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4. Mons. Guarino e
la sua famiglia
Mons. Guarino fu tenerissimo
con i fratelli e i nipoti; si interessò sempre dei loro studi e professioni,
dei piccoli e grandi problemi delle loro famiglie, partecipando sempre di cuore
ai dolori e alle gioie di esse. Ma non si creda che si sia servito mai del suo
prestigio e della sua influenza per favorirli nella carriera o per ottenere
privilegi e vantaggi. Fratelli e nipoti si fecero strada da sè, secondo le
proprie tendenze.
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Egli però, quando poteva,
interveniva con i suoi consigli per guidarli sulla via del bene.
Il 24 dicembre 1880, avendo
appreso dal fratello Paolino che suo figlio Beniamino pensava di entrare
nell'avvocatura erariale così scriveva a quest'ultimo: « Parmi proprio una
fissazione la quale mi impressiona tanto da lasciare tante persone, come
vigilia del S. Natale, per scriverti due parole. Parmi proprio che tu vuoi
lottare con la Provvidenza. Non vedi che, secondo la tua confessione, gli
affari della tua professione crescono? Perché dunque voler vestirti di una
livrea e perdere la libertà della tua nobile missione di difendere l'oppresso
contro l'oppressore? Mentre poi io sento da tutti i magistrati indistintamente
che se ne vorrebbero uscire. Nessuno, nessuno alla lettera, di quante persone
con cui ho parlato ti consiglia un passo così falso .
Questo è quanto posso dirti
come zio che ti ama senza fine. Assicurati che io sarei addoloratissimo
dell'affermativa ». 18
Mons. Guarino non lasciava
mai occasione per suggerire ai nipoti, ai familiari, un comportamento cristiano
e, quanto più possibile, perfetto: specialmente nelle difficoltà e nelle
malattie li seguiva con il pensiero e la preghiera, 19 li
confortava e li incitava a sperare sempre nella grazia e nell'intervento di
Dio.
Durante una malattia di Paolinuccio, figlio di Beniamino, scriveva al
nipote: « Fa gran cuore: il fanciullo starà bene come spero dalla Madonna
Santissima e dalla gran serva di Dio, Suor Agnese Chiara Steiner, tedesca ma
badessa del monastero delle clarisse di Nocera Umbra. È una santa morta nel
1862, ha fatto molti miracoli, e tali miracoli da avere ordinato il Papa che si
procedesse al processo e all'introduzione della causa di canonizzazione. Ne ho
letto la vita e ne rimasi sorpreso ed innamorato. Mi arriva or ora dal vescovo
di quella città l'annessa reliquia. Mettila addosso al fanciullo e poi
conservatela con molta devozione in famiglia per servirvene in ogni bisogno ».
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Come risulta da
tanti passi delle lettere, si preoccupava moltissimo dell'educazione cristiana
di tutti i suoi. Quando seppe che il nipote Beniamino aveva mandato i suoi
figli all'istituto Randazzo, gestito da educatori laicisti, scrisse al nipote
una lettera quanto mai pressante: « Mi arriva assai tormentoso l'annuncio che
mandi i cari figlioli più grandetti alle scuole dell'istituto Randazzo. Anche
tu ti sei lasciato illudere dalle ipocrite apparenze di codesto pessimo
istituto. Lo so: molte famiglie rispettabili di costà sono illuse, anche preti
si sono illusi, anche il marchese Arezzo si era illuso con danno gravissimo dei
suoi figli e bisognò torli via.
Per l'amor di Dio, figlio
mio, apri gli occhi e leva di là i cari figliuoli, gemme d'innocenza. Ma perché
non in Monreale? Se ti sembra che sono ancora troppo piccoli, ti consiglio, per
quest'anno, farli istruire in casa da qualche prete o anche da qualche buon
laico che potrebbe indicarti il can. Pennino. Ma ti prego, ti scongiuro, ti
esorto a torli via dall'Istituto Randazzo, subito, subito.
La notizia mi ha fatto così
triste impressione che era sul punto di partire per Palermo onde aggiustare
questa faccenda. Ma confido molto nel tuo affetto per me e pei tuoi figli e
nella tua sperimentata docilità ». 21
Preoccupazioni e dispiaceri soffrì mons. Guarino a causa del nipote
Angelo, per le sue stravaganze, la volubilità affettiva e le scelte che non gli
sembravano encomiabili.
Più volte egli se ne
interessò scrivendo agli altri parenti perché lo consigliassero bene, lo
richiamassero; voleva anche intervenire di autorità, ma lo avrebbe ascoltato?
Suggeriva che si adoperassero la persuasione, i modi gentili, ma fermi. Ma non
si ottenne alcun effetto.
Quando poi Angelo scrisse
allo zio parlandogli di un suo futuro matrimonio non gradito alla famigia,
mons. Guarino gli rispose con questa lettera, che egli stesso definiva
glaciale: « L'impressione ricevuta dalla tua lettera non mi ha permesso fin'ora
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di riscontrarla. Vedo già che la parola del mio affetto non trova eco
nella tua mente e nel tuo cuore e che puoi e vuoi fare a meno dello zio, il
solo che rimane in piedi, dopo la morte di papà e che, ingannato, credeva di
potere qualche cosa presso i singoli della famiglia. Non devo dunque che
ritirarmi e chiudermi nel mio dolore.
Ossequia l'afflitta mamà, se
pure la cieca passione ti permette di avere una madre alla quale dovrebbesi ben
altre riverenza e considerazione. Addio ». 22
Un mese dopo, ad una lettera di Angelo che gli chiedeva il suo consenso
per
un progetto matrimoniale rispose negativamente perché - scriveva ad
altro nipote - « non poteva e non potrò mai aderire a cosa che formerebbe la di
lui rovina ». 23
Ma lo stesso giorno scriveva
alla moglie di Beniamino, Concettina, così:
Angelino è costà; ti raccomando la calma e la dolcezza e per te stessa
perché l'agitazione può esserti nello stato attuale (era in attesa) sommamente
nociva e pel bene della cosa. Angelo non ha cuore da potersi irritare perché si
rompe nel dispetto. Ha cuore che bisogna porre in calma. Parole calme,
dignitose, con amore e persuasive, ecco la via da battere ». 24
Seguiva con attenzione la
vita della famiglia in tutti i suoi aspetti e voleva essere informato di ogni
cosa..
Per vari motivi il nipote
Beniamino, una volta, ritardò per un certo tempo di scrivergli. Mons. Guarino
lo richiamò con questa graziosissima lettera: « Dopo tanto silenzio in continua
aspettativa di tue lettere, defraudato sempre, ti prego di un favore: ho in
Palermo un nipote il quale mi è caro assai più di quanto egli può immaginare. È
avvocato distintissimo, attento, affettuoso, rispettosissimo verso di me, in
perfetta corrispondenza dell'affetto che
gli porto. Pigliane conto,
procura di vederlo, di parlargli
e come - 137 -
ti sarà possibile, dammi le nuove sue, le nuove della
mia nipote, sua moglie, del caro figliolino.
Si chiama Beniamino Guarino. Essendo anche tu tra gli affari forensi
non ti sarà difficile avvenirti in lui. Sappi che egli andò a rimpatriare per
aggiustare certi affari di famiglia e del suo municipio. Seppi che la moglie
non potè seguirlo, come avrebbero ambedue desiderato, perché sofferente di
difficile gravidanza. Io n'ebbi tanto dolore perché rimasta in tale stato senza
il sollievo del marito . . . Tornato dalla
patria ho atteso di lui lettera, ho cercato con ansia tra le tante lettere che
di continuo, più volte al giorno, mi arrivano con la posta, ma non ho veduto i
suoi caratteri, mi sono lusingato che l'avrei trovato al dimani; ma dall'oggi
al dimani son già mesi di inutile aspettazione. Egli intanto si professa mio
figlio ed io l'amo come padre. Procura di vederlo presto e di darmi le nuove
sue e della famiglia ». 25
Ma, proprio il giorno dopo
spedita la lettera, arrivava quella di Beniamino a cui subito l'arcivescovo
rispondeva: « Ieri pulitamente ed affettuosamente ti aveva lavato il capo per
così lungo e inopportuno silenzio. Credimi, Beniamino mio, io ti amo con
tenerezza estrema la quale cresce sempre con l'invecchiar degli anni. E poi di
tanta famiglia chi mi resta se non gli amati nipoti? E chi rappresenta il
residuo della seconda mano della nostra casa?
Il tuo silenzio poi ha fatto a te stesso il male di farmi cadere in
equivoco. Aveva saputo dal buono e carissimo Enrico che tu eri atteso in
Montedoro per affari del Consiglio Comunale di cui fai parte. Enrico poi in
quel tempo nelle sue lettere gittava sempre delle parole di stizza contro quei
tali che tanto male volevano alla casa nostra e che perciò stesso anzi dobbiamo
amare di più.
Che cosa doveva io credere ignorando tutto il resto? Giudicami, figlio
mio. Di chi il torto? Possibile che questo zio tanto affezionato debba essere
lasciato al buio di tutto? ». 26
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All'inizio del
1885 mons. Guarino potè, come tanto aveva desiderato, recarsi in casa del
nipote Beniamino, a Palermo. Tornato in Messina, dopo una sosta in
Caltanissetta e poi in Catania, così scriveva al nipote: « Non so dirti quanto
siami riuscito caro e soave rivedere te e la tua cara Concettina. Io vi amo di
paterno amore e ti riguardo sempre ad un modo, fanciullino, sulle mie braccia a
trastullarti.
Che vuoi, mio caro figlio?
Per noi vecchierelli va sempre così. Non occorre dirti che prego sempre per te
e per la tua famiglia, come può pregare un padre assai tenero ed affettuoso.
Di Paolinuccio mio, che dirti? Cotesto fanciullo è entrato così bene
nel mio cuore da desiderare di averlo sempre sulle braccia, come Simeone fu
felicissimo di ricevere sulle sue il caro bimbo Gesù . Come vorrei ispirargli
al primo albore della ragione l'amore alla santità, a Dio, a Maria SS., a S.
Giuseppe! Non gli parlerei che della S. Famiglia per imprimerla profondamente
nel suo cuore.
Son germi che, gettati bene a tempo, fruttano assai nell'età dello
sviluppo. Lo farà la pia Concettina e ne sono sicuro ».27 Così mons.
Guarino sapeva santificare gli affetti familiari, sentiti con delicatezza
salesiana, per innalzarli alla luce del Signore in strumento di apostolato
sacerdotale.
Scrisse il nipote avv. Pietro Guarino: « Egli amò i suoi nipoti e
specialmente noi figli di Pietro che eravamo orfani, ma non tolse per noi nulla
alla Chiesa e quando morì aggiunse alla sua gloria una nuova corona, perché
morì povero e dovemmo sul suo patrimonio privato pagare i suoi debiti ».
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