Testo
Parte I
Il signor Giambattista Vico egli
è nato in Napoli l'anno 1670 da onesti parenti, i quali lasciarono assai buona
fama di sé. Il padre fu di umore allegro, la madre di tempra assai malinconica;
e così entrambi concorsero alla naturalezza di questo lor figliuolo.
Imperciocché, fanciullo, egli fu spiritosissimo e impaziente di riposo; ma in
età di sette anni, essendo col capo in giù piombato da alto fuori d'una scala
nel piano, onde rimase ben cinque ore senza moto e privo di senso, e
fiaccatagli la parte destra del cranio senza rompersi la cotenna, quindi dalla
frattura cagionatogli uno sformato tumore, per gli cui molti e profondi tagli
il fanciullo si dissanguò; talché il cerusico, osservato rotto il cranio e
considerando il lungo sfinimento, ne fe' tal presagio: che egli o ne morrebbe o
arebbe sopravvivuto stolido. Però il giudizio in niuna delle due parti, la Dio
mercé, si avverò; ma dal guarito malore provenne che indi in poi e' crescesse
di una natura malinconica ed acre, qual dee essere degli uomini ingegnosi e
profondi, che per l'ingegno balenino in acutezze, per la riflessione non si
dilettino dell'arguzie e del falso.
Quindi, dopo lunga convalescenza
di ben tre anni, restituitosi alla scuola della gramatica, perché egli
speditamente eseguiva in casa ciò se gl'imponeva dal maestro, tale speditezza
credendo il padre che fusse negligenza, un giorno domandò al maestro se 'l suo
figliuolo facesse i doveri di buon discepolo; e, colui affermandoglielo, il
priegò che raddoppiasse a lui le fatiche. Ma il maestro scusandosene perché il
doveva regolare alla misura degli altri suoi condiscepoli, né poteva ordinare
una classe di un solo e l'altra era molto superiore, allora, essendo a tal
ragionamento presente il fanciullo, con grande animo priegò il maestro che
permettesse a lui di passare alla superior classe, perché esso arebbe da sé
supplito a ciò che gli restava in mezzo da impararsi. Il maestro, più per
isperimentare ciò che potesse un ingegno fanciullesco che avesse da riuscire in
fatti, glielo permise, e con sua meraviglia sperimentò tra pochi giorni un
fanciullo maestro di se medesimo.
Mancato a lui questo primo, fu
menato ad altro maestro, appo 'l quale si trattenne poco tempo, perché il padre
fu consigliato mandarlo da' padri gesuiti, da' quali fu ricevuto nella loro
seconda scuola. Il cui maestro, avendolo osservato di buon ingegno, il diede
avversario successivamente a' tre più valorosi de' suoi scolari, de' quali
egli, con le "diligenze" che essi padri dicono, o sieno straordinarie
fatiche scolastiche, uno avvilì, un altro fe' cadere infermo per emularlo, il
terzo, perché ben visto dalla Compagnia, innanzi di leggersi la
"lista" che essi dicono, per privilegio d'"approfittato" fu
fatto passare alla prima scuola. Di che, come di un'offesa fatta a essolui, il
Giambattista risentito, e intendendo che nel secondo semestre
si aveva a ripetere il già fatto nel primo, egli si uscì da quella scuola e,
chiusosi in casa, da sé apprese sull'Alvarez ciò che rimaneva da' padri a
insegnarsi nella scuola prima e in quella dell'umanità, e passò l'ottobre
seguente a studiare la logica. Nel qual tempo, essendo di està, egli si poneva
al tavolino la sera, e la buona madre, risvegliatasi dal primo sonno e per
pietà comandandogli che andasse a dormire, più volte il ritruovò aver lui
studiato infino al giorno. Lo che era segno che, avvanzandosi in età tra gli
studi delle lettere, egli aveva fortemente a diffendere la sua stima da
letterato.
Ebbe egli in sorte per maestro il
padre Antonio del Balzo gesuita, filosofo nominale; ed avendo nelle scuole
udito che un buon sommolista fosse valente filosofo e che 'l migliore che di
sommole avesse scritto fosse Pietro ispano, egli si diede fortemente a
studiarlo. Indi, fatto accorto dal suo maestro che Paolo veneto era il più
acuto di tutti i sommolisti, prese anche quello per profittarvi; ma l'ingegno,
ancor debole da reggere a quella spezie di logica crisippea, poco mancò che non
vi si perdesse, onde con suo gran cordoglio il dovette abbandonare. Da sì fatta
disperazione (tanto egli è pericoloso dare a' giovani a studiar scienze che
sono sopra la lor età!) fatto disertore degli studi, ne divagò un anno e mezzo.
Non fingerassi qui ciò che astutamente finse Renato Delle Carte d'intorno al
metodo de' suoi studi, per porre solamente su la sua filosofia e mattematica ed
atterrare tutti gli altri studi che compiono la divina ed umana erudizione; ma,
con ingenuità dovuta da istorico, si narrerà fil filo e con ischiettezza la
serie di tutti gli studi del Vico, perché si conoscano le propie e naturali
cagioni della sua tale e non altra riuscita di litterato.
Errando egli così fuori del
dritto corso di una ben regolata prima giovanezza, come un generoso cavallo e
molto e bene esercitato in guerra e lunga pezza poi lasciato in sua balìa a
pascolare per le campagne, se egli avviene che oda una tromba guerriera,
riscuotendosi in lui il militare appetito gestisce d'esser montato dal
cavaliere e menato nella battaglia; così il Vico, nell'occasione di una celebre
accademia degl'Infuriati, restituita a capo di moltissimi anni in San Lorenzo,
dove valenti letterati uomini erano accomunati co' principali avvocati,
senatori e nobili della città, egli dal suo genio fu scosso a riprendere
l'abbandonato cammino, e si rimise in istrada. Questo bellissimo frutto rendono
alle città le luminose accademie, perché i giovani, la cui età per lo buon
sangue e per la poca sperienza è tutta fiducia e piena di alte speranze,
s'infiammino a studiare per la via della lode e della gloria, affinché poi,
venendo l'età del senno e che cura le utilità, esse le si proccurino per valore
e per merito onestamente. Così il Vico si ricevette di bel nuovo alla filosofia
sotto il padre Giuseppe Ricci, pur gesuita,
uomo di acutissimo ingegno, scotista di setta ma zenonista nel fondo, da cui
egli sentiva molto piacere nell'intendere che le "sostanze astratte"
avevano più di realità che i "modi" del Balzo nominale; il che era
presagio che egli a suo tempo si avesse a dilettare più di tutt'altre della
platonica filosofia, alla quale delle scolastiche niuna più s'avvicina che la
scotistica, e che egli poi avesse a ragionare, con altri sentimenti che con gli
alterati di Aristotile, i "punti" di Zenone, come egli ha fatto nella
sua Metafisica. Ma, ad esso lui sembrando
il Ricci troppo essersi trattenuto nella spiegazione dell'ente e della sostanza
per quanto si distingue per gli gradi metafisici, perché egli era avido di
nuove cognizioni; ed avendo udito che 'l padre Suarez nella sua Metafisica ragionava di tutto lo scibile
in filosofia con una maniera eminente, come a metafisico si conviene, e con uno
stile sommamente chiaro e facile, come infatti egli vi spicca con una
incomparabil facondia; lasciò la scuola con miglior uso che l'altra volta, e si
chiuse un anno in casa a studiare sul Suarez.
Frattanto una sola volta egli si
portò nella regia università degli studi, e dal suo buon genio fu menato entro
la scuola di don Felice Aquadies, valoroso lettor primario di leggi, sul punto
che egli dava a' suoi discepoli tal giudizio di Ermanno Vulteio: che questi
fosse il migliore di quanti mai scrissero sulle instituzioni civili; la qual
parola, riposta dal Vico in memoria, fu una delle principali cagioni di tutto
il miglior ordine de' suoi studi e di quello vi profittò. Perché, applicato poi
dal padre agli studi legali, tra per la vicinanza e molto più per la celebrità
del lettore, fu mandato da don Francesco Verde - appo il quale trattenutosi due
soli mesi in lezioni tutte ripiene di casi della pratica più minuta dell'uno e
dell'altro fòro e de' quali il giovanetto non vedeva i princìpi, siccome quello
che dalla metafisica aveva già incominciato a formare la mente universale e
ragionar de' particolari per assiomi o sien massime, - disse al padre che esso
non voleva andarvi più ad imparare, perché dal Verde esso sentiva di nulla
apprendere; e, facendo allora uso del detto dell'Aquadies, il priegò che
chiedesse in prestanza una copia di Ermanno Vulteio ad un dottor di leggi per
nome Nicolò Maria Gianattasio, oscuro ne' tribunali ma assai dotto di buona
giurisprudenza, il quale con lunga e molta diligenza aveva raccolta una
libreria di libri legali eruditi preziosissima, perché sopra di tale auttore
esso da sé studierebbe l'instituzioni civili. Di che il padre, ingombro dalla
volgar fama e grande del lettor Verde, forte maravigliossi: ma, perché egli era
assai discreto, volle in ciò compiacere al figliuolo, ed al Nicolò Maria gliele
domandò, al quale il padre - mentre il figliuolo il richiedeva del Vulteio, che
era di assai difficile incetta in Napoli, - siccome quello che era libraio, si
ricordò avergliene tempo indietro dato uno. Il Nicolò Maria volendo sapere dal
figliuolo medesimo la cagione della richiesta, questi dicendogliela - che sulle
lezioni del Verde esso non faceva altro che esercitar la memoria, e
l'intelletto penava di starvi a spasso, - al buon uomo e savio di tai cose
piacque tanto il giudizio o più tosto senso dritto non punto giovanile del
giovanetto, che, facendo perciò al padre certo presagio della buona riuscita
del figliuolo, non che imprestò, donògli non solo il Vulteio, ma anche l'Instituzioni canoniche di Errigo
Canisio, perché questi a esso Nicolò Maria sembrava
il migliore che l'avesse scritte tra' canonisti. E sì il ben detto
dell'Aquadies e 'l ben fatto di Nicolò Maria avviarono il Vico per le buone
strade dell'una e dell'altra ragione.
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