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5. Nella
nuova diocesi
L'ultimo arcivescovo di Siracusa, mons. Rubino, era morto quattro anni prima
e la diocesi era stata amministrata da un vicario capitolare.
Nell'ultimo periodo del regno delle due Sicilie, Siracusa aveva subito
parecchie vessazioni ed umiliazioni culminate con la perdita della sua dignità
di capoluogo, trasferita a Noto.
Negli
animi dei cittadini, quindi, regnava un sordo rancore verso tutto ciò che
richiamava il vecchio regime e mons. - 63 -
Rubino, personalmente devoto ai
Borboni non aveva specie negli ultimi tempi incontrato il favore delle
moltitudini. Così l'opera eversiva delle sette, dei partiti e della massoneria
si era potuta svolgere in senso contrario alla Chiesa e alla religione, senza
incontrare validi ostacoli.
Mons. Guarino confidava al nipote di aver trovato « l'archidiocesi
tutta permeata dalla massoneria; le chiese erano deserte, il clero, ostacolato
dall'ambiente ostilissimo, non aveva la forza di impegnare la lotta che
rappresentava la ragione precipua della sua missione nel mondo. Bisognava
spezzare quel cerchio di ghiaccio che circondava le anime e fugare i lupi che
insidiavano l'ovile ». 22
Quasi subito dopo il suo ingresso in diocesi, il novello arcivescovo
così confidava a mons. Celesia le sue impressioni e le preoccupazioni per lo
stato del popolo e del clero: «Quante spine trovo qui, monsignore Ecc.mo! Che
ignoranza! che rilasciatezza di costumi, salve poche eccezioni! Vi ha dei
comuni in diocesi dove con dolore deve tollerarsi che qualche prete dica messa!
Dio mi aiuti! » 23
Qualche giorno prima gli aveva dato un quadro più completo, ma non meno
oscuro: « Molto travaglio ho trovato qui. Per l'amore di Dio preghi per me,
onde ottenermi forza e pazienza. In certe congiunture ho innanzi agli occhi
l'esempio suo e procuro di imitare la sua dolcissima, ma ferma longanimità.
Il canonico di cui le parlai è titubante: or promette di fare, or si
nega: i suoi amici settarii lo impauriscono. Ma spero vincerlo con la pazienza
portandolo sulle mie spalle. Qualche altro semplice prete verrà appresso.
Dei parrochi nessuno faceva al popolo l'istruzione catechistica, nè
istruiva i fanciulli nei rudimenti della fede cattolica. I preti, tra buoni e
cattivi, sono vissuti alla buona di Dio, o meglio alla carlona. Man mano
procurerò di aggiustare ogni cosa. Sto formando un libro sullo stato della
diocesi, onde avere un'informazione preventiva e poi aprire la visita con
maggiore facilità.
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Sto attivandomi pel
seminario: non ho trovato alcun chierico. Viva Dio! confido nell'aiuto del
Signore. Ma deh! quanta distanza tra me e S. Marciano! E intanto V. E. mi
chiama degnissimo di lui successore! Sia fatta la volontà di Dio! ». 24
Il nuovo arcivescovo volle stabilire, prima di tutto, un contatto
personale, umano, con le anime che gli venivano affidate e far cadere ogni
diffidenza e prevenzione.
« Mons. Guarino - scrive il can. Cannarella - seppe cattivarsi subito
l'affetto del clero e del popolo con cui aveva frequenti contatti.
Nel pomeriggio faceva la passeggiata
a piedi per le vie della città e fuori dall'abitato, circondato da molti
sacerdoti che gli si univano anche per strada e godevano della sua piacevole ed
edificante conversazione ». 25
Il giornalista cattolico F. Parlati, nella « Libertà » di Napoli
racconta alcuni episodi della vita di mons. Guarino.26
« Sempre modestissimo, quando personaggi importanti e ministri
parlavano con lui e lo elogiavano, contraffacendo la parlata napoletana, si
schermiva ripetendo un
motto divenutogli abituale:
Io sono un
povero
« previtariello » di Montedoro! E così quando
dovette, per obbedienza a Pio IX, accettare l'episcopato ripeteva spesso, senza
potersene dare pace: come gli venne in mente al Papa di pensare al «
previtariello » di Montedoro?
« A Siracusa - racconta il Parlati - mi recai che era poco tempo dalla sua presa
di possesso. Mi ci aveva condotto mio padre che doveva compiere certi suoi
affari in quella sua provincia. E stetti venti giorni con l'arcivescovo, con
monsignore.
Un giorno, era d'estate, dopo il pranzo, e dopo la siesta, Monsignore
mi invitò ad uscire con lui al passeggio.
- Ti condurrò in carrozza, mi disse. Ed io ero tutto lieto di
scarrozzare con l'arcivescovo per le strade della sua città.
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Nella
mia immaginazione giovanile aveva suscitato come una fantasmagoria di pensieri
quella piccola vanità di comparire in pubblico, in carrozza a fianco
dell'Arcivescovo. Scendemmo: Monsignore, il canonico Betagh, suo segretario, ed
io. Nessuna carrozza nel cortile del palazzo. Sulla soglia una piccola schiera
di poveri attendeva dall'arcivescovo la sua consueta elemosina. Fuori la strada
nessun segno di vettura nè di cavalli. Io seguivo Monsignore.
- E la carrozza?
- Ora la troveremo.
Si cammina alquanto, si voltano alcune strade e ci troviamo al mare. La
moderna Siracusa non è che l'antica Ortigia, isola congiunta alla Sicilia per
l'antico canale che il tempo aveva ostruito e mutato in istmo.
È mare dappertutto e si respira l'aria salsa come su di un bastimento,
anzi, da qualche punto della città l'illusione è completa: pare di stare sulla
tolda di una grossa nave. Almeno questa è l'impressione che mi è rimasta nella
mente da quella visita nell'età della mia prima giovinezza.
Trovammo, subito, dunque, il mare; l'arcivescovo si avvicinò alla
sponda, dove per alcuni gradini si poteva discendere in barca e quivi difatti
un barcaiuolo manovrava i suoi remi.
-
Ecco la
carrozza! mi disse.
-
Dov'è?
- Qui, non la vedi? Scendiamo.
È la carrozza di S. Pietro? E poi io
non sono il " previtariello " di Montedoro? »
Il clero e il popolo di Siracusa furono subito conquistati dal suo
tratto affettuoso e gentile con tutti, tanto che presto cominciarono a nutrire
come un presentimento: non sarebbe rimasto a lungo in quella sede, sarebbe
stato trasferito ad una cattedra più importante o chiamato a Roma.
Quando nel gennaio del 1873 effettivamente mons. Guarino si recò a Roma
e fu ricevuto da Pio IX con molta cordialità, circolarono voci così insistenti
di un suo trasferimento che il segretario gliene accennò.
E
mons. Guarino così gli rispose: « Quante risa mi ha fatto fare la sua proscritta
sulle fantasmagorie - 66 -
di codesta! Oh! poeti di voli pindarici! Non
volino però troppo in alto anzi che la porpora, mi augurino invece l'abbondanza
del santo amore figurato dal rosso scarlatto. Rassereni tutti perché tra poco
ci rivedremo ». 27
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