Aggiunta fatta dal Vico alla sua Autobiografia (1734)
Parte I
Uscita alla luce la Scienza nuova, tra gli altri ebbe cura
l'autore di mandarla al signor Giovanni Clerico ed eleggé via più sicura per
Livorno, ove l'inviò, con lettera a quello indiritta, in un pacchetto al signor
Giuseppe Attias, con cui aveva contratto
amicizia qui in Napoli, il più dotto riputato tra gli ebrei di questa età nella
scienza della lingua santa, come il dimostra il Testamento vecchio con la di
lui lezione stampato in Amsterdam, opera fatta celebre nella repubblica delle
lettere. Il quale con la seguente risposta ne ricevé gentilmente l'impiego:
"Non saprei esprimere il piacere da me provato nel ricevere
l'amorevolissima lettera di V.S. illustrissima del 3 novembre, la quale mi ha
rinovato la rimembranza del mio felice soggiorno in cotesta amenissima città:
basta dire che costà mi trovai sempre
colmo di favori e di grazie compartitemi da quei celebri letterati, e
particolarmente dalla gentilissima sua persona, che mi ha onorato delle sue
eccellenti e sublimi opere; vanto ch'io mi son dato con gli amici della mia
conversazione e letterati che doppo ho praticato ne' miei viaggi d'Italia e
Francia. Manderò il pacchetto e lettera del signor Clerico, per fargliele
recapitare in mano propria da un mio amico di Amsterdam; ed allora averò
adempito i miei doveri ed eseguito i pregiati comandi di Vostra Signoria
illustrissima, alla di cui gentilezza rendo infinite grazie per l'essemplare mi dona, il quale si è letto nella
nostra conversazione, e ammirato la sublimità della materia e copia di nuovi
pensieri, che, come dice il signor Clerico [che doveva egli aver letto
nell'accennata "Biblioteca"], oltre il diletto e proffitto che se ne
ricava da tutte le sue opere lette attentamente, dà motivo di pensare a molte
cose per rarità e sublimità peregrine e grandi. Chiudo pregandola a portar i
miei ossequiosi saluti al padre Sostegni."
Ma neppure di questa il Vico ebbe
alcuno riscontro, forse perché il signor Clerico o fusse morto o per la
vecchiezza avesse rinnonziato alle lettere ed alle corrispondenze letterarie.
Tra questi studi severi non
mancarono al Vico delle occasioni di esercitarsi anco negli ameni; come, venuto
in Napoli il re Filippo quinto, ebbe egli ordine dal signor duca d'Ascalona,
ch'allora governava il Regno di Napoli, portatogli dal signor Serafino
Biscardi, innanzi sublime avvocato, allora regente di cancellaria, ch'esso,
come regio lettore d'eloquenza, scrivesse una orazione nella venuta del re; e
l'ebbe appena otto giorni avanti di dipartirsi, talché dovettela scrivere sulle
stampe, che va in dodicesimo col titolo: Panegyricus
Philippo V Hispaniarum regi inscriptus.
Appresso, ricevutosi questo Reame
al dominio austriaco, dal signor conte Wirrigo di Daun, allora governatore
dell'armi cesaree in questo Regno, con questa onorevolissima lettera ebbe il
seguente ordine:
"Molto magnifico signor Giovan Battista di Vico, catedratico ne' reali
Studi di Napoli. - Avendomi ordinato S.M. cattolica (Dio guardi) di far
celebrare i funerali alli signori don Giuseppe
Capece e don Carlo di Sangro con pompa proporzionata alla sua reale
magnificenza ed al sommo valore de' cavalieri defonti, si è commesso al padre
don Benedetto Laudati, priore benedettino, che vi componesse l'orazione
funebre, e dovendosi fare gli altri componimenti per le iscrizioni, persuaso
dello stile pregiato di Vostra Signoria, ho pensato di commettere al suo
approvato ingegno tale materia, assicurandola che, oltre l'onore sarà per
conseguire in sì degna opera, mi resterà viva la memoria delle sue nobili
fatiche. E desiderando d'essergli utile in qualche suo vantaggio, gli auguro
dal cielo tutto il bene. Di Vostra Signoria, molto magnifico signore,
Da questo Palazzo in Napoli, a 11 ottobre 1707 (di propia mano)
affezionato servidore
CONTE DI DAUN"
Così esso vi fece l'iscrizioni,
gli emblemi e motti sentenziosi e la relazione di que' funerali, e 'l padre prior
Laudati, uomo d'aurei costumi e molto dotto di teologia e di canoni, vi recitò
l'orazione, che vanno in un libro figurato in foglio, magnificamente stampato a
spese del real erario col titolo: Acta
funeris Caroli Sangrii et Iosephi Capycii.
Non passò lungo tempo che, per
onorato comando del signor conte Carlo Borromeo viceré, fece l'iscrizioni ne'
funerali che nella real cappella si celebrarono per la morte di Giuseppe
imperadore.
Quindi l'avversa fortuna volle
ferirlo nella stima di letterato; ma, perché non era cosa di sua ragione, tal
avversità fruttògli un onore, il qual nemmeno è lecito desiderarsi da suddito
sotto la monarchia. Dal signor cardinale Wolfango di Scrotembac, viceré, ne'
funerali dell'imperadrice Elionora fu comandato di fare le seguenti iscrizioni,
le quali esso concepì con tal condotta che, sceverate, ognuna vi reggesse da sé
e, tutte insieme, vi componessero una orazion funerale. Quella che doveva
venire sopra la Porta della real cappella, al di fuori, contiene il proemio:
Helionoræ augustæ - e ducum Neoburgensium domo - Leopoldi cæs. uxori
lectissimæ - Carolus VI Austrius roman. imperator Hispan. et Neap. rex -
parenti optimæ - iusta persolvit - reip. hilaritas princeps - luget - huc -
publici luctus officia conferte - cives.
La prima delle quattro ch'avevano
da fissarsi sopra i quattro archi della cappella, contiene le lodi:
Qui oculis hunc tumulum inanem spectas - rem mente inanem cogita -
namque inter regiæ fortunae delicias fluxae voluptatis fuga - in fastigio
muliebris dignitatis sui ad imam usque conditionem demissio - inter generis
humani mortales cultus aeternarum rerum diligentia - quae - Helionora augusta
defuncta - ubique in terris iacent - heic - supremis honoribus cumulantur.
La seconda spiega la grandezza
della perdita:
Si digni in terris reges - qui exemplis magis quam legibus - populorum
ac gentium corruptos emendant mores - et rebuspp. civilem conservant
felicitatem - Helionora - ut augusti coniugii sorte ita virtute - foemina in
orbe terrarum vere primaria - quae uxor materque cæsarum - vitæ sanctimonia
imperii christiani beatitudini - pro muliebri parte quamplurimum contulit -
animitus eheu dolenda optimo cuique iactura!
La terza desta il dolore:
Qui summam - ex Carolo caesare principe optimo - capitis voluptatem -
cives - ex Helionora eius augusta matre defuncta - aeque tantum capiatis
dolorem - quae felici foecunditate - quod erat optandum - ex Austria domo vobis
principem dedit - et raris ac praeclaris regiarum virtutum exemplis - quod erat
maxime optandum - vobis optimum dedit.
La quarta ed ultima porge la
consolazione:
Cum lachrymis - nuncupate conceptissima vota - cives - ut - helionorae
- recepta coelo mens - qualem ex se dedit Leopoldo - talem ex Elisabetha
augusta Carolo imp. - a summo Numine - impetret sobolem - ne sui desiderium
perpetuo amarissimum - christiano terrarum orbi - relinquat.
Sì fatte iscrizioni poi non si
alzarono. Però, appena era passato il primo giorno de' funerali, che il signor
don Niccolò d'Afflitto, gentilissimo cavaliere napoletano, prima facondo
avvocato ed allora auditor dell'esercito (e privava appo 'l signor cardinale,
la quale gran confidenza, con le grandi fatighe, portògli appresso la morte,
che fu da tutti i buoni compianta), egli volle in ogni conto dal Vico che la
sera si facesse ritruovare in casa per fargli esso una visita, nella quale gli
disse queste parole: - Io ho lasciato di trattare col signor viceré un affare
gravissimo per venir qua, ed or quindi ritornerò in Palazzo per riattaccarlo; -
e tra 'l ragionare, che durò molto poco, dissegli: - Il signor cardinale mi ha
detto che grandemente gli dispiaceva questa disgrazia che vi è immeritevolmente
accaduta -. Allo che questi rispose che rendeva infinite grazie al signor
cardinale di tanta altezza d'animo, propia di grande, usata inverso d'un
suddito, la cui maggior gloria è l'ossequio verso del principe.
Tra queste molte occasioni
luttuose vennegli una lieta nelle nozze del signor don Giambattista Filomarino,
cavalliere di pietà, di generosità, di gravi costumi e di senno ornatissimo,
con donna Maria Vittoria Caracciolo de' marchesi di Sant'Eramo; e nella
raccolta de' Componimenti per ciò
fatti, stampata in quarto, vi compose un epitalamio di nuova idea, ch'è d'un
poema dramatico monodico col titolo di Giunone
in danza, nel quale la sola Giunone, dea delle nozze, parla ed invita gli
altri dèi maggiori a danzare, e a proposito del subbietto ragiona sui princìpi
della mitologia istorica che si è tutta nella Scienza nuova spiegata.
Sui medesimi princìpi tessé una
canzone pindarica, però in verso sciolto, dell'Istoria della poesia, da che nacque infino a' dì nostri,
indirizzata alla valorosa e saggia donna Marina Della Torre, nobile genovese,
duchessa di Carignano.
E qui lo studio de' buoni
scrittori volgari ch'aveva fatto giovine, quantunque per tanti anni interrotto,
gli diede la facultà, essendo vecchio, in tal lingua come di lavorare queste
poesie così di tessere due orazioni, e quindi di scrivere con isplendore di tal
favella la Scienza nuova. Delle
orazioni la prima fu nella morte di Anna d'Aspromonte contessa di Althan, madre
del signor cardinale d'Althan, allora viceré; la quale egli scrisse per esser
grato ad un beneficio che avevagli fatto il signor don Francesco Santoro,
allora segretario del Regno. Il qual, essendo giudice di Vicaria civile e
commessario d'una causa d'un suo genero, che vi si trattò a ruote giunte, ove,
due giorni di mercordì l'uno immediato all'altro (ne' quali la Vicaria
criminale si porta nel regio Collateral Consiglio a riferire le cause), il
signor don Antonio Caracciolo marchese dell'Amorosa, allor regente di Vicaria
(il cui governo della città per la di lui interezza e prudenza piacque a ben
quattro signori viceré), per favorire il Vico, a bella posta vi si portò; a cui
il signor Santoro la riferì talmente piena, chiara ed esatta, che gli risparmiò
l'appuramento de' fatti, per lo quale sarebbesi di molto prolungata e strappata
dall'avversario la causa. La qual esso Vico ragionò a braccio con tanta copia,
che contro un istrumento di notaio vivente vi ritruovò ben trentasette
congetture di falsità, le quali dovette ridurre a certi capi per ragionarla con
ordine e, in forza dell'ordine, ritenerle tutte a memoria. E la porse così
tinta di passione, che tutti quei signori giudicanti per loro somma bontà non
solo non aprirono bocca per tutto il tempo ch'egli ragionava la causa, ma non
si guardarono in faccia l'uno con l'altro; e nel fine il signor regente
sentissi così commuovere che, temprando l'affetto con la gravità propia di sì
gran maestrato, diede un segno degnamente mescolato e di compassione inverso il
reo e di disdegno contro l'attore: laonde la Vicaria, la qual è alquanto
ristretta in render ragione, senza essersi pruovata criminalmente la falsità,
assolvette il convenuto.
Per tal cagione il Vico scrisse
la orazione sudetta, che va nella raccolta de' Componimenti che ne fece esso signor Santoro, stampata in quarto
foglio. Dove, con l'occasione di due signori figliuoli di sì santa principessa
i quali s'impiegarono nella guerra fatta per la successione della monarchia di
Spagna, vi fa una digressione con uno stile mezzo tra quello della prosa e
quello del verso (qual dee essere lo stile istorico, secondo l'avviso di
Cicerone nella brieve e succosa idea che dà di scriver la storia, che deve ella
adoperare "verba ferme poetarum",
forse per mantenersi gli storici nell'antichissima loro possessione, la quale
si è pienamente nella Scienza nuova dimostrata, che i primi storici delle
nazioni furono i poeti); e la vi comprende tutta nelle sue cagioni, consigli,
occasioni, fatti e conseguenze, e per tutte queste parti la pone ad esatto
confronto della guerra cartaginese seconda, ch'è stata la più grande fatta mai
nella memoria de' secoli, e la dimostra essere stata maggiore. Della qual
digressione il principe signor don Giuseppe
Caracciolo de' marchesi di Sant'Eramo, cavaliero di gravi costumi e saviezza e
di buon gusto di lettere, con molta grazia diceva voler esso chiuderla in un
gran volume di carta bianca, intitolato al di fuori: Istoria della guerra fatta per la monarchia di Spagna.
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