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Domenico De Gregorio
Il Card. Giuseppe Guarino

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  • CAPITOLO  III     ARCIVESCOVO DI SIRACUSA
    • 5.   Nella nuova diocesi
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5.   Nella nuova diocesi

 

L'ultimo arcivescovo di Siracusa, mons. Rubino, era morto quattro anni prima e la diocesi era stata amministrata da un vicario capitolare.

Nell'ultimo periodo del regno delle due Sicilie, Siracusa aveva subito parecchie vessazioni ed umiliazioni culminate con la perdita della sua dignità di capoluogo, trasferita a Noto.

              Negli animi dei cittadini, quindi, regnava un sordo rancore verso tutto ciò che richiamava il vecchio regime e mons.


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Rubino, personalmente devoto ai Borboni non aveva specie negli ultimi tempi incontrato il favore delle moltitudini. Così l'opera eversiva delle sette, dei partiti e della massoneria si era potuta svolgere in senso contrario alla Chiesa e alla religione, senza incontrare validi ostacoli.

Mons. Guarino confidava al nipote di aver trovato « l'archidiocesi tutta permeata dalla massoneria; le chiese erano deserte, il clero, ostacolato dall'ambiente ostilissimo, non aveva la forza di impegnare la lotta che rappresentava la ragione precipua della sua missione nel mondo. Bisognava spezzare quel cerchio di ghiaccio che circondava le anime e fugare i lupi che insidiavano l'ovile ». 22

Quasi subito dopo il suo ingresso in diocesi, il novello arcivescovo così confidava a mons. Celesia le sue impressioni e le preoccupazioni per lo stato del popolo e del clero: «Quante spine trovo qui, monsignore Ecc.mo! Che ignoranza! che rilasciatezza di costumi, salve poche eccezioni! Vi ha dei comuni in diocesi dove con dolore deve tollerarsi che qualche prete dica messa! Dio mi aiuti! » 23

Qualche giorno prima gli aveva dato un quadro più completo, ma non meno oscuro: « Molto travaglio ho trovato qui. Per l'amore di Dio preghi per me, onde ottenermi forza e pazienza. In certe congiunture ho innanzi agli occhi l'esempio suo e procuro di imitare la sua dolcissima, ma ferma longanimità.

Il canonico di cui le parlai è titubante: or promette di fare, or si nega: i suoi amici settarii lo impauriscono. Ma spero vincerlo con la pazienza portandolo sulle mie spalle. Qualche altro semplice prete verrà appresso.

Dei parrochi nessuno faceva al popolo l'istruzione catechistica, istruiva i fanciulli nei rudimenti della fede cattolica. I preti, tra buoni e cattivi, sono vissuti alla buona di Dio, o meglio alla carlona. Man mano procurerò di aggiustare ogni cosa. Sto formando un libro sullo stato della diocesi, onde avere un'informazione preventiva e poi aprire la visita con maggiore facilità.

           


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Sto attivandomi pel seminario: non ho trovato alcun chierico. Viva Dio! confido nell'aiuto del Signore. Ma deh! quanta distanza tra me e S. Marciano! E intanto V. E. mi chiama degnissimo di lui successore! Sia fatta la volontà di Dio! ». 24

Il nuovo arcivescovo volle stabilire, prima di tutto, un contatto personale, umano, con le anime che gli venivano affidate e far cadere ogni diffidenza e prevenzione.

« Mons. Guarino - scrive il can. Cannarella - seppe cattivarsi subito l'affetto del clero e del popolo con cui aveva frequenti contatti.

            Nel pomeriggio faceva la passeggiata a piedi per le vie della città e fuori dall'abitato, circondato da molti sacerdoti che gli si univano anche per strada e godevano della sua piacevole ed edificante conversazione ». 25

Il giornalista cattolico F. Parlati, nella « Libertà » di Napoli racconta alcuni episodi della vita di mons. Guarino.26

« Sempre modestissimo, quando personaggi importanti e ministri parlavano con lui e lo elogiavano, contraffacendo la parlata napoletana, si schermiva   ripetendo  un  motto  divenutogli  abituale:  Io  sono  un  povero

« previtariello » di Montedoro! E così quando dovette, per obbedienza a Pio IX, accettare l'episcopato ripeteva spesso, senza potersene dare pace: come gli venne in mente al Papa di pensare al « previtariello » di Montedoro?

« A Siracusa  -  racconta il Parlati -  mi recai che era poco tempo dalla sua presa di possesso. Mi ci aveva condotto mio padre che doveva compiere certi suoi affari in quella sua provincia. E stetti venti giorni con l'arcivescovo, con monsignore.

Un giorno, era d'estate, dopo il pranzo, e dopo la siesta, Monsignore mi invitò ad uscire con lui al passeggio.

- Ti condurrò in carrozza, mi disse. Ed io ero tutto lieto di scarrozzare con l'arcivescovo per le strade della sua città.


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Nella mia immaginazione giovanile aveva suscitato come una fantasmagoria di pensieri quella piccola vanità di comparire in pubblico, in carrozza a fianco dell'Arcivescovo. Scendemmo: Monsignore, il canonico Betagh, suo segretario, ed io. Nessuna carrozza nel cortile del palazzo. Sulla soglia una piccola schiera di poveri attendeva dall'arcivescovo la sua consueta elemosina. Fuori la strada nessun segno di vettura di cavalli. Io seguivo Monsignore.

-  E la carrozza?

Ora la troveremo.

Si cammina alquanto, si voltano alcune strade e ci troviamo al mare. La moderna Siracusa non è che l'antica Ortigia, isola congiunta alla Sicilia per l'antico canale che il tempo aveva ostruito e mutato in istmo.

È mare dappertutto e si respira l'aria salsa come su di un bastimento, anzi, da qualche punto della città l'illusione è completa: pare di stare sulla tolda di una grossa nave. Almeno questa è l'impressione che mi è rimasta nella mente da quella visita nell'età della mia prima giovinezza.

Trovammo, subito, dunque, il mare; l'arcivescovo si avvicinò alla sponda, dove per alcuni gradini si poteva discendere in barca e quivi difatti un barcaiuolo manovrava i suoi remi.

-         Ecco la carrozza!  mi disse.

-         Dov'è?

-   Qui, non la vedi? Scendiamo. È  la carrozza di S. Pietro? E poi io non sono il " previtariello " di Montedoro? »

Il clero e il popolo di Siracusa furono subito conquistati dal suo tratto affettuoso e gentile con tutti, tanto che presto cominciarono a nutrire come un presentimento: non sarebbe rimasto a lungo in quella sede, sarebbe stato trasferito ad una cattedra più importante o chiamato a Roma.

Quando nel gennaio del 1873 effettivamente mons. Guarino si recò a Roma e fu ricevuto da Pio IX con molta cordialità, circolarono voci così insistenti di un suo trasferimento che il segretario gliene accennò.

 E mons. Guarino così gli rispose: « Quante risa mi ha fatto fare la sua proscritta sulle fantasmagorie


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di codesta! Oh! poeti di voli pindarici! Non volino però troppo in alto anzi che la porpora, mi augurino invece l'abbondanza del santo amore figurato dal rosso scarlatto. Rassereni tutti perché tra poco ci rivedremo ». 27

 

 




22 Montedoro, o. c., p. 53.



23 ASDP - Lettera al Celesia, 17-5-1872.



24 Ibid., Lettera dell'11-5 -1872.



25 Can. G. Cannarella in « L'Osservatore Romano » del 31-7-35.



26 Libertà, Napoli, martedì-mercoledì 27-28 luglio 1897, n. 185.



27 Card. Guarino, o. c., p. 19.






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