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5. Nel
Collegio dei Santi Agostino e Tommaso
Nel 1712 il vescovo di Agrigento mons. Francesco Ramirez inaugurava una
singolarissima istituzione: il Collegio dei Santi Agostino e Tommaso in cui
alcuni giovani sacerdoti o studenti degli ultimi anni di teologia dovevano, per
sei anni, studiare diritto e morale, esercitarsi nelle opere di ministero e
prepararsi ad assumere responsabilità pastorali, partecipando
obbligatoriamente, dopo il terzo anno, a tutti i concorsi indetti in diocesi.Il
vescovo domenicano Ramirez - che aveva studiato a Salamanca e poi diretto gli
studi nel convento della Minerva di Roma - vi diede il carattere e
l'ordinamento di un collegio universitario dove gli alunni, ammessi dopo
severissime selezioni e arduo concorso, venivano mantenuti gratuitamente per
tutto un sessennio perché si dedicassero con ogni impegno agli studi e a
perfezionarsi in vista del ministero pastorale. Il Collegio rispose assai bene
alle aspettative del magnanimo fondatore, assicurando alla diocesi parroci e
beneficiati di alto livello intellettuale e morale, parecchi dei quali tennero
poi con alto prestigio le più alte cariche diocesane, divennero vescovi e uno
di essi, il nostro Guarino, cardinale.3
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Così egli stesso ne parla: « L'anno
1850, previo concorso sulla sacra teologia, fui ammesso agli studi severi del
Collegio dei Ss. Agostino e Tommaso che il fondatore mons. Ramirez chiamò
Collegio dei parrochi, ove al terzo anno fui decano, cioè capo del corpo dei
collegiali
Nel tempo del Collegio ebbi continuati e non
interrotti dolori per gravi e mortali malattie dei miei genitori e di mia
sorella e più di una volta ebbi a correre in famiglia all'impazzata.
Pei doveri compiti nel Collegio ebbi dal
vescovo e dagli esaminatori sinodali l'approvazione alla cura delle anime. Nei
giorni di vacanza mi occupavano a confessare i seminaristi ed a predicare il
catechismo e gli esercizi spirituali nei tre reclusori di donne che sono in
Girgenti4 e non conobbi mai nessuna reclusa, neppure la superiora,
perché avevo costume di predicare e di andar via subito, sebbene la predica si
facesse in parlatorio.
Questo esercizio durò 5 anni.5 Nei
mesi poi di vacanza spesso il vescovo mi occupava a far l'economo curato da
parroco nella mia parrocchia e il vicario foraneo ».
Nell'epidemia colerica del 1854 egli si
trovava in Montedoro quando seppe che un ammalato, colpito dal morbo, stava per
morire. Accorse subito. « La madre, timorosa della vita del figlio, tratta
irresistibilmente dall'amore materno, tenta trattenerlo afferrandolo per il
mantello. Ma, pieno di santo zelo, il giovane sacerdote strappa dalle mani
della madre il mantello esclamando: Quid
mihi et tibi, mulier? e vola dal moribondo.
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Erano
i primi sprazzi di quella copiosa luce di carità che più tardi avrebbe sparso
sui popoli a lui affidati »6
Continua il Guarino: « Mi versava ad assistere i moribondi, a spiegare
il Vangelo ed in tutti i sacri ministeri quando il collegio ci dava vacanza e
ricreazione. Spesso mi mandavano a dare lezioni di teologia, di fisica, di
matematica, di filosofia e di umane lettere, quando nel seminario mancavano per
infermità i lettori ed io non aveva mai requie. Ho pensato sempre per gli altri
e al lavoro e non mai all'anima mia. Pregate per me!
All'età di 24 anni, con ubbidienza del mio Vescovo, Mons. Stromillo,
fui obbligato a confessare anche donne e nella mia patria era il confessore
straordinario di tutto il paese, nei mesi di vacanza. Fui sacrificato! »
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