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5. L'episcopio di Messina
Mons. Guarino, soltanto nell'agosto del 1879,
potè avere la consegna del palazzo arcivescovile. Ma già da tempo aveva
iniziato una controversia giudiziaria per difendere i suoi diritti.
Lo stato degli immobili alla consegna era
così disastroso che l'arcivescovo richiese si eseguissero i restauri
indispensabili.
La lite con il subeconomo di Messina si
protrasse ancora per molti anni perché all' arcivescovo non solo erano stati
sottratti dei locali utili e redditizi, ma anche non si era consegnato in
ordine lo stato patrimoniale della mensa.
Per il palazzo vescovile dovette anche
sostenere continue liti con vari ministeri e particolarmente con quello di
Grazia e Giustizia per le spese da lui sostenute. Ne scriveva al nipote:
«In Roma farò presentare nuove mie istanze
dal deputato sig. Barone Cianciolo, dopo una benigna ministeriale di Giolitti,
il quale però non definiva la questione, ma raccomandava all'economo generale
di trattarmi benignamente in considerazione delle molte opere fatte nel palazzo
». 23
Per ottenere il riconoscimento e il rimborso
delle spese sostenute aveva sperato in un intervento del presidente Armò, per
pochi mesi ministro di Grazia e Giustizia, ma non ottenne l'aiuto desiderato.
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Nel dicembre dello stesso anno
scriveva al nipote: « Sono in credito di L. 24.000 (dall'economo generale) ed
egli non l'intende comunque Giolitti gli abbia scritto di trattarmi con
benignità ». 24
Mentre mons. Guarino lottava per ottenere quanto gli
spettava per legge, un nuovo motivo di trepidazione si aggiunse: il municipio
di Messina aveva progettato di espropriare il palazzo arcivescovile per
trasformarlo in sede dei tribunali.
Il 13 dicembre 1884 il sindaco della città
gli inviava una lettera in cui, dopo aver parlato della necessità di
«concentrare le varie magistrature con quel comodo e decoro che si avvengono
all'amministrazione della giustizia» aggiungeva: « Dei disegni e computi
esaminati nei vari tempi, quello che otterrebbe il suffragio di tutti i maestri
dell'arte, che appagherebbe i voti della magistratura e del foro, dico meglio,
il desiderio dell'universale, sarebbe l'adattamento del palazzo arcivescovile
con l'assegnarsi alla sede dell'Arcivescovo il fabbricato di S. Andrea
Avellino, cangiato in appropriato edificio, salve le indennità per i corpi
redditizi spettanti alla mensa vescovile.
Prima che si ponga a partita un iniziativa al
proposito stimo buon senso conoscere se e quali ostacoli fossero da
sorpassarsi; se l'opera sia destinata a compiersi sotto fausto auspicio, quale
sarebbe per me e per tutti l'acconsentimento della S. V. Ill.ma e Rev.ma a
proporre e gettare le prime basi di una convenzione, onde possano venir
conciliati i supremi interessi che attengonsi alla bisogna. Il perché io prego
come meglio so e posso la S. V. che sia contenta aprirmi su questo assunto il
suo pensiero dandole la quale preghiera spero non essere ripreso di arditezza
perché so di qual singolare bontà e prudenza Ella sia.
Aggiungo che sarei stato più ritroso ad
entrare in quest'argomento se l'espropriazione di una parte del palazzo
arcivescovile, quella cioè da occuparsi per il prolungamento della strada
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Garibaldi, non fosse stata (senza veruna opposizione) legalmente
statuita.25
Questa lettera dispiacque moltissimo a mons. Guarino che, inviandone
copia al nipote Beniamino, - che era un bravo avvocato - per studiare insieme
le vie legali per opporvisi, così gli scriveva: « Che la vita dell'uomo sia milizia
ce l'ha detto lo Spirito Santo. Ma che in questi tempi la vita del vescovo sia
milizia in continua, aspra guerra l'ho appreso dopo 12 anni di vescovado.
Leggi l'annessa del sindaco di Messina
arrivatami oggi, appena finito il pranzo, e vedi quale impressione, quale
amarezza ho dovuto riceverne. I nervi son sottosopra e per quanto mi
raccomandassi a Maria Santissima non arrivo a quietarli.
Risponderò l'entrante settimana al sindaco
che non sono se non un semplice usufruttuario e però non posso entrare in
trattative; che la proprietà è rappresentata dal Papa, capo della Chiesa, e che
quindi debba intavolare con la S. Sede le trattative nelle quali io non posso
nè debbo intromettermi.
L'affare della strada accennato ad arte dal
Sindaco investirebbe il Seminario, non il palazzo arcivescovile ». 26
Come, in seguito, scriveva ancora al nipote,
pensava di impostare così la difesa dei suoi diritti:
« Uno dei doveri degli aventi diritto di
patronato sopra un qualsiasi beneficio ecclesiastico imposto dai canoni è la
tutela di tutto ciò che al beneficio e al beneficiale appartiene. Da ciò le
leggi che impongono al regio economo, rappresentante il regio patronato, di
tutelare in tutti i modi e di intervenire coi vescovi, nel sostegno delle cose
appartenenti ai vescovadi. Questo palazzo, come dovunque, fu fabbricato dai
miei antecessori, dagli antecessori miei riedificato dopo i tremuoti, dai
medesimi e da me restaurato.
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Ma questo non toglie che il regio patrono debba tutelarlo
avverso le aggressioni e per canoni e per leggi. Anche il regio procuratore, se
faremo causa, dovrà d'ufficio sostenere le parti favorevoli a me essendo parte
principale per sostegno dei diritti del R. Patrono, il quale concorre con lo
stesso beneficiale a tutelare le cose beneficiarie. Sono leggi.
Io, adunque, diedi notizia ufficiale
all'economo di cui questa sera mi arriva un officio semplicissimo così
concepito: Pregiomi manifestare a S. V. che siami pervenuta la contraddistinta
e non trasanderò di adempiere, per quanto so e posso, il mio dovere ».
27
Da varie fonti, intanto, mons. Guarino aveva appreso che il progetto
del sindaco non era poi condiviso da tutti i suoi consiglieri e perciò poteva
incontrare molte difficoltà.
Ne scriveva al nipote: « Quanto sinora abbiamo pensato cade giù, meno
di riesaminare se, dovendo stare sempre in guardia di un sindaco abbastanza
tenace e di non assonnarmi, convenga prevenire il ministro con rapporto
dettagliato. Ho ancora pronta la pianta della città per dimostrare tra l'altro
l'eccentricità del sito, aggiungi che, contrariamente a quanto osserva il
sindaco, per voto del foro, della magistratura, della città, nessuno dei
magistrati, degli avvocati (meno Perrone Paladini, il famoso direttore della
Campana della Gancia) nessuno dei procuratori legali, nessuno della
magistratura e dei cittadini era sciente dell'insolentissimo progetto, anzi
tutti lo sentono con meraviglia e dispetto ». 28
Facendo perciò leva sui dissensi del
Consiglio comunale e sullo scontento dei magistrati e chiedendo la tutela e
l'intervento del Regio Economato, mons. Guarino riuscì a stornare la minaccia
che il sindaco e il suo gruppo avevano fatto balenare sul suo episcopio.
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