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10. La
malattia
Il primo febbraio 1895, nemmeno
tre mesi dopo l'offerta della sua vita, il Cardinale fu colpito da un doppio
colpo apoplettico che gli paralizzò il lato destro.
Nonostante tutte le cure non potè riaversi completamente anche se, con
paziente esercizio, ricominciò a riarticolare la parola in maniera
soddisfacente. Da allora fu necessario aiutarlo in tutte le sue necessità e si
prestavano volentieri, oltre i familiari, il segretario e alcuni sacerdoti.
Al sacerdote che l'aiutava a vestirsi - racconta la nipote - usava
sempre dire: Dio ti ricompensi di questa misericordia! 78
Conservava limpida la mente e perciò poteva seguire regolarmente la
vita della diocesi e prendere le necessarie decisioni.
Gli furono accanto, con affetto e venerazione, mons. Giuseppe Basile,
vicario generale, che lo aiutò validamente nel regime della diocesi.
« Lunghi mesi di speranza - scrive il nipote si alternavano con deboli indizi di miglioria per ricadere
subito nella desolazione dello sconforto impotente; lo vegliammo, nei primi
mesi che egli tenne il letto, io e mio cugino, avv. Beniamino Guarino. Poi a
poco a poco i movimenti ripresero nel braccio e nella gamba colpita e la lingua
cominciò e biascicare qualche parola.
Lo rividi più tardi a Castanea in una piccola villa nascosta da alti
alberi, sui monti, davanti ad un panorama incantevole. Si muoveva appoggiato ad
un bastone e, rassegnato, sorrideva al suo male.
Una notte, dopo essersi messo a letto, fu preso da una sincope. Ebbi
l'impressione che dovesse morire! Quando rinvenne, mi guardò sorridendo e
balbettò: Nondum venit hora mea!
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Tirò avanti così per più di due anni, interessandosi sempre attivamente
di tutti i problemi della diocesi».
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