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Francesco Michele Stabile Il Card. Giuseppe Guarino IntraText CT - Lettura del testo |
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La guerra degli episcopi Nel momento della sua nomina aveva ricevuto, come d’altronde gli altri nuovi vescovi, istruzioni da parte del card. Antonelli, segretario di stato, sul modo come doveva comportarsi con il governo47. Qualche giorno dopo riceveva da Antonelli una lettera nella quale si condannava l’atteggiamento del Capitolo di Saluzzo che non era conforme alle istruzioni della Segreteria di stato, e perciò Guarino, inviando la procura per la presa di possesso al vicario capitolare di Siracusa lo aveva avvertito a non seguire l’esempio di quel capitolo. La sua devozione e obbedienza alle indicazioni della Sede apostolica e del papa era pronta fino a dare la vita.
E se questo - scriveva - è un dovere indispensabile dell’Episcopato intero, i novi eletti siamo altresì legati da speciale riconoscenza verso il Padre comune dei fedeli e dei pastori, il quale si degna sollevarci dalla nostra povertà.48
Il tema della libertà della chiesa era stato molto caro a Guarino dopo che aveva lasciato il suo impiego presso il ministero di grazia e giustizia e dei culti. Sul giornale “Il Presente” aveva scritto contro il regalismo e questo spirito riemergeva ora da vescovo:
Per la tutela poi della libertà della Chiesa - scriveva nel 1875 alla congregazione del concilio -, nulla ho mai omesso di ciò che si potesse con vigore osare e con l’aiuto di Dio, fin dal principio del mio ingresso in questa sede, ho del tutto impedito profanazioni e abusi intollerabili che già dal 1860 si erano miseramente introdotti, di mescolare il sacro al profano, di celebrare con rito ecclesiastico feste proibite che chiamano nazionali, di recitare nelle messe e dopo le litanie alcune preghiere contro le proibizioni della Chiesa e cose di simil genere, e con parole dolci ma con tutte le mie forze le ho allontanate senza provocare alla ribellione l’anima di coloro che erano dalla parte opposta.49
Quando nel giugno 1875 Guarino stese la sua relazione sullo stato della diocesi, era già pervenuta ai vescovi siciliani, eletti dalla S. Sede senza il regio exequatur, l’intimazione a lasciare l’amministrazione della mensa e a sgombrare lo stesso episcopio in quanto il governo italiano, guidato dalla destra storica, non avendo dato il suo placet alla nomina, dichiarava di non riconoscere i nuovi eletti, che però da almeno 3 o 4 anni avevano esercitato il loro ministero senza nessun problema da parte del governo. Nella legge delle Guarentigie del 13 marzo 1871 n. 214 il governo italiano aveva rinunciato, oltre al privilegio della Legazia sicula, anche “al diritto di nomina o proposta nella collazione dei benefici maggiori” in tutto il regno, al giuramento dei vescovi, alla collazione dei benefici vacanti (art. 15), all’exequatur e placet regio e a ogni altra forma di assenso governativo per la pubblicazione ed esecuzione degli atti delle autorità ecclesiastiche (art. 16), e all’appello per abuso (art. 17). Ma l’art. 16 nell’abolire l’exequatur e il placet regio per la pubblicazione ed esecuzione degli atti delle autorità ecclesiastiche, stabiliva anche che “fino a quando non sia altrimenti provveduto nella legge speciale, di cui all’art. 18” - sul riordinamento, conservazione ed amministrazione delle proprietà ecclesiastiche - “rimangono soggetti all’exequatur e placet regio gli atti di esse autorità che riguardano la destinazione dei beni ecclesiastici e la provvista dei benefici maggiori e minori, eccetto quelli della città di Roma e delle sedi suburbicarie”. Con un decreto regio provvisorio del 25 giugno 1871 n. 320, in attesa della legge speciale, si stabilì che “gl’investiti di un Beneficio non saranno ammessi al possesso del medesimo prima che il loro titolo sia munito del Regio Exequatur o del Regio Placet. Il decreto veniva attuato con un regolamento che prevedeva l’intimazione ai vescovi di lasciare gli episcopi in quanto parte della mensa vescovile.50 Il Guarino era tra questi. La linea però seguita dal card. Antonelli fu quella di ignorare questo decreto e di imporre ai vescovi di non chiedere l’exequatur al governo per gli atti di nomina della Santa Sede. E così si era comportato Guarino, limitatosi solo a trasmettere la notizia della sua nomina al governo. Subito dopo aver ricevuto l’ingiunzione di lasciare l’episcopio, scrisse al papa e al card. Antonelli per esprimere il suo “indeclinabile attaccamento a Sua Santità e alla S. Sede Apostolica”.51 Il 19 maggio rispose all’intimazione del subeconomo regio di Siracusa, scrivendo all’economo generale di Palermo la sua sorpresa per questa intimazione. Questo economo generale era il sacerdote Vincenzo Crisafulli di origine agrigentina che era stato uno dei candidati a ufficiale del ministero del culto durante il periodo borbonico e che poi era diventato, da acceso regalista, fautore del nuovo regime italiano. La meraviglia di Guarino stava nel fatto che la lettera era indirizzata al vicario capitolare di Siracusa, che non era più in carica dal marzo del 1872, quando il Guarino aveva preso possesso. L’economo manifestava lagnanza al vicario per aver ceduto il palazzo arcivescovile all’arcivescovo non riconosciuto dal governo e, nello stesso tempo, dava ingiunzione di sgombrare l’arcivescovado e di riconsegnarlo al governo. Guarino manifestava la sua meraviglia, perché, nell’atto di prendere possesso del suo ufficio, aveva scritto al ministro di grazia e giustizia per comunicare la sua nomina, anche se non inviava le bolle di nomina per ottenere l’exequatur:
Nel dare pertanto a V. E. notizia della seguita elezione - aveva scritto al ministro - confido, che il Governo darà gli opportuni provvedimenti a rimuovere qualunque ostacolo, che possa impedirmi il pieno esercizio del mio pastorale ufficio.52
Il 27 dello stesso mese di quel 1872 il ministro aveva risposto:
Mi è grado assicurare V. E. che nessuno ostacolo sarà frapposto all’esercizio del suo alto ministero e che il Governo veglierà perché le leggi, le quali guarentiscono la libertà che a quello si appartiene, siano scrupolosamente osservate.53
Su questo il Guarino configurò la sua linea di difesa, contestando che, poiché il governo conosceva la sua nomina ad arcivescovo di Siracusa, il subeconomo non poteva fingere che non ci fosse un arcivescovo a Siracusa, inviando la lettera al vicario capitolare non più in carica da anni. Inoltre il governo con la lettera del ministro si era impegnato a garantire il libero svolgimento del suo ministero che ora, con la perdita della casa arcivescovile, ne veniva a subire detrimento. Se era vero che il vescovo, secondo la legge del 13 maggio 1871, veniva liberamente eletto dalla Santa Sede e non dal governo, era anche vero che l’exequatur riguardava solo il possesso della temporalità, non l’esercizio dell’ufficio. Ma l’episcopio, secondo Guarino, non era da considerare temporalità, ma casa canonica, casa del vescovo legata alla cattedrale e perciò necessaria al libero svolgimento del suo ministero54. A parere dell’economo generale Crisafulli sembrava che all’intimazione i vescovi avrebbero ceduto facilmente, ma a metà maggio la situazione non era secondo le previsioni, perché i vescovi avevano risposto con documenti di protesta. Crisafulli era convinto che le proteste erano suggerite dal Vaticano e che venivano fatte per motivo di coscienza, mostrando così i vescovi di cedere solo alla forza.55 I più duri, a suo avviso, si mostravano l’arcivescovo di Siracusa e l’arcivescovo di Palermo. Come segno di cortesia e, per dare ai vescovi la possibilità di trovarsi un alloggio, l’economo generale concesse una proroga di quindici giorni, dietro minaccia di deferirli al procuratore generale del re in caso di inadempienza e, se era il caso, di usare la forza pubblica per far sgombrare l’episcopio.56 E mentre l’arcivescovo di Monreale si mostrava disposto a non frapporre ostacoli e l’arcivescovo Celesia di Palermo prendeva tempo promettendo di presentare al governo le bolle di nomina, la risposta di Guarino, che nel frattempo era stato nominato arcivescovo di Messina, fu quella di citare in giudizio l’economo generale dei benefici vacanti di Palermo, il suo conterraneo Vincenzo Crisafulli, dichiarando che non avrebbe mai ceduto il palazzo neanche quando sarebbe stato da lui abbandonato.57 Era convinto della sua tesi che l’episcopio non faceva parte della temporalità della mensa, ma era da considerare necessario all’esercizio delle funzioni pastorali del vescovo, come la cattedrale.58 Si trovavano davanti due antichi allievi del Collegio dei santi Agostino e Tommaso che aveva prodotto i più accesi fautori del regalismo siciliano e i più forbiti conoscitori della tradizione giuridica canonica siciliana, solo che ora militavano su campi contrapposti. Sembrò perciò a Crisafulli questa una sfida non solo al governo, ma anche a lui stesso. Telegrafò al subeconomo di Siracusa di procedere allo sgombro del palazzo.59 A favore di Guarino intervenne il prefetto di Siracusa, Berardi, perché si evitasse l’uso della forza dal momento che l’arcivescovo stava per trasferirsi a Messina; chiese perciò al regio economo una dilazione di 15 giorni per evitare “spiacevoli richiami”. D’accordo con lui era anche il procuratore generale del re. Il regio economo allora concesse la proroga di 15 giorni.60 Data la pertinacia di Guarino a portare la causa in tribunale Crisafulli comunicò allora al ministro che, finita la proroga, aveva dato ordini al subeconomo di Siracusa di far sgombrare l’episcopio, e il ministro si mostrò d’accordo.61 Il 16 luglio avvenne lo sgombro forzato dell’episcopio da parte del subeconomo di Siracusa assistito dal delegato di P.S. Non c'era stata resistenza materiale, telegrafò il prefetto al ministro, ma l’arcivescovo aveva dichiarato che cedeva solo alla forza: “tranquillità perfetta soddisfazione tutta parte”.62 Secondo una testimonianza del nipote avv. Pietro Guarino, che aveva appreso notizie dal segretario dell’arcivescovo can. Betagh, l’arcivescovo, uscendo nel cortile del palazzo, trovò circa trecento lavoratori del porto, appartenenti alla fratellanza di S. Sebastiano, i quali, armati di bastoni, gridavano minacciosi che non avrebbero tollerato che il loro pastore lasciasse la sua casa. A questi si erano uniti molti signori della città, che facevano a gara per offrirgli ospitalità nelle loro case. Commosso, il Guarino calmò i confrati e ringraziò per l’ospitalità, ma preferì recarsi nella biblioteca arcivescovile in un appartamentino annesso all’antico seminario.63 Di questi fatti tuttavia non si trova traccia nelle relazioni ufficiali delle autorità civili. Il giorno 20 Guarino dette notizia dei fatti al card. Antonelli, il quale rispose di aver dato corso alla lettera scritta dal Guarino al ministro “affinché non si [potesse] allegare ignoranza della sua traslazione all’arcivescovado di Messina“; inoltre esprimeva dispiacere per l'atto di forza, ma anche soddisfazione per il comportamento del Guarino.64 Rimaneva però in piedi la causa presso il tribunale di Siracusa che si doveva dibattere il 31 agosto.65 La causa tuttavia subì vari rinvii perché nel frattempo il Guarino si era trasferito a Messina, tuttavia nell’udienza del 18 gennaio 1876 i difensori dell’arcivescovo dichiararono che avevano mandato di far cancellare la causa. I legali dell’economato regio si riservarono di prendere posizione, ma Crisafulli fu del parere di lasciar cadere la causa, “per non esporre il regio diritto ad una controversia, quantunque sia esso fondato sopra saldissime basi. L’abbandono da parte del Prelato di quel giudizio - scriveva - non potrà essere interpretata che nel senso di aver egli riconosciuto la futilità della sua pretesa”. Il ministero accettò questa soluzione.66 Ma non fu questo il motivo di Guarino perché i suoi argomenti non erano così peregrini, fondati com’erano sulle ragioni di buon canonista. E' probabile che non volle spingere sia perché era ormai a Messina, sia per non creare intralci a una possibile soluzione della questione sul piano diplomatico.
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47 Lett. al card. Antonelli, 1.3.1872, AV, SS, 1972, Rubrica 3, fasc. 4. 48 Lett. al card. Antonelli, 21.3.1872, ivi. 49 Relatio, II/VIII. 50 Cfr. Mario Tedeschi, Le strutture ecclesiastiche a Messina all’epoca del card. Guarino in Il card. Giuseppe Guarino. Un grande pastore emerge dall’oblio, Messina 1984, pp. 43, 47. Per la questione in generale vedi M. Belardinelli, Il conflitto degli exequatur (1861-1878), Roma 1871. 51 Lett. al card. Antonelli, 16.5.1875 e la risposta di Antonelli 24.5.1875 con la deplorazione del papa per le vessazioni verso i vescovi e la soddisfazione per i sentimenti di Guarino verso Roma, AV, SS, Rubrica 283, fasc. 1. 52 Lett. di Guarino al ministro di grazia e giustizia, 20.3.1872, ACS; Ministero grazia e giustizia, Affari culto, Siracusa b. 125, fasc. 304. 53 Ivi. 54 Lett. all’economo generale dei benefici vacanti, 19.5.1875; lett. del Guarino al ministro di grazia e giustizia, 21.5.1875, ACS, Episcopi della Sicilia 1875-1879, b. 140, fasc. 357. 55 Lett. del regio economo al ministro, 24.5.1875; ivi. 56 Lett. del regio economo al ministro guardasigilli, 6.6.1875, ivi. 57 Lett. al ministro guardasigilli, 21.5.1875, ivi 58 Lett. del regio economo al ministro guardasigilli, 26.6.1875, ivi. 59 Telegramma del regio economo al ministro di grazia e giustizia, 20.6.1875, ivi. 60 Lett. del regio economo al ministro di grazia e giustizia, 1.7.1875, ivi. 61 Lett. del regio economo al ministro, 8.7.1875; risposta del ministro guardasigilli, 14.7.1875, ivi. 62 Lett. del ministro degli interni al guardasigilli 18.7.1875; telegramma del regio economo al guardasigilli, 18.7.1875; ringraziamento del ministro guardasigilli al ministro degli interni, 19.7.1875: lett. del regio economo al ministro guardasigilli, 20.7.1875: risposta del ministro, 23.7.1875; lett. del procuratore generale del re al ministro guardasigilli, 24.7.1875 e risposta 27.7.1875, ivi. 63 Montedoro, pp. 54-55; Ricordi storici, p. 19. 64 Lett. al card. Antonelli, 20.7.1875; risposta del card. Antonelli, AV, SS, 1875, Rubrica 283, fasc. 1, f. 25812. 65 Lett. del ministro degli interni al ministro guardasigilli, 19.8.1875, lett. del regio economo al guardasigilli 19.8.1875; risposta 21.8.1875, ivi. 66 Lett. del regio economo al guardasigilli, 24.1876; risposta, 31.1.76; lett. del regio economo al guardasigilli, 10.3.1876; risposta, 17.3.1876, ivi. |
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