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Domenico De Gregorio
Il Card. Giuseppe Guarino

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  • CAPITOLO I    LA  FORMAZIONE
    • 6.    I  primi  studi
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6.    I  primi  studi

 

« Papà nella nuova residenza (di Bompensieri) - continua il Guarino - affidò me ed il piccolo fratello Achille alle cure di un cotale D. Diego Germano che vive ancora ed era nostro maestro ed ajo. Sia per la confidenza che avessimo con lui, sia perché non avessi compagni, sia perché (e sarà il più vero a dire) fossi negato allo studio, non profittai nulla affatto nella grammatica. Sapevo soltanto leggere il solo italiano.

Alcuni di famiglia e precisamente uno zio mio, fratello di papà che portava lo stesso mio nome, non cessava di dire a mio padre essere inutile ormai per me ogni dispendio per mandarmi in un seminario ed essere espediente piuttosto che venissi allettato al traffico di campagna, concedendomi, sin d'allora, qualcosa di proprio per stuzzicarmi nella molla dell'interesse. Queste idee allignavano in famiglia ed io ne piangeva dirottamente.

Solo mamà mi confortava. Veder partire mio fratello Pietrino per Palermo a studiare in compagnia del fratello maggiore Paolino e io rimanere colà mi era di pena intollerabile e piangeva a tutte le ore. Prometteva che presso altro maestro avrei studiato, ma non mi giovava.

Credevasi, e così era, che la mia mente fosse ottusa e negata alle lettere. Frattanto era inquieto, vispo, iracondo e non avea cura di cattivarmi una buona opinione per essere secondato nei miei desideri.

Iddio fu provvido assai; a tempo opportuno riuscì a mia madre persuadere mio padre a farmi contento. E l'anno 1837, appena cessato il colera, quando io contava dieci anni di età, fui mandato in Girgenti in compagnia di Pietrino e di altro ragazzo più grande, paesano nostro, a studiare.

Non era atto ancora alla scuola del seminario; i primi 15 o 20 giorni furono impiegati alla scuola di calligrafia e di lettura del latino; passai indi alla scuola di grammatica italiana e latina presso il sacerdote Gallega che ora è morto. In quell'anno mutai due maestri e presso il terzo profittai in modo che traduceva dal latino in italiano le favole di Esopo e l'Eutropio.


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Era però ancora secolare e sebbene col pensiero fisso al chiericato, pure papà non mi permetteva affatto l'abito sacro, perché mi diceva essere ragazzo ancora e poter trovare intoppo ad una libera scelta nell'età matura per naturale verecondia a svestirmi, se mi fossi trovato chierico » 16 .

 




16 Card. Guarino, pp. 8-9.






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