo la chiesa come società autonoma. È vero che i principi disciplinari della chiesa non sono immutabili ed eterni come quelli morali e di fede e hanno perciò bisogno di adattamento nel rapporto con gli stati cattolici, ma questo adattamento deve consistere nel preservare la libertà della chiesa da desuete intrusioni del potere civile nella vita interna della chiesa. Non si trattava quindi di ritornare ai rapporti tra chiesa e stato del vecchio regime, ma di aprire una nuova modalità che vedesse il clero più legato alla chiesa che alla monarchia.

            Guarino così capovolgeva il problema accusando il potere civile di non riconoscere il principio di libertà. Ripropose perciò la teoria delle due società autonome ed originarie, chiesa e stato, che però devono coesistere dandosi la mano. Respingeva la teoria del Tanucci della chiesa nello stato con la quale si giustificava il regalismo e rifiutava la teoria della separazione di Lamennais, che Guarino riteneva espressione di indifferentismo e agnosticismo. Chiesa e stato hanno lo stesso fine, mirano “allo svolgimento  del vero progresso morale e civile; hanno di mira la prosperità, la pace, la educazione morale, il buono avviamento dei popoli”47. Solo così, secondo il Guarino, si attuava la libera chiesa in libero stato.

            C’è in lui la stessa passione di Rosmini per la libertà della chiesa, ma Guarino rimane nel contesto di una cultura giuridica siciliana e meridionale che non riesce a ipotizzare un modello più spirituale di chiesa. La sua lotta per la libertà della chiesa si risolveva nella difesa delle sue prerogative giuridiche, d’altronde in maniera consona alla sua concezione ecclesiologica fortemente societaria. Il suo modello era Gregorio VII.

            La sua concezione di Chiesa risentiva della polemica controriformista. Voleva una chiesa fortemente gerarchica e diseguale, il cui potere non era circoscrivibile solo nell’ambito della fede e della morale, ma anche estensibile al piano disciplinare48. Anche se esprimeva l’istanza di una armonia tra chiesa e stato, di gelasiana memoria, il Guarino in realtà raccoglieva la tradizione canonistica romana e curiale, rinverdendo il concetto di cristianità secondo cui lo stato era a servizio non solo della verità, ma della chiesa nel raggiungimento dell’unico fine dell’uomo che è la vita eterna.

 

                Si riconobbe infine essere la chiesa una perfetta società affatto indipendente, e la civile repubblica in così stretto vincolo a lei unita e congiunta, che dall’una e dall’altra risulti un sol corpo, che appellossi cristiana repubblica, cui presiedono il sacerdozio ed il potere politico, ciascuno per le materie che gli son proprie. Bella unione, che, conservata con senno e prudenza, guida i popoli pel sentiero della vera prosperità; poichè guidando il sacerdote il timone della morale e della disciplina, fa gettare le fondamenta di una giusta, savia, ed opportuna legislazione, vera base della civiltà delle nazioni, ed insegna ai popoli ed ai re la mutua fedeltà, e l’adempimento dei reciproci doveri; - ed avendo il potere politico lo scettro nelle sue mani, insegna ai popoli la venerazione verso la madre comune dei fedeli, perché con libertà disponendo le sue cose, colle provvide sue leggi ed ammaestramenti li conduce per le vie del cielo.49

 

            Guarino mirava a togliere ogni possibile giustificazione alla prassi regalista dello stato sui benefici vacanti, sui ricorsi di abuso contro l’autorità ecclesiastica, sul beneplacito ai documenti papali, e per questo affermava l’autonomia delle due società, senza rinunziare all’impegno dello stato a favore della chiesa. La realtà dello stato moderno invece era cambiata, perché lo stato si dichiarava laico e non confessionale e tutore della libertà religiosa per tutti i cittadini.

 

 




40 “Il Presente”, n. 14, 1863.



41 Lett. al vicario generale dei Teatini p. Cirino, 7.4.1884, ASF, b. LXIII, f. 5a.



42 F.M. Stabile, Il clero, cit., vol. 1, pp. 136-141.



43 “Il Presente”, n. 2, 1863.



44 “Il Presente”, n. 14, 1863.



45 Ivi.



46 Ivi.



47 Ivi, n. 2, 1863.



48 Rigettava le teorie di E. Richer che ammettevano una struttura democratica della chiesa e, contro regalisti e giansenisti, estendeva il potere della chiesa non solo all’ambito della fede e della morale, ma anche a quello della disciplina ecclesiastica.



49 Le regalie, in “Il Presente”, n. 5, 1863.






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