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Domenico De Gregorio
Il Card. Giuseppe Guarino

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  • CAPITOLO I    LA  FORMAZIONE
    • 4.     I primi germi della Vocazione
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4.     I primi germi della Vocazione

 

L'avv. Pietro Guarino così rievoca lo zio, arcivescovo di Messina, nell'ora in cui a volte, gli parlava degli anni ormai lontani della sua fanciullezza: « Egli risuscita ai miei occhi, , in quel palazzo di Messina che aveva fatto rimettere quasi a nuovo perché, disabitato per tanti anni, era servito in parte da magazzino di carbone; , dietro il tavolo, dove, alla luce dolce di un lume ad olio, ogni sera, scriveva la sua corrispondenza intima. Talora io penetravo in quel piccolo studio, mi siedevo vicino a Lui. Egli sorrideva paternamente ». Una sera gli raccontò: « Fino ai dieci anni crebbi quasi senza istruzione che a Montedoro non c'era chi me la desse regolarmente. Ma i miei primi giocattoli furono altarini, calici di piombo, pissidi ed ostensori. Giocavo a dire messa e ad impartire benedizioni come faceva il curato. Dicevo al babbo e alla mamma: mi voglio far prete »12.

 Nei suoi  cenni  autobiografici  il  Guarino  aggiunge  altri particolari : « Poiché lo zio era parroco, tutti i padri cappuccini che dal convento di Sutera venivano all'ospizio di Montedoro per servizio della parrocchia, frequentavano in casa nostra e parlavano di cose sante. Io era ragazzino, infra gli anni sei di età; sentiva le gesta degli anacoreti e come sien vissuti nelle grotte e cibatisi di erbe e di pane misto alla cenere. Credeva poterli imitare -ridete pure! - ma se mi fossi bene assuefatto a quelle idee, non sarei stato un irriconoscente e un peccatore. Ecco, adunque, mangiava pane e cenere che nascostamente pigliava dal braciere e dalla cucina e mi nascondeva nel vuoto che era sotto il forno da dove poi usciva imbrattato di cenere. Fui scoperto subito e . . . ben corretto; perché eran quelle delle bizzarrie e inquietudini.

Contemporaneamente mi davo di buona voglia ai trastulli dell'età ed era irrefrenabile . . Era in continuo movimento,


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intollerante, caldo, iracondo e spesso andava in castigo. Verso l'età di 5 anni fui cresimato da mons. Càfisi, vescovo titolare, e la gaia vista degli addobbi vescovili, mi faceva piangere perché volevo essere vescovo anch'io. Penso e rido: ma pur felice età! e felicissima innocenza! Era negato allo studio, molto più quando una volta il maestro mi percosse con tanta asprezza in tutta la persona d'afferrarmi per il braccio e sbalzarmi in aria ricadendo in terra con assai guasti per il corpo; gonfiai tosto in tutti i punti, patii qualche giorno e di scuola non volea sentirne più un'acca.

Precisamente l'anno 1833, infestata la patria mia dal tifo petecchiale, ne fui preso anch'io con violenza. Ah! fossi morto allora! Non avrei neppure sperimentate le pene del purgatorio! Fatto sta che vissi e sono qui, bene o male, mi trovo nel mondo per divina volontà e ciò basti per sobbarcarmi e non desiderare un inutile passato.

Morì allora il mio santo zio parroco ed ho ancora presente il cadavere.

Fu onorato dai governanti la provincia di Caltanissetta e fu pianto a grandi lacrime da tutti i parrocchiani e quei che lo ricordano lo piangono ancora » 13.

 




12 Montedoro, p. 49



13 Card. Guarino, p. 8.






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