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9. Il
palazzo arcivescovile di Siracusa
Durante la vacanza della sede, il palazzo arcivescovile era stato in
balia di parecchi ingiusti pretendenti tanto che si era giunti all'arbitrio di
allestirvi una mostra agraria che lo aveva grandemente danneggiato.
Per renderlo parzialmente abitabile il Guarino dovette compiervi le più
urgenti riparazioni, spendendovi più di ottomila lire, una somma allora non
indifferente.
Sin
dal suo arrivo a Siracusa egli vi abitò, sperando di ottenere presto il regio exequatur alla sua bolla di nomina per
immettersi anche civilmente nel possesso dei beni dell'arcivescovado; ma le
pratiche per lui, come per molti vescovi, furono assai lunghe, rese
appositamente intricate e difficili e si conclusero non solo con un netto
rifiuto dell'exequatur da parte del
governo, ma anche con l'espulsione del presule dal suo palazzo perché una legge
Mancini prevedeva che i vescovi sforniti di exequatur dovessero essere sloggiati dai loro episcopi.
« Mons.
Guarino nella scandalosa congiuntura che la legge Mancini negava ai vescovi la
residenza nei rispettivi episcopi, aveva luminosamente provato al R. Economo
che quella legge non lo colpiva affatto. L'episcopio di Siracusa non è che la
canonica dell'arcivescovo e questi è il parroco della cattedrale, rappresentato
nell'ufficio da quattro curati.
Visto però
Monsignore che l'Economato Generale teneva duro ed avendo esaurito le vie
pacifiche ed economiche, si volse alle legali con chiamarlo in giudizio.
Il foro siracusano, che tanto lo venerava,
gli era favorevole. Monsignore aveva dichiarato che se vi fosse stato bisogno
avrebbe difeso egli stesso i suoi diritti in tribunale.
Ma
la prepotenza ricorse alla rappresaglia per umiliarlo e - 72 -
si colse il
destro dell'occasione che l'arcivescovo si preparava per la nuova sede di
Messina ».
Nella metà del maggio 1875 gli fu fatta formale
ingiunzione di lasciare il palazzo, come egli stesso ne scrisse al Papa e al
Card. Antonelli:
« Eminentissimo Principe, mi permetto umiliare all'E. V. Rev.ma
l'annessa mia lettera al Beatissimo Padre perché nell'alta sua sapienza si
degni di ponderare se convenga farla deporre ai piedi del più grande dei
pontefici.
Prendendo occasione dall'intimazione oggi
ricevuta di lasciare l'abitazione di questo episcopio io rinnovo i sentimenti
del mio indeclinabile attaccamento a Sua Santità e alla S. Sede Apostolica. Ma
se la mia lettera potesse minimamente turbare l'animo sensibilissimo di Sua
Beatitudine, supplico l'E. V. di avere la degnazione di lacerarla.
Mi perdoni, Em.mo Principe, questo mio
ardimento al quale mi ha spinto la sua singolare bontà e mi permetta che,
prostrato al bacio della S. Porpora, mi riaffermi con intima riverenza
».36
Il 24 maggio 1875 il Card. Antonelli
rispondeva cosi:
« Col foglio di V. E. Ill.ma e Rev.ma in data
16 corrente ho ricevuto l'acclusavi lettera per il S. Padre e senza indugio
l'ho rimessa nelle venerate di lui mani. Sua Santità deplora vivamente le nuove
vessazioni cui vanno ancor soggetti molti vescovi italiani, ma non poteva non
accogliere con piacere l'espressione dei sentimenti che V. S. per tale
circostanza le ha manifestato. Sono perciò lieto renderla di ciò informata e di
parteciparle la benedizione che, con effusione di cuore, l'augusto pontefice le
ha compartita ». 37
« Un giorno
- era il 16 luglio 1875 - mentre
mons. Guarino scriveva la prima lettera pastorale ai messinesi, si presentò a
lui il subeconomo dei benefici vacanti con un delegato di pubblica sicurezza,
intimandogli di lasciare subito libero l'episcopio.
Senza punto scomporsi, ma calmo e dignitoso,
rivolto al delegato, domandò se veniva con l'ordine di mettergli le mani
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addosso. Il delegato che era un sardo e di fresco venuto in Siracusa,
tutto confuso e smarrito, mostrò la carta di intima e non seppe far altro che
mettere in vista la sciarpa.
Ebbene - riprese allora
Monsignore - non occorrono altre dimostrazioni: scrivete la mia protesta. Ma nè
il subeconomo, nè il delegato vollero scriverla.
Dunque la scriverò io - soggiunse l'arcivescovo. E la scrisse d'un
fiato e nel consegnarla disse: Raccomando (prendendo atto dignitoso) di
inserirla a verbale.
Indi, domandato al cameriere il mantello e il
cappello, lì per lì, uscì dal palazzo, senza fermarsi un istante per rivedere
la stanza da letto, in compagnia del suo segretario Betagh, di una persona
amica e del cameriere, i soli che erano stati testimoni dell'iniqua violenza.
Nell'andare per la sala si incontrò con
quattro carabinieri i quali al suo apparire si levarono tutti in piedi e gli
fecero il saluto militare. Scese le scale del palazzo, andò diviato in chiesa
e, adorato il Santissimo Sacramento, si recò alla Biblioteca Arcivescovile, la
quale è pubblica e quivi continuò a scrivere, come se nulla gli fosse avvenuto,
la pastorale.
Saputasi la triste nuova in paese fu un
andirivieni di persone di ogni ceto, dolenti della grave offesa statagli fatta.
Tutti i primari della città (tra cui i Mezio, gli Impellizzeri, gli Interlandi)
offrirono i propri palazzi, ma egli, ringraziando, rispose che preferiva una
sacrestia, un buco qualunque della Chiesa, per affermare che ancora era l'Arcivescovo
di Siracusa.
Non per tanto gli si fece portare un letto in
una stanza attigua alla stessa biblioteca e proprio nel quartierino destinato
al rettore dell'antico seminario.
Nelle ore pomeridiane dello stesso giorno
uscì a passeggio sino alla marina seguito dal capitolo e dal clero. Una massa
di popolo si unì dietro a seguirlo, commossa ed addolorata per l'umiliazione
inflittagli e per il vicino allontanamento da Siracusa per la nuova sede di
Messina ». 38
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Il
nipote, avv. Pietro Guarino, per averli appresi dal segretario, can. Betagh,
aggiunge questi altri particolari: « (Uscendo) nel cortile del palazzo
l'arcivescovo trovò circa trecento lavoratori del porto, della fratellanza di
S. Sebastiano, i quali, armati di bastoni, gridavano minacciosi che non
avrebbero mai tollerato che il loro amato pastore dovesse uscire dalla sua
casa. Trovò pure molti signori della città che facevano a gara nell'offrirgli
la propria abitazione e la propria mensa.
L'arcivescovo fu commosso, calmò i confrati
di S. Sebastiano e ringraziò gli altri per l'ospitalità offerta. Attraversò la
piazza del duomo gremita di popolo che lo acclamava affettuosamente e andò ad
abitare il modesto appartamento annesso all'antico seminario ».
Il comm. Guarino a commento dell'episodio
aggiunge queste considerazioni: « Il suo atto di coraggio compiuto in quel
tempo rappresentava una ribellione all'ordine costituito . . . Il vescovo si
sentiva in legale possesso dell'episcopio, che, come bene della Chiesa, non
poteva cedere se non sottostando ad una violenza legale . . Cedere senza protesta poteva rappresentare
una debolezza colpevole in un vescovo che di fronte alla prima attuazione della
legge (delle Guarentigie) sentiva anche il dovere di dare l'esempio agli altri
che si sarebbero trovati dopo di lui nella stessa situazione . . . (non si
poteva) prestare acquiescenza ad una disposizione lesiva, per espressa
dichiarazione del Pontefice, della libertà e proprietà della Chiesa . . .
Ma quella lotta sostenuta dallo zio in Siracusa provò subito come egli
avesse già vinto tutte le resistenze incontrate al suo arrivo e conquistato a
sé il popolo: risultato meraviglioso! Egli ne dava tutto il merito alla
Provvidenza di Dio che si era servita di lui, povero prete di Montedoro, per
compiere il miracolo ». 39
Avvenuti i fatti, mons. Guarino, il 20 luglio
1875 così ne parlava al Card. Antonelli:
«Dopo la prima lettera che ebbi l'onore di umiliarle, continuai ad
abitare nell'episcopio ed attesi invano la pubblica - 75 -
forza per essere
cacciato via, la quale remora mi dicevano in grazia della mia prossima partenza
per Messina. Ma il giorno 16 corr. presentossi a me il subeconomo, un delegato
di questura, accompagnato da carabinieri e qualche altra guardia e mi
intimarono lo sgombero momentaneo (cioè istantaneo) dietro mandato del regio
procuratore presso questo tribunale. Io protestai in scritto e a voce in favore
dei diritti della Chiesa e degli Arcivescovi di Siracusa e sto scrivendo dalle
stanze del seminario. Si affrettarono ad usare la violenza per impedire che il
mio successore avesse preso possesso dell'episcopio; ma so che questi
continuerà la lite iniziata contro l'economato regio ». 40
Il Card. Antonelli così gli rispose:
«Dal foglio di V. S. Ill.ma e Rev.ma del 20
corrente ho appreso e ho riferito al S. Padre che ella ha già preso possesso
della nuova sede dove si fa preparare alloggio nel seminario. Non ho esitato a
dar corso alla lettera da lei scritta al ministro affinché non si possa
allegare ignoranza della sua traslazione all'arcivescovado di Messina.
Esprimendole il mio dispiacere per la sua espulsione da codesto
episcopio ed in pari tempo la piena soddisfazione per l'attitudine da lei
serbata in tale disgustosa circostanza, mi professo, ecc. 41
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