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10. Con il Servo di Dio padre Cusmano
Proprio in quegli anni, il servo di Dio p.
Giacomo Cusmano avviava in Palermo la sua grande opera del Boccone del Povero e tra i primissimi amici, sostenitori e
collaboratori annoverò il can. Guarino il quale, come aggiunge mons. Pennino, «
allo zelo delle anime accoppiava bellamente la carità verso i poveri.
Si accompagnò, quindi, e diede efficacissimo
aiuto a quel gran servo di Dio che fu il padre Giacomo Cusmano. . . Era bello
vedere il nostro Guarino, nei primordi di quella pia istituzione aggirarsi per
le botteghe dei mercati, per le case delle agiate famiglie e domandare il
boccone per i poveri e far così una buona colletta di generi alimentari per
essere distribuita in sulla sera ai poveri più derelitti».18
Il Cusmano considerava il Guarino come
partecipe e anzi padre, della sua opera, tanto che lo invitava, mentre egli era
arcivescovo di Messina, a visitare la sua casa di Palermo con queste parole: «
Si allieti dunque, o nostro Padre carissimo guardandoci come frutto del suo
zelo per la grazia di Dio che
ci ha portato fin qui, ma non ci guardi da lontano. Venga, venga per un poco ad
infuocare la sua casa donde, per arcana disposizione di Dio, si è dovuta
materialmente allontanare . . . non ritardi dunque la sua venuta: sua è questa
casa, sua è l'opera che ammira in noi, suoi siamo noi stessi e potrebbe dirsi
un vero abbandono, se pur ritarda a venire
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Di quel primo periodo di
collaborazione con il padre Cusmano il Guarino stesso narra quest'episodio: «In
principio l'opera non ebbe poveri raccolti in una casa ma aveva sede nella casa
della Chiesa dei Santi Quaranta Martiri e le elemosine si distribuivano alle
famiglie povere a domicilio. Io non ero tanto consigliere, ma uno dei sacerdoti
addetti al servizio materiale di questa grande opera. Il giorno del mio
servizio era la domenica ed in quel tempo avvenne un fatto che mi sorprese.
Presentatomi per fare la divisione ai poveri una delle mie domeniche trovai che
in quel dì nulla, affatto nulla, i famuli avevano trovato per i poveri nelle
loro ricerche, la qual cosa il sacerdote Cusmano mi annunziava dolente.
- Dunque -esclamai afflitto-
oggi i poveri resteranno digiuni?
- È un dolore - rispose il Fondatore- ma come si fa?
Chiamai i famuli e fattili inginocchiare dinnanzi all'umilissimo padre
Cusmano lo pregai a benedirli e a mandarli in nome di Dio. Egli riluttava nella
sua grande umiltà e voleva che li avessi benedetti io. Ripregato da me
condiscese. Attesi un 'oretta appena e ritornarono i famuli così carichi da non
potere portare di più e distribuii abbondantemente cibo a ben 120 famiglie, non
individui, ma famiglie.
Io ero sicuro dell'esito, perché aveva gran fede nella singolare virtù
del padre Cusmano e Iddio volle che quella volta ne fossi io il testimonio
».20
Il canonico fu anche consigliere spirituale del
Servo di Dio. « Non mancava egli scrive
- il demonio di tormentarlo nelle stesse opere di carità. Molte volte ebbi io a
raccogliere i suoi sospiri desolati e mirandolo attentamente lo capiva e lo
incoraggiava . .
Una volta, quasi a mezzanotte, venne a trovarmi in casa mia pieno di
sgomento e di terrore. Aveva incontrato per via - 44 -
una giovane:
all'incesso e al linguaggio non palermitano capì che era venuta a cercare
ventura, ma in un ora notturna capì che cercava pessima ventura. Fattosi a lei,
la interrogò, la dissuase e la condusse a casa sua dove la consegnò alla
sorella non meno pia e perfetta di lui, finché l'indomani le procurò un onesta
sistemazione.
Il demonio, intanto, gli diede ad intendere che aveva dato dello
scandalo e che doveva in quell'ora stessa lasciarla libera e mandarla via di
casa. Prima, intanto, di eseguire questo pensiero venne da me e docile alle mie
parole si tranquillò completamente e diede opera all'onesta collocazione della
giovane.
Altra volta venne a trovarmi alla stessa ora; era sbigottito in faccia,
credevasi pieno di censure ecclesiastiche e di canoniche irregolarita'. Docile
e obbediente al solito, con poche parole, riebbe la pace del cuore ».
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Quando nel 1887 si inaugurò la casa dei Padri
missionari Servi dei Poveri in S. Marco, mons. Guarino ne provò una grande
gioia e così ne scrisse al padre Giacomo: « L'anima mia è piena di gioia nè sa
come esprimerla. La benedizione dell'Eminentissimo Cardinale Arcivescovo sulla casa
dei suoi missionari mi ha prodotto un'impressione così viva e profonda che non
so definire. Soltanto so che il mio cuore ribocca di allegrezza. Oh! Potessi
benedire anch'io i cari missionari; ma le gioie del vescovado non sono per me;
io non devo che portare una croce pesante, vivere di amarezze e camminare nelle
spine. Però di tutto lodo e ringrazio il Signore perché è grande misericordia
tenermi in continua penitenza.
Non pertanto benedico anch'io i missionari
non miei e il loro fondatore a me estremamente caro. Lasci, mio dolce amico,
che anch'io l'abbracci col più tenero affetto coi singoli suoi missionari e che
a tutti dia in fronte il bacio della consolazione e della pace! Benedica Iddio
la loro vocazione e la confermi! Benedica le loro opere sante, la loro povertà
evangelica, e faccia che le loro sante parole non cadano giammai sulle pietre o
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le spine. Crescano sempre più in numero e, se pure sia possibile,
anche in zelo e portino sempre l'animo pieno di divino amore per riversarlo sui
poveri peccatori ». 22
Quando gli fu annunziata la morte del P. Giacomo così scrisse ai padri
Bocconisti: « Ah! come si sono ecclissati nella Chiesa due astri che spargevano
tanto lume, l'uno maggiore in Torino, l'altro minore in Palermo! non minore per
spirito e virtù, ma per tempo e progresso dell'opera fondata.
Ma dissi ecclissati e non spenti interamente perché vivono interamente
nelle loro opere e nei loro successori.
E però come fui sollecito ad incoraggiare Don Rua ad incedere animoso
sulle orme di D. Bosco, così mi rivolgo a voi, miei carissimi, non solo per
mescolare le mie alle vostre lacrime, ma per esortarvi a gettarvi di vero cuore
nelle grandi braccia della Provvidenza di Dio ». 23
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