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4. I primi germi della Vocazione
L'avv. Pietro Guarino così rievoca lo zio,
arcivescovo di Messina, nell'ora in cui a volte, gli parlava degli anni ormai
lontani della sua fanciullezza: « Egli risuscita ai miei occhi, là, in quel
palazzo di Messina che aveva fatto rimettere quasi a nuovo perché, disabitato
per tanti anni, era servito in parte da magazzino di carbone; là, dietro il
tavolo, dove, alla luce dolce di un lume ad olio, ogni sera, scriveva la sua
corrispondenza intima. Talora io penetravo in quel piccolo studio, mi siedevo
vicino a Lui. Egli sorrideva paternamente ». Una sera gli raccontò: « Fino ai
dieci anni crebbi quasi senza istruzione che a Montedoro non c'era chi me la
desse regolarmente. Ma i miei primi giocattoli furono altarini, calici di
piombo, pissidi ed ostensori. Giocavo a dire messa e ad impartire benedizioni
come faceva il curato. Dicevo al babbo e alla mamma: mi voglio far prete
»12.
Nei
suoi cenni autobiografici il Guarino
aggiunge altri particolari : «
Poiché lo zio era parroco, tutti i padri cappuccini che dal convento di Sutera
venivano all'ospizio di Montedoro per servizio della parrocchia, frequentavano
in casa nostra e parlavano di cose sante. Io era ragazzino, infra gli anni sei
di età; sentiva le gesta degli anacoreti e come sien vissuti nelle grotte e
cibatisi di erbe e di pane misto alla cenere. Credeva poterli imitare -ridete
pure! - ma se mi fossi bene assuefatto a quelle idee, non sarei stato un
irriconoscente e un peccatore. Ecco, adunque, mangiava pane e cenere che
nascostamente pigliava dal braciere e dalla cucina e mi nascondeva nel vuoto
che era sotto il forno da dove poi usciva imbrattato di cenere. Fui scoperto
subito e . . . ben corretto; perché eran quelle delle bizzarrie e inquietudini.
Contemporaneamente mi davo di buona voglia ai
trastulli dell'età ed era irrefrenabile . . Era in continuo movimento,
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intollerante, caldo, iracondo e spesso andava in castigo. Verso l'età
di 5 anni fui cresimato da mons. Càfisi, vescovo titolare, e la gaia vista
degli addobbi vescovili, mi faceva piangere perché volevo essere vescovo
anch'io. Penso e rido: ma pur felice età! e felicissima innocenza! Era negato
allo studio, molto più quando una volta il maestro mi percosse con tanta
asprezza in tutta la persona d'afferrarmi per il braccio e sbalzarmi in aria
ricadendo in terra con assai guasti per il corpo; gonfiai tosto in tutti i
punti, patii qualche giorno e di scuola non volea sentirne più un'acca.
Precisamente l'anno 1833, infestata la patria mia dal tifo petecchiale,
ne fui preso anch'io con violenza. Ah! fossi morto allora! Non avrei neppure
sperimentate le pene del purgatorio! Fatto sta che vissi e sono qui, bene o
male, mi trovo nel mondo per divina volontà e ciò basti per sobbarcarmi e non
desiderare un inutile passato.
Morì allora il mio santo zio parroco ed ho ancora presente il cadavere.
Fu onorato dai governanti la provincia di Caltanissetta e fu pianto a
grandi lacrime da tutti i parrocchiani e quei che lo ricordano lo piangono
ancora » 13.
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