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Giovanbattista Vico Vita di Giovanbattista Vico scritta da se medesimo IntraText CT - Lettura del testo |
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Parte III Ad un medesimo tempo le opere filosofiche di Cicerone, di Aristotile e di Platone, tutte lavorate in ordine a ben regolare l'uomo nella civile società, fecero che egli nulla o assai poco si dilettasse della morale così degli stoici come degli epicurei, siccome quelle che entrambe sono una morale di solitari: degli epicurei, perché di sfaccendati chiusi ne' loro orticelli, degli stoici, perché di meditanti che studiavano non sentir passione. E 'l salto, che egli aveva dapprima fatto dalla logica alla metafisica, fece che 'l Vico poco poi curasse la fisica d'Aristotile, di Epicuro ed ultimamente di Renato Delle Carte; onde si ritrovò disposto a compiacersi della fisica timaica seguita da Platone, la quale vuole il mondo fatto di numeri, e ad esser rattenuto di disprezzare la fisica stoica, che vuole il mondo costar di punti, tralle quali due non è nulla di vario in sostanza, come poi si applicò a ristabilirla nel libro De antiquissima italorum sapientia; e finalmente a non ricevere né per gioco né con serietà le fisiche meccaniche di Epicuro come di Renato, che sono entrambe di falsa posizione. Però, osservando il Vico così da Aristotile come da Platone usarsi assai sovente pruove mattematiche per dimostrare le cose che ragionano essi in filosofia, egli in ciò si vide difettoso a poter bene intendergli; onde volle applicarsi alla geometria e inoltrarsi fino alla quinta proposizione di Euclide. E, riflettendo che in quella dimostrazione si conteneva insomma una congruenza di triangoli esaminata partitamente per ciascun lato ed angolo di triangolo, che si dimostra con egual distesa combaciarsi con ciascun lato ed angolo dell'altro, pruovava in se stesso cosa più facile l'intendere quelle minute verità tutte insieme, come in un genere metafisico, di quelle particolari quantità geometriche. E a suo costo sperimentò che alle menti già dalla metafisica fatte universali non riesce agevole quello studio propio degli ingegni minuti, e lasciò di seguitarlo, siccome quello che poneva in ceppi ed angustie la sua mente già avezza col molto studio di metafisica a spaziarsi nell'infinito de' generi; e con la spessa lezione di oratori, di storici e di poeti dilettava l'ingegno di osservare tra lontanissime cose nodi che in qualche ragion comune le stringessero insieme, che sono i bei nastri dell'eloquenza che fanno dilettevoli l'acutezze. "Talché con ragione gli antichi stimarono studio propio da applicarvisi i fanciulli quello della geometria e la giudicarono una logica propia di quella tenera età, che quanto apprende bene i particolari e sa fil filo disporgli, tanto difficilmente comprende i generi delle cose; ed Aristotile medesimo, quantunque esso dal metodo usato dalla geometria avesse astratto l'arte sillogistica, pur vi conviene ove afferma che a' fanciulli debbano insegnarsi le lingue, l'istorie e la geometria, come materie più propie da esercitarvi la memoria, la fantasia e l'ingegno. Quindi si può facilmente intendere con quanto guasto, con che coltura della gioventù, oggi da taluni nel metodo di studiare si usano due perniziosissime pratiche. La prima, che a fanciulli appena usciti dalla scuola della gramatica si apre la filosofia sulla logica che si dice "di Arnaldo", tutta ripiena di severissimi giudizi d'intorno a materie riposte di scienze superiori e tutte lontane dal comun senso volgare; con che si vengono a convellere ne' giovinetti quelle doti della mente giovanile, le quali dovrebbero essere regolate e promosse ciascuna da un'arte propia, come la memoria con lo studio delle lingue, la fantasia con la lezione de' poeti, storici ed oratori, l'ingegno con la geometria lineare, che in un certo modo è una pittura la quale invigorisce la memoria col gran numero de' suoi elementi, ingentilisce la fantasia con le sue delicate figure come con tanti disegni descritti con sottilissime linee, e fa spedito l'ingegno in dover correrle tutte, e tra tutte raccoglier quelle che bisognano per dimostrare la grandezza che si domanda; e tutto ciò per fruttare, a tempo di maturo giudizio, una sapienza ben parlante, viva ed acuta. Ma, con tai logiche, i giovinetti, trasportati innanzi tempo alla critica, che è tanto dire portati a ben giudicare innanzi di ben apprendere, contro il corso natural dell'idee, che prima apprendono, poi giudicano, finalmente ragionano, ne diviene la gioventù arida e secca nello spiegarsi e, senza far mai nulla, vuol giudicar d'ogni cosa. Al contrario, se eglino nell'età dell'ingegno, che è la giovanezza, s'impiegassero nella topica, che è l'arte di ritrovare, che è sol privilegio dell'ingegnosi (come il Vico, fatto accorto da Cicerone, vi s'impiegò nella sua), essi apparecchierebbero la materia per poi ben giudicare, poiché non si giudica bene se non si è conosciuto il tutto della cosa, e la topica è l'arte in ciascheduna cosa di ritrovare tutto quanto in quella è; e sì anderebbono dalla natura stessa i giovani a formarsi e filosofi e ben parlanti. L'altra pratica è che si dànno a' giovanetti gli elementi della scienza delle grandezze col metodo algebraico, il quale assidera tutto il più rigoglioso delle indoli giovanili, lor accieca la fantasia, spossa la memoria, infingardisce l'ingegno, rallenta l'intendimento, le quali quattro cose sono necessarissime per la coltura della miglior umanità: la prima per la pittura, scoltura, architettura, musica, poesia ed eloquenza; la seconda per l'erudizione delle lingue e dell'istorie; la terza per le invenzioni; la quarta per la prudenza. E cotesta algebra sembra un ritrovato arabico di ridurre i segni naturali delle grandezze a certe cifre a placito, conforme gli arabi i segni de' numeri, che appo i greci e latini furono le loro lettere, le quali appo entrambi, almen le grandi, sono linee geometriche regolari, essi ridussero in dieci minutissime cifre. E sì con l'algebra si affligge l'ingegno, perché non vede se non quel solo che li sta innanzi i piedi; sbalordisce la memoria, perché, ritruovato il secondo segno, non bada più al primo; abbacina la fantasia, perché non immagina affatto nulla; distrugge l'intendimento, perché professa d'indovinare: talché i giovani, che vi hanno speso molto tempo, nell'uso poi della vita civile, con lor sommo rammarico e pentimento, vi si ritruovano meno atti. Onde, perché recasse alcuna utilità e non facesse niuno di sì gran danni, l'algebra si dovrebbe apprendere per poco tempo nel fine del corso mattematico ed usarla come facevano i romani de' numeri, che nelle immense somme li descrivevano per punti; così, dove, per ritrovare le grandezze che si domandano, si avesse a durare una disperata fatica col nostro umano intendimento per la sintetica, allora corressimo all'oracolo dell'analitica. Perché, per quanto appartiene a ben ragionare con questa spezie di metodo, meglio è farne l'abito con l'analitica metafisica, e in ogni quistione si vada a prendere il vero nell'infinito dell'ente, indi per gli generi della sostanza gradatamente si vada rimovendo ciò che la cosa non è per tutte le spezie de' generi, finché si giunga all'ultima differenza, che costituisca l'essenza della cosa che si desidera di sapere." Ora, ricevendoci al proposito - scoverto che egli ebbe tutto l'arcano del metodo geometrico contenersi in ciò: di prima diffinire le voci con le quali s'abbia a ragionare; dipoi stabilire alcune massime comuni, nelle quali colui con chi si ragiona vi convenga; finalmente, se bisogna, dimandare discretamente cosa che per natura si possa concedere, affin di poter uscire i ragionamenti, che senza una qualche posizione non verrebbero a capo; e con questi princìpi da verità più semplici dimostrate procedere fil filo alle più composte, e le composte non affermare se non prima si esaminino partitamente le parti che le compongono, - stimò soltanto utile aver conosciuto come procedano ne' loro ragionamenti i geometri, perché, se mai a lui bisognasse alcuna volta quella maniera di ragionare, il sapesse; come poi severamente l'usò nell'opera De universi iuris uno principio, la quale il signor Giovan Clerico ha giudicato "esser tessuta con uno stretto metodo mattematico", come a suo luogo si narrerà. Or, per sapere ordinatamente i progressi del Vico nelle filosofie, fa qui bisogno ritornare alquanto indietro: che, nel tempo nel quale egli partì da Napoli, si era cominciata a coltivare la filosofia d'Epicuro sopra Pier Gassendi, e due anni doppo ebbe novella che la gioventù a tutta voga si era data a celebrarla; onde in lui si destò voglia d'intenderla sopra Lucrezio. Nella cui lezione conobbe che Epicuro, perché niegava la mente esser d'altro genere di sostanza che 'l corpo, per difetto di buona metafisica rimasto di mente limitata, dovette porre principio di filosofia il corpo già formato e diviso in parti moltiformi ultime composte di altre parti, le quali, per difetto di vuoto interspersovi, fìnselesi indivisibili: ch'è una filosofia da soddisfare le menti corte de' fanciulli e le deboli delle donnicciuole. E quantunque egli non sapesse né meno di geometria, con tutto ciò con un buono ordinato séguito di conseguenze vi fabbrica sopra una fisica meccanica, una metafisica tutta del senso, quale sarebbe appunto quella di Giovanni Locke, e una morale del piacere, buona per uomini che debbon vivere in solitudine, come in effetto egli ordinò a coloro che professassero la sua setta; e, per fargli il suo merito, con quanto diletto il Vico vedeva spiegarsi da quello le forme della natura corporea, con altrettanto o riso o compatimento il vedeva posto nella dura necessità di dare in mille inezie e sciocchezze per ispiegare le guise come operi la mente umana. Onde questo solo servì a lui di gran motivo di confermarsi vie più ne' dogmi di Platone, il quale da essa forma della nostra mente umana, senza ipotesi alcuna, stabilisce per principio delle cose tutte l'idea eterna, sulla scienza e coscienza che abbiamo di noi medesimi. Ché nella nostra mente sono certe eterne verità che non possiamo sconoscere o riniegare, e in conseguenza che non sono da noi; ma del rimanente sentiamo in noi una libertà di fare, intendendo, tutte le cose che han dipendenza dal corpo, e perciò le facciamo in tempo, cioè quando vogliamo applicarvi, e tutte in conoscendo le facciamo, e tutte le conteniamo dentro di noi: come le immagini con la fantasia; le reminiscenze con la memoria; con l'appetito le passioni; gli odori, i sapori, i colori, i suoni, i tatti co' sensi; e tutte queste cose le conteniamo dentro di noi. Ma per le verità eterne che non sono da noi e non hanno dipendenza dal corpo nostro, dobbiamo intendere essere principio delle cose tutte una idea eterna tutta scevera da corpo, che nella sua cognizione, ove voglia, crea tutte le cose in tempo e le contiene dentro di sé e contenendole, le sostiene. Dal qual principio di filosofia stabilisce, in metafisica, le sostanze astratte aver più di realità che le corpolente; ne deriva una morale tutta ben disposta per la civiltà, onde la scuola di Socrate, e per sé e per gli suoi successori, diede i maggiori lumi della Grecia in entrambe le arti della pace e della guerra, e applaudisce alla fisica timaica, cioè di Pitagora, che vuole il mondo costar di numeri, che sono in un certo modo più astratti de' punti metafisici, ne' quali diede Zenone per ispiegarvi sopra le cose della natura, come poi il Vico nella sua Metafisica il dimostra, per quel che appresso se ne dirà.
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