Parte IX
Ma non altronde si può intendere
apertamente che 'l Vico è nato per la gloria della patria e in conseguenza
dell'Italia, perché quivi nato e non in Marocco esso riuscì letterato, che da
questo colpo di avversa fortuna, onde altri arebbe rinunziato a tutte le
lettere, se non pentito di averle mai coltivate, egli non si ritrasse punto di
lavorare altre opere. Come in effetto ne aveva già lavorata una divisa in due
libri, ch'arebbono occupato due giusti volumi in quarto: nel primo de' quali
andava a ritrovare i princìpi del diritto naturale delle genti dentro quegli
dell'umanità delle nazioni, per via d'inverisimiglianze, sconcezze ed
impossibilità di tutto ciò che ne avevano gli altri inanzi più immaginato che
raggionato; in conseguenza del quale, nel secondo, egli spiegava la generazione
de' costumi umani con una certa cronologia raggionata di tempi oscuro e
favoloso de' greci, da' quali abbiamo tutto ciò ch'abbiamo delle antichità
gentilesche. E già l'opera era stata riveduta dal signor don Giulio Torno,
dottissimo teologo della chiesa napoletana, quando esso - riflettendo che tal
maniera negativa di dimostrare quanto fa di strepito nella fantasia tanto è
insuave all'intendimento, poiché con essa nulla più si spiega la mente umana;
ed altronde per un colpo di avversa fortuna, essendo stato messo in una
necessità di non poterla dare alle stampe, e perché pur troppo obbligato dal
propio punto di darla fuori, ritrovandosi aver promesso di pubblicarla -
ristrinse tutto il suo spirito in un'aspra meditazione per ritrovarne un metodo
positivo, e sì più stretto e quindi più ancora efficace.
E nel fine dell'anno 1725 diede
fuori in Napoli, dalle stampe di Felice Mosca, un libro in dodicesimo di dodeci
fogli, non più, in carattere di testino, con titolo: Princìpi di una Scienza nuova d'intorno alla natura delle nazioni, per
li quali si ritruovano altri princìpi del diritto naturale delle genti, e
con uno elogio l'indirizza alle università dell'Europa. In quest'opera egli
ritruova finalmente tutto spiegato quel principio, ch'esso ancor confusamente e
non con tutta distinzione aveva inteso nelle sue opere antecedenti. Imperciocché
egli appruova una indispensabile necessità, anche umana, di ripetere le prime
origini di tal Scienza da' princìpi della storia sacra, e, per una disperazione
dimostrata così da' filosofi come da' filologi di ritrovarne i progressi ne'
primi auttori delle nazioni gentili, esso - facendo più ampio, anzi un vasto
uso di uno de' giudizi che 'l signor Giovanni Clerico avea dato dell'opera
antecedente, che ivi egli "per le principali epoche ivi date in accorcio
dal diluvio universale fino alla seconda guerra di Cartagine, discorrendo sopra
diverse cose che seguirono in questo spazio di tempo, fa molte osservazioni di
filologia sopra un gran numero di materie, emendando quantità di errori
volgari, a' quali uomini intendentissimi non hanno punto badato" -
discuopre questa nuova Scienza in forza di una nuova arte critica da giudicare
il vero negli auttori delle nazioni medesime dentro le tradizioni volgari delle
nazioni che essi fondarono, appresso i quali doppo migliaia d'anni vennero gli
scrittori, sopra i quali si ravvoglie questa critica usata; e, con la fiaccola
di tal nuova arte critica, scuopre tutt'altre da quelle che sono state
immaginate finora le origini di quasi tutte le discipline, sieno scienze o
arti, che abbisognano per raggionare con idee schiarite e con parlari propi del
diritto naturale delle nazioni. Quindi egli ne ripartisce i princìpi in due
parti, una delle idee, un'altra delle lingue. E per quella dell'idee, scuopre
altri princìpi storici di cronologia e geografia, che sono i due occhi della
storia, e quindi i princìpi della storia universale, c'han mancato finora.
Scuopre altri princìpi storici della filosofia, e primieramente una metafisica
del genere umano, cioè una teologia naturale di tutte le nazioni, con la quale
ciascun popolo naturalmente si finse da se stesso i suoi propri dèi per un
certo istinto naturale che ha l'uomo della divinità, col cui timore i primi
auttori delle nazioni si andarono ad unire con certe donne in perpetua
compagnia di vita, che fu la prima umana società de' matrimoni; e sì scuopre
essere stato lo stesso il gran principio della teologia de' gentili e quello
della poesia de' poeti teologi, che furono i primi nel mondo e quelli di tutta
l'umanità gentilesca. Da cotal metafisica scuopre una morale e quindi una
politica commune alle nazioni, sopra le quali fonda la giurisprudenza del
genere umano variante per certe sette de' tempi, sì come esse nazioni vanno
tuttavia più spiegando l'idee della loro natura, in conseguenza delle quali più
spiegate vanno variando i governi, l'ultima forma de' quali dimostra essere la
monarchia, nella quale vanno finalmente per natura a riposare le nazioni. Così
supplisce il gran vuoto che ne' suoi princìpi ne ha lasciato la storia
universale, la quale incomincia in Nino dalla monarchia degli assiri. Per la
parte delle lingue, scuopre altri princìpi della poesia e del canto e de'
versi, e dimostra essere quella e questi nati per necessità di natura uniforme
in tutte le prime nazioni. In seguito di tai princìpi scuopre altre origini dell'imprese
eroiche, che fu un parlar mutolo di tutte le prime nazioni in tempi diformati
di favelle articolate. Quindi scuopre altri princìpi della scienza del blasone,
che ritruova esser gli stessi che quegli della scienza delle medaglie, dove
osserva eroiche di quattromill'anni di continuata sovranità le origini delle
due case d'Austria e di Francia. Fra gli effetti della discoverta delle origini
delle lingue ritruova certi princìpi communi a tutte, e per un saggio scuopre
le vere cagioni della lingua latina, e al di lei essemplo
lascia agli eruditi a farlo delle altre tutte; dà un'idea di un etimologico
commune a tutte le lingue natie, un'altra di altro etimologico delle voci di
origine straniera, per ispiegare finalmente un'idea d'un etimologico universale
per la scienza della lingua necessaria a raggionare con propietà del diritto
naturale delle genti. Con sì fatti princìpi sì d'idee come di lingue, che vuol
dire con tal filosofia e filologia del gener umano, spiega una storia ideale
eterna sull'idea della providenza, dalla quale per tutta l'opera dimostra il
diritto naturale delle genti ordinato; sulla quale storia eterna corrono in
tempo tutte le storie particolari delle nazioni ne' loro sorgimenti, progressi,
stati, decadenze e fini. Sì che esso dagli egizi, che motteggiavano i greci che
non sapessero di antichità, con dir loro che erano sempre
fanciulli, prende e fa uso di due gran rottami di antichità: uno, che tutti i
tempi scorsi loro dinanzi essi divisero in tre epoche, una dell'età degli dèi,
l'altra dell'età degli eroi, la terza di quella degli uomini; l'altro che con
questo stesso ordine e numero di parti in altrettanta distesa di secoli si
parlarono inanzi, ad essoloro tre lingue: una divina, muta, per geroglifici o
sieno caratteri sacri; un'altra simbolica o sia per metafore, qual è la favella
eroica; la terza epistolica per parlari convenuti negli usi presenti della
vita. Quindi dimostra la prima epoca e lingua essere state nel tempo delle
famiglie, che certamente furono appo tutte le nazioni inanzi delle città e
sopra le quali ognun confessa che sorsero le città, le quali famiglie i padri
da sovrani prìncipi reggevano sotto il governo degli dèi, ordinando tutte le
cose umane con gli auspici divini, e con una somma naturalezza e semplicità
ne spiega la storia dentro le favole divine de' greci. Quivi osservando che gli
dèi d'Oriente, che poi da' caldei furono innalzati alle stelle, portati da'
fenici in Grecia (lo che dimostra esser avvenuto dopo i tempi d'Omero), vi
ritruovarono acconci i nomi dei dèi greci a ricevergli, sì come poi, portati
nel Lazio, vi ritruovarono acconci i nomi dei dèi latini. Quindi dimostra
cotale stato di cose, quantunque in altri dopo altri, essere corso egualmente
tra latini, greci ed asiani. Appresso dimostra la seconda epoca con la seconda
lingua simbolica essere state nel tempo de' primi governi civili, che dimostra
essere stati di certi regni eroici o sia d'ordini regnanti de' nobili, che gli
antichissimi greci dissero "razze erculee", riputate di origine divina
sopra le prime plebi, tenute da quelli di origine bestiale; la cui storia egli
spiega con somma facilità descrittaci da' greci tutta nel carattere del loro
Ercole tebano, che certamente fu il massimo de' greci eroi, della cui razza
furono certamente gli Eraclidi, da' quali sotto due re si governava il regno
spartano, che senza contrasto fu aristocratico. Ed avendo egualmente gli egizi
e greci osservato in ogni nazione un Ercole, come de' latini ben quaranta ne
giunse a numerare Varrone, dimostra dopo degli dèi aver regnato gli eroi da per
tutte le nazioni gentili e, per un gran frantume di greca antichità, che i
cureti uscirono di Grecia in Creta, in Saturnia, o sia Italia, ed in Asia;
scuopre questi essere stati i quiriti latini, di cui furono una spezie i quiriti
romani, cioè uomini armati d'aste in adunanza; onde il diritto de' quiriti fu
il diritto di tutte le genti eroiche. E dimostra la vanità della favola della
legge delle XII tavole venuta da Atene, scuopre che sopra tre diritti nativi
delle genti eroiche del Lazio, introdotti ed osservati in Roma e poi fissi
nelle tavole, reggono le cagioni del governo, virtù e giustizia romana in pace
con le leggi e in guerra con le conquiste; altrimenti la romana storia antica,
letta con l'idee presenti, ella sia più incredibile di essa favolosa de' greci;
co' quali lumi spiega i veri princìpi della giurisprudenza romana. Finalmente
dimostra la terza epoca dell'età degli uomini e delle lingue volgari essere nei
tempi dell'idee della natura umana tutta spiegata e ravisata quindi uniforme in
tutti; onde tal natura si trasse dietro forme di governi umani, che pruova
essere il popolare e 'l monarchico, della qual setta de' tempi furono i
giureconsulti romani sotto gl'imperadori. Tanto che viene a dimostrare le
monarchie essere gli ultimi governi in che si ferman finalmente le nazioni; e
che sulla fantasia che i primi re fussero stati monarchi quali sono i presenti,
non abbiano affatto potuto incominciare le repubbliche; anzi con la froda e con
la forza, come si è finora immaginato, non abbiano potuto affatto cominciare le
nazioni. Con queste ed altre discoverte minori, fatte in gran numero, egli
raggiona del diritto naturale delle genti, dimostrando a quali certi tempi e
con quali determinate guise nacquero la prima volta i costumi che forniscono
tutta l'iconomia di cotal diritto, che sono religioni, lingue, domìni,
commerzi, ordini, imperi, leggi, armi, giudizi, pene, guerre, paci, alleanze, e
da tali tempi e guise ne spiega l'eterne propietà che appruovano tale e non
altra essere la loro natura o sia guisa e tempo di nascere; osservandovi sempre
essenziali differenze tra gli ebrei e gentili: che quelli da principio sorsero
e stieron fermi sopra pratiche di un giusto eterno, ma le pagane nazioni,
conducendole assolutamente la providenza divina, vi sieno ite variando con
costante uniformità per tre spezie di diritti, corrispondenti alle tre epoche e
lingue degli egizi: il primo, divino, sotto il governo del vero Dio appo gli
ebrei e di falsi dèi tra' gentili; il secondo, eroico, o propio degli eroi,
posti in mezzo agli dèi e gli uomini; il terzo, umano, o della natura umana
tutta spiegata e riconosciuta eguale in tutti, dal quale ultimo diritto possono
unicamente provenire nelle nazioni i filosofi, i quali sappiano compierlo per raziocini
sopra le massime di un giusto eterno. Nello che hanno errato di concerto
Grozio, Seldeno e Pufendorfio, i quali per difetto di un'arte critica sopra gli
auttori delle nazioni medesime, credendogli sapienti di sapienza riposta, non
videro che a' gentili la providenza fu la divina maestra della sapienza
volgare, dalla quale tra loro, a capo di secoli uscì la sapienza riposta; onde
han confuso il diritto naturale delle nazioni, uscito coi costumi delle
medesime, col diritto naturale de' filosofi, che quello hanno inteso per forza
de' raziocini, senza distinguervi con un qualche privilegio un popolo eletto da
Dio per lo suo vero culto, da tutte le altre nazioni perduto. Il qual difetto
della stessa arte critica aveva tratto, inanzi, gl'interpetri eruditi della
romana ragione che sulla favola delle leggi venute di Atene intrusero, contro
il di lei genio, nella giurisprudenza romana le sètte de' filosofi, e
spezialmente degli stoici ed epicurei, de' cui princìpi non vi è cosa più
contraria a quelli, non che di essa giurisprudenza, di tutta la civiltà; e non
seppero trattarla per le di lei sètte propie, che furono quelle de' tempi, come
apertamente professano averla trattata essi romani giureconsulti.
Con la qual opera il Vico, con
gloria della cattolica religione, produce il vantaggio alla nostra Italia di
non invidiare all'Olanda, l'Inghilterra e la Germania protestante i loro tre
príncipi di questa scienza, e che in questa nostra età nel grembo della vera
Chiesa si scuoprissero i princìpi di tutta l'umana e divina erudizione
gentilesca. Per tutto ciò ha avuto il libro la fortuna di meritare
dall'eminentissimo cardinale Lorenzo Corsini, a cui sta dedicato, il gradimento
con questa non ultima lode: "Opera, al certo, che per antichità di lingua
e per solidezza di dottrina basta a far conoscere che vive anche oggi
negl'italiani spiriti non meno la nativa particolarissima attitudine alla
toscana eloquenza che il robusto felice ardimento a nuove produzioni nelle più
difficili discipline; onde io me ne congratulo con cotesta sua ornatissima
patria".
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