Parte III
Di più, dentro il medesimo tempo
avvenne che d'intorno alla Scienza nuova
gli fu fatta una vile impostura, la quale sta ricevuta tra le Novelle letterarie degli Atti di Lipsia del mese di agosto
dell'anno 1727. La qual tace il titolo del libro, ch'è il principal dovere de'
novellieri letterari (perocché dice solamente "Scienza nuova", né spiega dintorno a qual materia); falsa la
forma del libro, che dice esser in ottavo (la qual è in dodicesimo); mentisce
l'autore e dice che un lor amico italiano gli accerta che sia un
"abate" di casa Vico (il qual è padre e per figliuoli e figliuole
ancor avolo); narra che vi tratta un sistema o piuttosto "favole" del
diritto naturale (né distingue quel delle genti, che ivi ragiona, da quel de'
filosofi che ragionano i nostri morali teologi, e come se questa fusse la
materia della Scienza nuova, quando
egli n'è un corollario); ragguaglia dedursi da princìpi altri da quelli da'
quali han soluto finor i filosofi (nello che, non volendo, confessa la verità,
perché non sarebbe "scienza nuova" quella dalla quale si deducono tai
princìpi); il nota che sia acconcia al gusto della Chiesa catolica romana (come
se l'esser fondato sulla provvedenza divina non fusse di tutta la religion
cristiana, anzi di ogni religione: nello che ed egli si accusa o epicureo o
spinosista, e, 'n vece d'un'accusa, dà la più bella lode, ch'è quella d'esser
pio, all'autore); osserva che molto vi si travaglia ad impugnare le dottrine di
Grozio e di Pufendorfio (e tace il Seldeno, che fu il terzo principe di tal
dottrina, forse perch'egli era dotto di lingua ebrea); giudica che compiaccia
più all'ingegno che alla verità (quivi il Vico fa una digressione, ove tratta
degli più profondi princìpi dell'ingegno, del riso e de' detti acuti ed arguti:
che l'ingegno sempre si ravvolge dintorno al
vero ed è 'l padre de' detti acuti, e che la fantasia debole è la madre
dell'argutezze, e pruova che la natura dei derisori sia, più che umana, di
bestia); racconta che l'autore manca sotto la lunga mole delle sue congetture
(e nello stesso tempo confessa esser lunga la mole delle di lui congetture), e
che vi lavora con la sua nuova arte critica sopra gli autori delle nazioni
(tralle quali appena dopo un mille anni provenendovi gli scrittori, non può
ella usarne l'autorità); finalmente conchiude che da essi italiani più con tedio
che con applausi era ricevuta quell'opera (la qual dentro tre anni della sua
stampa si era fatta rarissima per l'Italia e, se alcuna se ne ritruovava,
comperavasi a carissimo prezzo, come si è sopra narrato; ed un italiano con
empia bugia informò i signori letterati protestanti di Lipsia che a tutta la
sua nazione dispiaceva un libro che contiene dottrina catolica!). Il Vico con
un libricciuolo in dodicesimo, intitolato: Notae
in Acta lipsiensia, vi dovette rispondere nel tempo che, per un'ulcera
gangrenosa fattagli nella gola (perché in tal tempo n'ebbe la notizia), egli,
essendo vecchio di sessant'anni, fu costretto dal signor Domenico Vitolo,
dottissimo e costumatissimo medico, d'abbandonarsi al pericoloso rimedio de'
fumi del cinabro, il qual anco a' giovani, se per disgrazia tocca i nervi,
porta l'apoplesia. Per molti e rilevanti riguardi, chiama l'orditore di tale
impostura "vagabondo sconosciuto". Penetra nel fondo di tal laida
calonnia e pruova lui averla così tramata per cinque fini: il primo per far
cosa che dispiacesse all'autore; il secondo per rendere i letterati lipsiensi
neghittosi di ricercare un libro vano, falso, catolico, d'un autor sconosciuto;
il terzo, se ne venisse lor il talento, col tacere e falsare il titolo, la
forma e la condizion dell'autore, difficilmente il potessero ritruovare; il
quarto, se pur mai il truovassero, da tante altre circostanze vere la
stimassero opera d'altro autore; il quinto per seguitare d'esser creduto buon
amico da que' signori tedeschi. Tratta i signori giornalisti di Lipsia con
civiltà, come si dee con un ordine di letterati uomini d'un'intiera famosa
nazione, e gli ammonisce che si guardino per l'avvenire di un tal amico, che
rovina coloro co' quali celebra l'amicizia e gli ha messi dentro due pessime
circostanze: una, di accusarsi che mettono ne' loro Atti i rapporti e i giudizi de' libri senza vedergli; l'altra, di
giudicare d'un'opera medesima con giudizi tra loro affatto contrari. Fa una
grave esortazione a costui, che, poiché peggio tratta con gli amici che co'
nimici ed è falso infamatore della nazion sua e vil traditore delle nazioni
straniere, esca dal mondo degli uomini e vada a vivere tralle fiere ne' diserti
dell'Affrica. Aveva destinato mandare in Lipsia un esemplare
con la seguente lettera al signor Burcardo Menckenio, capo di quella assemblea,
primo ministro del presente re di Polonia:
"Praeclarissimo eruditorum lipsiensium collegio eiusque praefecto
excellentissimo viro BURCARDO MENCKENIO, IOHANNES BAPTISTA VICUS s.d.
Satis graviter quidem indolui quod mea infelicitas vos quoque,
clarissimi viri, in eam adversam fortunam pertraxisset, ut a vestro simulato
amico italo decepti omnia vana, falsa, iniqua de me meoque libro cui titulus Princìpi d'una Scienza nuova dintorno
all'umanità delle nazioni, in vestra eruditorum Acta referretis; sed
dolorem ea mihi consolatio lenivit quod sua naturae sponte ita res nasceretur
ut per vestram ipsorum innocentiam, magnanimitatem et bonam fidem, istius
malitiam, invidiam perfidiamque punirem; et hic perexiguus liber, quem ad vos
mitto, una opera et illius delicta et poenas et ipsas vestras civiles virtutes
earumque laudes complecteretur. Cum itaque has Notas bona magnaque ex parte
vestra eruditi nominis caussa evulgaverim, eas nedum nullius offensionis sed
multae mihi vobiscum ineundae gratiae occasionem esse daturas spero, tecumque
in primis, excellentissime Burcarde Menckeni, qui praestantissimae eruditionis
merito in isto praeclarissimo eruditorum collegio principem locum obtines. Bene
agite plurimum. Dabam Neapoli, XIV kal. novembris anno MDCCXXIX."
La qual lettera, quantunque, come
si vede, fusse condotta con tutta onorevolezza, però, riflettendo che pur così
avrebbe come di faccia a faccia ripreso que' letterati di grandi mancanze nel
lor ufizio, e che essi, i quali attendono a far incetta de' libri ch'escono
nell'Europa tuttodì dalle stampe, devono sapere principalmente quelli che lor
appartengono, per propia gentilezza si ristò di mandare.
Or, per ritornare onde uscì tal
ragionamento, dovendo il Vico risponder a' signori giornalisti lipsiani, perché
nella risposta gli bisognava far menzione della ristampa che si promoveva di
tal suo libro in Venezia, ne scrisse al padre Lodoli per averne il permesso
(com'infatti nel riportò); onde nella sua risposta di nuovo con le stampe si
pubblicò che i Princìpi della Scienza
nuova con le annotazioni di esso autore erano ristampati in Venezia.
E quivi stampatori veneziani
sotto maschere di letterati, per lo Gessari e 'l Mosca, l'uno libraio, l'altro
stampatore napoletani, gli avevano fatto richiedere di tutte l'opere sue, e
stampate e inedite, descritte in cotal catalogo, di che volevan adornare i loro
musei, com'essi dicevano, ma in fatti per istamparle in un corpo, con la
speranza che la Scienza nuova l'arebbe
dato facile smaltimento. A' quali per far loro vedere che gli conosceva quali
essi erano, il Vico fece intendere che di tutte le deboli opere del suo
affannato ingegno arebbe voluto che sola fusse restata al mondo la Scienza
nuova, ch'essi potevano sapere che si ristampava in Venezia. Anzi, per una sua
generosità, volendo assicurare anco dopo la sua morte lo stampatore di cotal
ristampa, offerì al padre Lodoli un suo manoscritto di presso a cinquecento
fogli, nel qual era il Vico andato cercando questi Princìpi per via negativa,
dal quale se n'arebbe potuto di molto accrescere il libro della Scienza nuova,
che 'l signor don Giulio Torno, canonico e dottissimo teologo di questa chiesa
napoletana, per una sua altezza d'animo con cui guarda le cose del Vico, voleva
far qui stampare con alquanti associati, ma lo stesso Vico priegandolo nel
rimosse, avendo di già truovati questi Princìpi
per la via positiva.
Finalmente dentro il mese
d'ottobre dell'anno 1729 pervenne in Venezia, ricapitato al padre Lodoli, il
compimento delle correzioni al libro stampato e dell'annotazioni e commenti,
che fanno un manoscritto di presso a trecento fogli.
Or, ritruovandosi pubblicato con
le stampe ben due volte che la Scienza
nuova si ristampava con l'aggiunte in Venezia, ed essendo colà pervenuto tutto
il manoscritto, colui che faceva la mercatanzia di cotal ristampa uscì a
trattar col Vico come con uomo che dovesse necessariamente farla ivi stampare.
Per la qual cosa, entrato il Vico in un punto di propia stima, richiamò
indietro tutto il suo ch'avea colà mandato; la qual restituzione fu fatta
finalmente dopo sei mesi ch'era già stampato più della mettà di quest'opera. E
perché, per le testè narrate cagioni, l'opera non ritruovava stampatore né qui
in Napoli né altrove che la stampasse a sue spese, il Vico si die' a meditarne
un'altra condotta, la qual è forse la propia che doveva ella avere, che senza
questa necessità non arebbe altrimente pensato, che, col confronto del libro
innanzi stampato, apertamente si scorge esser, dall'altra che aveva tenuto, a
tutto cielo diversa. Ed in questa tutto ciò che nell'Annotazioni, per seguire il filo di quell'opera, distratto
leggevasi e dissipato, ora con assai molto di nuovo aggiunto si osserva con uno
spirito comporsi e reggere con uno spirito, con tal forza di ordine (il quale,
oltre all'altra ch'è la propietà dello spiegarsi, è una principal cagione della
brevità) che 'l libro di già stampato e 'l manoscritto non vi sono cresciuti
che soli tre altri fogli di più. Dello che si può far sperienza, come, per cagion
d'esemplo, sulle propietà del diritto natural
delle genti, delle quali col primo metodo nel capo I, § VII ragionò presso a
sei fogli, ed in questa ne discorre con pochi versi.
Ma fu dal Vico lasciato intiero
il libro prima stampato per tre luoghi de' quali si truovò pienamente
soddisfatto, per gli quali tre luoghi principalmente è necessario il libro
della Scienza nuova la prima volta
stampato, del quale intende parlare allorché cita la "Scienza nuova"
o pure "l'opera con l'Annotazioni",
a differenza di quando cita "altra opera sua", che intende per gli
tre libri del Diritto universale.
Laonde o essa Scienza nuova prima,
ove si faccia altra ristampa della seconda, deve stamparlesi appresso, o
almeno, per non fargli disiderare, vi si devono stampare detti tre luoghi.
Anzi, acciocché nemmeno si disiderassero i libri del Diritto universale, de' quali assai meno della Scienza nuova prima,
siccome d'un abbozzo di quella, il Vico era contento, e gli stimava solamente
necessari per gli due luoghi: - uno della favola d'intorno alla legge delle XII
Tavole venuta d'Atene, l'altro d'intorno alla favola della Legge regia di
Triboniano, - anco li rapportò in due Ragionamenti,
con più unità e maggior nerbo trattati. I quali due sono di quelli errori che
'l signor Giovanni Clerico, nella Biblioteca
antica e moderna, in rapportando que' libri, dice che "in un gran
numero di materie vi si emendano quantità d'errori volgari, a' quali uomini
intendentissimi non hanno punto avvertito".
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